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 "INTORNO AL SUBLIME"

TRATTATO DELLO PSEUDO-LONGINO

Sesto Saggio per una Storia delle Teorie Estetiche

di Manlio Tummolo

( Pozzecco di Bertiolo,giugno 2019)

 

 

QUESTIONI PRELIMINARI

 

Colgo l’occasione del cortesissimo invito dell’amica Paola Zelco alla collaborazione a codesto sito, per riprendere un tema già lasciato da vari anni in sospeso, a causa delle comuni vicissitudini che tutti abbiamo vissuto e che, ahinoi!!!,stiamo tuttora vivendo a causa di una crisi che, come un’epidemia, ci è stata inoculata dagli USA, il tema di una Storia delle Teorie Estetiche, senza affatto pretese di completezza, ma pur con una certa continuità cronologica, ovviamente utilizzando testi a disposizione pubblicati in edizioni critiche, sebbene economiche, da Case benemerite in questo, senza le quali molta parte della cultura e letteratura umanistica antica e moderna risulterebbe oggi irreperibile o di difficile consultazione.

In questo Sesto Saggio, tratterò di un’opera d’autore dubbio, attribuita ad un non meglio identificato “Longino” (più avanti specificherò di che cosa si tratti). Non ci si meravigli se molti di questi antichi scritti ricevevano attribuzioni generiche, o perché anonime, o perché pseudonime, o infine perché alcuni Codici non riportano l’autore, per le cause più diverse (negli scritti di natura politica o religiosa, il motivo è facilmente intuibile: evitare possibili persecuzioni. Per scritti di natura letteraria, le motivazioni sono più indeterminate).

A scopo di premessa, affronterò per primo il tema del termine e concetto di SUBLIME [1], che - prima vista - potrebbe sembrare un superlativo assoluto e, in effetti, come concetto lo è indubbiamente, ma non in senso etimologico. Secondo Giacomo Devoto [2] deriva dal latino sub – limus, ovvero sotto – obliquo. Indicherebbe quindi un ascendere obliquo dal basso verso l’alto. Ma limus implica pure il significato di fango, e sarebbe quanto mai curioso che ciò che è“sotto il fango”rappresenti poi il culmine della bellezza, per giunta in senso spirituale o, almeno, psicologico. Più probabile, una contrazione da sub limine = sotto la soglia, oppure sub limite = sotto il limite, il confine. Ma anche qui saremmo in totale contrasto col significato usuale del termine, per cui io propenderei non per un termine composto, ma per un termine semplice, forse di origine etrusca[3].

Chiarita dunque questa aporia linguistico-concettuale, passo a parlare di quest’altro misterioso personaggio denominato Longino ovvero Pseudo-Longino. La scoperta di questo scritto è, relativamente, recente, ovvero non effettuata fin dai tempi imperiali, bensì da un Codice reperito e pubblicato da Francesco Robertello nel 1554, quindi nella fase piuttosto finale del Rinascimento, con le prime edizioni a stampa. L’autore fu inizialmente identificato con Cassio Longino, filosofo platonico e consigliere di Zenobia, regina di Palmira, colei che volle opporsi all’Impero Romano e che fu vinta, non senza fatica, da Aureliano.Fu proprio Cassio Longino a spingerla alla ribellione e per questo venne poi eliminato (siamo nel III secolo d. C.) [4]. Questa identificazione venne però messa in dubbio, se non confutata, dal ritrovamento di manoscritti di Longino nella Biblioteca Vaticana (1808), con autori Dionisio oppure Longino. Lo scopritore, Gerolamo Amati, tendeva a preferire come vero autore dell’opera Dionigi o Dionisio, piuttosto che Longino: Dionigi era dell’età di Augusto (I a. C – I d. C), quindi ben anteriore al III secolo. L’Amati giustificava questa tesi sulla base del linguaggio, piuttosto stringato, dell’autore, ben poco simile a quello ampolloso tipico del III secolo d. C.. Questa stringatezza si verificherà nelle citazioni, anche se ogni epoca può avere autore di stile laconico o autori di stile ampolloso, soprattutto pensando che scrive in greco, non in latino, quindi con riferimento ad una letteratura certamente ellenistica ed alessandrina, ben più ricca di quella contemporanea latina, che appena cominciava ad arricchirsi proprio modellandosi sullo stile asiano già ai tempi di Cicerone, cioè mezzo secolo, se non un secolo, prima. Direi quindi che l’argomentazione stilistica consente un’identificazione probabilistica col periodo storico, e non sicuramente in modo dimostrativo ed incontrovertibile.In tutti i casi, secondo il Donadi [5], il Roeper, nel 1846, in un proprio articolo sostenne che il “Longino” non fosse quello del III secolo, ma un più oscuro grammatico vissuto ad Alessandria e conoscitore della Bibbia, successore come docente di Aristarco. Come si può ben capire l’identificazione del Longino è piuttosto complessa storicamente e ciò spiega ad abundantiam il perché dello “Pseudo-“ che viene anteposto al nome. Ora, seguire dettagliatamente la questione, come fa il Donadi che è docente di Letteratura greca, sarebbe per noi, ben più ignoranti in materia e non certo in grado di riconoscere stili ed epoche in maniera rigorosamente filologica, di fatto impossibile. Pare dunque tagliare la questione il fatto che le citazioni, riportate dallo Pseudo-Longino nel suo libro, non superino il I secolo, cioè scrittori come Anficrate, Cicerone, Cecilio e Teodoro [6]. Più oltre si segnalano affinità col pensiero etico di Seneca, con Plinio il Giovane e Tacito, nonché viene richiamato anche il grande filosofo (e filologo) ebraico di Alessandria, Filone, notoriamente platonico. Sembrerebbe dunque trattarsi di un ebreo ellenizzato, della cerchia di Filone, e tutti contemporanei di Cristo. La situazione sicuramente non venne accertata dai dibattiti successivi, per cui non volendo dare mie opinioni nel merito (che sarebbero illazioni di un ignorante…), rinvìo chi fosse interessato ad approfondire la questione, a leggere le varie considerazioni critiche e filologiche del Donadi, o a studiare per proprio conto l’argomento. Ricordo solo quanto egli scrive nelle“Conclusioni?”:

“Quanto precede ha dimostrato i limiti e la vanitas di molta filologia: Longino resta uno, nessuno e centomila. Abbiamo delle quasi certezze: che visse a Roma, probabilmente nella prima metà del I sec. d.C., che aveva cultura assai vasta e che era in rapporti, tutti da definire, con la cultura giudaico-ellenistica… potremmo spostarne la vita… non oltre il 79 d. C. …”[7].

Tralascio dunque ulteriori questioni e analizzo l’opera secondo l’elaborazione del Donadi stesso, cominciando dall’indice dei capitoli o paragrafi sui rispettivi argomenti, capitoli che, con varie lacune, sono però numericamente completi :

“ I. Il trattatello di Cecilio ‘Del Sublime’ è imperfetto, e perché.

  1. Se il sublime si possa insegnare .

  2. Della grandezza vana e puerile.

  3. Del freddo.

  4. Donde procedono i vizi dei quali sopra s’è ragionato.

  5. Che la scienza e il discernimento del vero sublime non è cosa facile.

  6. Come si possa riconoscere il sublime.

VIIII. Cinque luoghi o fonti del sublime .

  1. Del concetto.

  2. Che la scelta delle cose eccelse e opportune è la cagione del sublime: e in che modo.

  3. Dell’amplificazione .

  4. Che negli scrittori dell’arte non è così verace né giusta la definizione dell’amplificazione .

  5. Che Platone ha stil grande: e della imitazione.

  6. Che bisogna proporsi gli eccellentissimi scrittori a modello.

  7. Delle fantasie o vere immagini.

  8. Delle figure.

  9. Che al sublime contribuiscono le figure: e dove e come.

  10. Delle interrogazioni semplici, e iterate.

  11. Degli asindeti o scollegamenti.

  12. Del concorso delle figure.

  13. Che le congiunzioni fanno l’orazione debole e languida.

  14. Degli iperbati.

  15. Dei poliptoti, e di altre simili figure: dei singolari e dei plurali.

  16. Che a volte i singolari servono ad elevatezza.

  17. Che bisogna esporre le cose passate come presenti, e come se si facessero allora .

  18. Del mutamento delle persone.

  19. Del passaggio da persona a persona.

  20. Della perifrasi o circonlocuzione.

  21. Che la circonlocuzione usata senza misura è cosa inane e grossolana.

  22. Della scelta delle parole.

  23. Dell’idiotismo, o delle maniere popolari di dire.

  24. Della frequenza delle metafore.

  25. Se sia migliore lo stile scorretto senza il sublime, o il sublime scorretto, e non accuratamente emendato.

  26. Continua: Comparazione di Demostene e d’Iperide.

  27. Di Platone e di Lisia.

  28. Del dire corretto e senza errori: e del dire magnifico.

  29. Delle similitudini e delle immagini.

  30. Delle iperboli.

  31. Della composizione e collocazione.

XL. Della composizione dei membri del periodo.

XLI. Quali cose tolgano il sublime .

XLII. Della frase concisa .

XLIII. Della tenuità delle voci, e della loro grandezza .

XLIV.Perché ai nostri giorni tanta scarsezza di grandi e nobili scrittori .“

Intanto, già dai titoli possiamo notare come in realtà, lo Pseudo-Longino parli sì soprattutto del Sublime, ma affronti più ampiamente una serie vasta e sistematica di temi retorici. Il punto è che, non essendoci pervenuti capitoli completi, ma spesso solo brani, non possiamo verificare non solo la complessità di questo lavoro, ma la sua capacità dimostrativa e confutatoria. Non affronterò, dunque, ciascun argomento, perché solo e mal accennato, ma intanto segnalo alcuni punti: per l’Autore, può esservi una grandezza “puerile”; che - a differenza della nostra mentalità odierna che, con la lezione romantica, mira all’originalità ad ogni costo (anche a scadere nel kitsch, nel brutto e, pure, nell’orrido e nel volgare, e nell’illusione di un “nuovo” per nulla tale) – la mentalità classica pone a se stessa i grandi modelli di bellezza, senza timori di copiarla; che, infine, “oggi” (ovvero nella contemporaneità dello Pseudo-Longino) non si trovassero grandi scrittori ed oratori, un tema affrontato pure da Tacito. Ma che direbbero questi incontentabili critici se leggessero gli autori celebri del XX – XXI secolo (“secoletto vil che tiranneggia”, per dirla con Carducci), i quali si fanno vanto di scrivere in modo piatto, plebeo, uniforme, rozzo, spacciandosi per realisti o veristi o scientifici od originali ? Ho l’impressione che userebbero i loro scritti per farsi fuoco d’inverno…[8].

ANALISI DEL TESTO

Nel primo capitolo, “Longino” [9] si rivolge all’amico Terenziano, criticando l’insufficienza del lavoro che l’altro personaggio Cecilio, non certo più precisato degli altri e la cui opera è sostanzialmente perduta [10] ,aveva pubblicato sul medesimo tema del Sublime,sostiene che il sublime consiste nell’elevatezza,ma anche eccezionalità, del discorso, il che dona il massimo rilievo storico a poeti e prosatori. Diversamente dal semplice, per quanto elegante, discorso retorico che si limita alla persuasione [11], “Longino” sostiene che lo stile sublime conduce all’estasi:

“… l’opera di persuasione dipende perlopiù da noi, mentre quel che è straordinario, apportando al discorso una forza sovrana e invincibile, dall’alto assolutamente domina l’ascoltatore… Il sublime…, quando al giusto momento prorompe, riduce ogni cosa in briciole, come una folgore… “[12].

Di minore rilievo è, a mio parere, il tema del II capitolo, ovvero se si possa insegnare lo stile sublime: non ignorando noi sia l’antica lezione platonica, sia quella del dolce stil novo, sia infine la romantica, che l’arte poetica, pur ispirandosi a modelli precedenti, dipende solo per gli argomenti e i temi dal modello, ma poi dev’essere rivissuta, ricreata, in sé nell’intimo del proprio animo dal poeta e dall’artista stesso, che da sé deve cercare e scegliere il Bello, crediamo che il fatto dell’insegnabilità sia confondere le tecniche con le ispirazioni,la causa e il motore con il mezzo. Secondo “Longino”, invece, proprio in opposizione a Cecilio, occorre addirittura un supporto scientifico, in pratica togliendo ogni distinzione tra discorso poetico, letterario, e discorso politico o amministrativo, il che pare ben assurdo. Il capitolo è, tuttavia, incompleto, sicché non resta che constatare che, a suo parere, nell’arte sono necessarie, non solo il pungolo, ma persino le briglie (come se l’artista fosse un cavallo o un bue !)[13]:

“… Di fondamentale importanza è che bisogna prender atto che solo da una tecnica possiamo apprendere che certe particolarità dello stile hanno la natura per unico fondamento…”, il che mi pare perlomeno confuso ed incoerente: quale natura, quella fisica, biologica, o quella psicologica umana? In ambedue i casi, non trattandosi di scrivere trattati, bensì testi poetici, questa “natura” sarà meglio espressa dal sentimento spontaneo, che non da lezioni di formale retorica. Solo dopo la stesura finale, il critico potrà cercare e individuare le ispirazioni, i modelli o l’ipotetica “originalità” . Nel III capitolo, “Longino” critica l’eccessiva ampollosità anche nella tragedia che, secondo gli Antichi, condivide con l’epica il grado sommo nello stile. Per questo critica autori come Gorgia di Leontini, Callistene, Clitarco, Anficrate, Egesia, Matride. Eppure sostiene che la turgidezza terminologica o fraseologica è un errore difficile da evitare,ed ha una sua nobiltà. Peggiore è il modo adolescenziale, scolastico diremmo noi, che scade nel cattivo gusto. Ancora più negativa è la bruttura di un patetismo insincero [14], estraneo all’argomento o alla situazione narrata[15].

Nel capitolo IV, si parla del “freddo”: nulla a che fare col clima atmosferico planetario, cosa di cui oggi si parla con tanta frequenza, ma di un effetto stilistico, che “Longino” attribuisce allo storico Timeo di Tauromenio, vissuto fra quarto e terzo secolo a. C, che scrisse una storia della Sicilia. Il Nostro gli attribuisce spirito critico verso gli altri, ma non verso se stesso, fino a scadere nella puerilità. Onestamente, va detto che l’autocritica in letteratura non è certo facile, perché si può scadere sia nella falsa modestia, sia nell’auto-encomio, per cui è generalmente preferibile lasciare agli altri il compito di giudicarci, piuttosto che fare propaganda di sé o finta detrazione.Lo critica, ad es., per aver paragonato la durata della conquista asiatica di Alessandro con quella della stesura dell’opera di Isocrate“Panegirico”. Ne critica ancora il paragone tra la dura prigionia degli Ateniesi a Siracusa e l’aver essi mutilato le statue di Ermes: in effetti si tratta di comparazioni sciocche. “Longino” attribuisce lo stesso difetto al più celebre storico Senofonte, alunno e biografo di Socrate, per aver definito le pupille“vergini pudiche”. Ancora, nota nello stesso Platone e in Erodoto tale difetto: in sostanza l’effetto a freddo sarebbe semplicemente un’analogia non proporzionata tra il soggetto di cui si parla e l’oggetto ad esso paragonato [16]. Nel Capitolo V si pone l’interrogativo sulla causa di tali difetti, e qui la sua osservazione mi pare estremamente, ed attualmente, valida. Infatti, la causa dei difetti descritti consiste nella manìa del nuovo ad ogni costo, o - io direi - non tanto del nuovo (che è relativo, ma anche difficile da realizzare in oltre 3000 anni di storia letteraria, sebbene della più antica ben poco ci sia rimasto), quanto nel prenderlo come categoria assoluta da sostituire al Bello:

“ Tutti questi difetti, così privi di nobiltà[ovvero, tutt’altro che sublimi],attecchiscono nel discorso per un’unica causa; dato che è per la smania di nuove idee, che impazziscono gli scrittori di oggi. Infatti, da dove provengono le nostre qualità, proprio da lì, quasi sempre sogliono provenire anche i nostri difetti. Perciò gli elementi che contribuiscono al successo… sono la bellezza dell’espressione, ciò che è elevato…”[17] .

Si può cosi notare, come - secondo “Longino” - la bellezza espressiva è garanzia di successo: ciò ai suoi tempi. Se ci paragoniamo a lui, dobbiamo dire che nel XX – XXI secolo, sono invece la bruttezza, la piattezza e la volgarità stilistica i motori del successo. Trionfano sia la povertà espressiva, sia la miseria dei contenuti e delle idee. Salto il breve e introduttivo CapitoloVI e passo al VII, dove si tratta, sempre brevemente, del metodo per riconoscere il sublime:

“… si deve badare che quanto è elevato in prosa e poesia non abbia l’aspetto della grandezza con molti elementi presi a casaccio, ma che una volta esaminato a fondo, riveli la sua inconsistenza: per cui il disprezzo è più nobile dell’ammirazione[18].Per natura, infatti, l’animo nostro viene per così dire innalzato sotto la spinta del vero sublime, e, preso possesso di un supremo trampolino di lancio, si riempie di gioia e d’orgoglio, quasi che essa stessa avesse creato quel che ha udito. Certo, quando un brano più volte ascoltato da persona sensata e pratica di lettere non disponga l’animo suo a un elevato sentire, né le sue riflessioni lascino nella sua mente più di quanto è stato letto, al contrario, se dopo un serrato esame, il suo interesse vada in calo, questo non può essere vero sublime, dato che persiste solo il tempo dell’ascolto[suppongo: del primo ascolto, condizionato da emozioni superficiali]. Infatti è realmente grande quel che permette approfondita riflessione; al quale è difficile… resistere, che persiste nella memoria ed è difficile da cancellarsi. In una parola, tieni per bello e veritiero quel che sempre piace, e a tutti[19]. Quando persone di differente occupazione, modo di vita, gusti, età, lingua, convergono nel giudizio su una cosa…, allora questo giudizio… di persone … non … all’unisono, conferisce all’oggetto della nostra ammirazione una garanzia robusta…”[20].

Il criterio di individuazione del sublime che “Longino” ci indica non pare sinceramente molto metodologico, tanto meno scientifico: è più che altro empirico. Ciascuno dei singoli deve apprezzarlo durevolmente, leggendo e rileggendo. Certamente, nessun libro letterario o scientifico, che non sia ripugnante, dovrebbe essere letto solo una volta, se si vogliono apprezzare tutti i suoi aspetti, così generali, come particolari. Ma questo non è garanzia di sublimità: una cosa è la natura di un libro, altra la capacità e sensibilità di un lettore. Un libro in sé può valere, anche se non ha un lettore in più rispetto a chi lo ha scritto. Sono troppi i fattori che ne possono condizionare la diffusione. In una stessa epoca, poi che non sia molto evoluta e raffinata, sarà pressoché impossibile trovare tante persone che sappiano in comune apprezzare, e in identico grado, un’opera. E’ più facile viceversa che un’opera valga, non per successi immediati (e forse effimeri:la pubblicità oggi è estremamente invadente e condizionante le persone comuni), ma per un risultato duraturo e, talvolta, crescente nel tempo: per cui definiamo quell’opera “classica”, non per uno stile specifico, ma perché è amata a distanza di secoli. Secondo il Donadi [21], viceversa, “Longino” ignora l’estetica del gusto, come variabile nel tempo. Ma anche qui mi permetto di dissentire: il gusto dipende dall’educazione estetica, e se questa difetta o è distorta, poco c’è da sperare che sappia apprezzare il Bello.

Siamo ora al Capitolo VIII, che tratta delle cinque fonti del sublime, che hanno – dice “Longino” – come fondamento comune il talento oratorio. Qui è necessario notare come negli antichi, forse perché la pubblicazione di un’opera era essenzialmente lettura pubblica, e non diffusione di copie scritte (la loro rarità spiega anche la facilità con cui abbiamo perduto tanti testi, rimastici solo a frammenti, quali citazioni in altre opere), fossero ritenute necessarie doti oratorie e declamatorie, sia insite nel testo, sia poi nella loro pronuncia, onde affascinare lo scarso lettore, e l’eventuale ascoltatore. Le fonti sono il puntare a pensieri elevati,un atteggiamento passionale, vigoroso ed entusiasta. Tutto all’opposto della mentalità presente da circa 150 anni nel mondo: oggi i pensieri sono elevati come nella depressione caspica, o più in basso ancora (fondo di un Gran Canyon), e quanto a passione, vigore ed entusiasmo, non abbiamo neppure il senso delle proporzioni. Ad esempio, si recita con una strana pompa, che sembra quasi satirica, quando l’argomento è del tutto banale (ad es., nel chiedere un pezzo di pane o di fare una passeggiata), viceversa piattezza assoluta dove si richiederebbe una maggior forza esclamativa, generalmente bollata come “enfasi”. Il risultato? Un’immensa stonatura, ma di che impressionarsi? Il pubblico, di bocca buona e ormai adattato all’andamento, applaude sempre freneticamente, come se avesse ascoltato chissà che. Di lanciar pomodori, kaki o altri ortaggi più o meno fradici, nessuno parla più… E del resto, basti pensare a quando muore qualcuno di questi grandi attori o registi: sono tutti straordinari,rari, eccezionali, di cui si sentirà la mancanza (come a dire: quelli che seguono, saranno ancora peggio… siatene certi!). Sicché, se ne deve dedurre che oggi nulla vi è di più frequente che lo straordinario, nulla di più raro che l’ordinario, comune, qualunque, normale.Ma proseguiamo: le altre fonti sono: competenza nel creare figure retoriche, di pensiero e di parola, un nobile modo di esprimersi (oggi, quando e chi mai oserebbe esprimersi in modo nobile?), una elocuzione ricca di traslati con uso di termini nuovi (qui appare una contraddizione con la critica prima condotta contro la smania del nuovo), ed, infine, la collocazione delle parole su di un registro dignitoso ed elevato (il che è ripetizione della prima fonte, sebbene per l’uso terminologico, e non di contenuto ideale: d’altronde, un contenuto si deve esprimere sempre con termini corrispondenti: non si può, ad es., parlare di Dio o dello Spirito con vocaboli rozzi, perché si rischia di scadere nella bestemmia) [22].

Così conclude “Longino” :

“ Nell’oratoria, gli encomi, i discorsi di pompa e d’apparato hanno sempre, sotto ogni aspetto, della dignità e dell’elevatezza, ma per lo più mancano di passione; di modo che, tra gli oratori, quelli ricchi di passione sono i meno adatti all’encomio [presumo, perché si lascerebbero trascinare dalle emozioni, magari mettendosi a piangere], mentre all’inverso gli scrittori di genere encomiastico riescono meno nel patetico… Oserei evidenziare con forza che non c’è nulla di così magniloquente come una nobile passione quando viene a proposito, che per così dire esala sotto l’effetto di una forma di follia e… di entusiasmo, e riempie quasi di afflato divino il discorso”[23] .

Oggi, si tende viceversa, dove verrebbe richiesto un tono commosso, o comunque idoneo ad accentuare all’uditorio una certa situazione (che potrebbe pure essere comica o sarcastica), a far sentire il tutto come se si leggesse una lista della spesa… Il nostro critico procede nel IX Capitolo insistendo sull’elevazione delle anime :“… è necessario per quanto possibile – benché si tratti di un dono di natura piuttosto che di un qualcosa di acquisito – elevare le anime alla grandezza, e renderle abitualmente… gravide di nobili slanci… In primo luogo: necessaria e rigorosa condizione preliminare è il problema dell’origine del sublime, dato che il vero oratore non deve avere pensieri ignobili e dappoco. Infatti non è possibile che persone che… dedicano la loro attenzione a piccinerie e a intrallazzi di servi possano produrre un qualcosa degno di ammirazione e di fama perpetua; al contrario… grandi sono i discorsi di chi ha profondo il pensiero…”[24].

A questo proposito è pure qui interessante notare come “Longino” citi Mosè e la Bibbia, dove si afferma che la Luce e la Terra furono create da Dio direttamente con la Sua parola, e ne fa motivo di sublimità espressiva [25].In Dio c’è immediatezza tra Pensiero e Parola, che così diviene Comando, ovvero esecuzione immediata, il Conoscere, Volere, Agire immediatamente concatenati e conseguenti. “Longino” o chi per lui ha bene in mente che il termine greco Logos significa appunto sia Pensiero, che Parola, che Comando. Egli poi esemplifica, nello stesso capitolo e in quello successivo, in Omero, sia dell’Iliade, sia dell’Odissea, un modello di sublime, ma coinvolge anche la celebre lirica di Saffo, integralmente citandola, come esempio di sublimità nella profondità psicologica ed autoanalitica di descrizioni di sentimenti e di emozioni nel parlare della persona amata: ne ricordo la prima strofa :“Mi sembra uguale agli dei / l’uomo che ti siede dinanzi/e vicino ti ascolta/che dolce gli parli…”[26].Catullo, parlando dell’amante Lesbia, copierà in larga misura il tema.

Salto ora vari capitoli di natura tecnicamente e strettamente retorica, perché l’elencazione e la descrizione di determinate figure non servono affatto a suscitare l’idea del bello, anzi ne rendono pesanti la ricerca. Come giustamente osservava Cicerone a proposito delle regole grammaticali che si applicano una volta dimenticatane la definizione e la classificazione, ancor più mi pare per le figure stilistiche e retoriche, che si applicano naturalmente, senza dover consultare aridi testi, ma attraverso la lenta acquisizione dalla lettura delle grandi opere letterarie, che servono da stimoli per le future scelte che lo scrittore deciderà di compiere. Proprio a questo proposito, ritengo più interessante e utile il Capitolo XIV orientato a determinare se occorre proporsi “eccellentissimi scrittori” come modello. Così “Longino” a questo proposito:

“Perciò anche noi, quando ci applichiamo in qualcosa che richieda elevazione e grandezza di sentimenti, sarà bene che immaginiamo nell’animo nostro: ‘Come, se si fosse dato il caso, Omero avrebbe detto questa stessa cosa ? Come l’avrebbero resa sublime, Platone, Demostene o Tucidide nella storiografia ?’ Quei personaggi, che ci vengono incontro per così dire nel loro splendore, per via che cerchiamo di emularli, in un certo senso innalzeranno il nostro animo verso il termine di paragone di cui ci siamo fatti un mito…”[27].

Anche qui occorre porsi dei criteri: 1) intanto, di non aver mai pretese di originalità assolute, visto che la letteratura umana ha già 3.000 e più anni di storia, e sarebbe assai presuntuoso illudersi di fare qualcosa che sia assolutamente nuovo e insieme valido; 2) l’ originalità va dunque intesa non come novità assoluta, bensi come personale e spontanea rielaborazione di contenuti e stili già esistenti. Che il letterato, lo scrittore, il poeta, l’attore, l’artista ecc., dopo opportuni studi, trascurando del tutto le mode in quanto mode, artificiose e poco durevoli, si orienti verso i contenuti e gli stili a lui più congeniali, che egli condivida nella maniera più sincera e spontanea, e li segua e li applichi senza vani pregiudizi, irridendo all’illusione o alla speranza di fama, magari immediata. Se egli farà qualcosa di esteticamente valido, il più delle volte gli verrà riconosciuto dopo la morte; se diverrà invece presto celebre in base a propaganda e appoggi, finirà per essere presto dimenticato dopo morto, ma in tutti i casi compirà opere non sincere e non sentite, utili forse a riempire la cassaforte del suo editore (raramente gli scrittori hanno casseforti…), di certo non a farne un vero artista, il che si diventa realmente non tanto per influenze e modelli esterni, quanto per ispirazione dell’interiorità dell’animo.

Sorvoliamo ulteriori capitoli, anche perché spesso frammentari o incompleti, per arrivare al XXXII, dove si parla delle metafore che sorgono spontanee nel prorompere delle passioni :“… quando le passioni prorompono a mo’ di torrente,allora esse trascinano con sé, quasi fosse necessaria, una moltitudine di metafore[e qui cita Demostene]. ‘Questi uomini immondi e ruffiani ‘ dice Demostene ‘ciascuno dei quali ha mutilato la propria patria, che hanno sacrificato la loro libertà prima a Filippo,ora ad Alessandro, misurando la loro felicità sui piaceri del ventre e sulle passioni più laide, hanno sovvertito il senso della libertà e del non dipendere da padroni, che per i Greci di un tempo erano definizione e regola della felicità’…… affermo (come ho fatto notare anche a proposito delle figure) che le passioni forti,che l’opportunità e la violenza della passione e la nobiltà del sublime costituiscono specifico rimedio alla moltitudine e all’audacia delle metafore, dato che con la potenza del loro impeto esse per natura trascinano e portano avanti ogni altra cosa, e ancor più esigono… che l’ascoltatore si soffermi a farne il conto, dato che è coinvolto nell’entusiasmo dell’oratore…”[28].

Viceversa, che cosa annulla o riduce lo stile sublime ? Ne parla al Capitolo XLI: il ritmo spezzato e agitato che si trasformi quasi in un passo di danza:“…ogni eccesso di ritmo si rivela subito affettato e meschino, e del tutto privo di passione, dato che si tiene… alla superficie…”[29]. Così è l’eccesso del ritmo, come l’assoluta mancanza di questo, perché ambedue fanno perdere l’espressione del sentimento, così anche l’uso di termini brevi, spezzettati. Altrettanto poco sublime è l’uso, inconsapevole, non voluto di frasi concise, che non siano sintetiche, ma semmai incomplete.

Importante infine il Capitolo XLIV, sulla scarsità, al tempo di “Longino”, di nobili scrittori, un tema che sarà anche di Tacito: di tale scarsità varie sono le cause, e merita citare, per questo, largamente l’Autore, il quale, a sua volta, ne cita, anonimamente, un altro:

“ Mi resta da chiarirti una questione…: ed è quella che uno… dei filosofi mi ha posto… ‘… per quale ragione ai tempi nostri … non si vedono affatto delle nature geniali e di grandezza assolutamente superiore? Tanta universale impotenza oratoria ha investito il nostro secolo! Si deve forse prestar fede… all’opinione corrente che la democrazia è ottima nutrice degli spiriti grandi,ed è forse solamente per causa sua che i grandi nomi dell’oratoria hanno avuto la loro stagione e si sono spenti ? La libertà… è quel che basta a nutrire i sentimenti degli spiriti grandi, a dar loro speranza… a rivaleggiare gli uni con gli altri e all’ambizione di primeggiare. … Mentre noi, uomini di ora… sembra che siamo andati a scuola di servitù legalmente riconosciuta; fin dall’età in cui tenera era la nostra mente siamo stati… fasciati negli stessi costumi e nelle stesse abitudini, senza aver gustato la fonte più bella e feconda dell’eloquenza: la libertà… è ciò di cui parlo: perciò non siamo altro che dei sublimi ruffiani’. Per questo egli affermava che, mentre le altre facoltà possono capitare anche a dei servitori, non c’è schiavo che diventi oratore; infatti subito affiora l’assoluta incapacità di parlar liberamente…[ma “Longino” aggiunge di suo:]… non è la pace universale a corrompere le grandi nature, ma molto di piùquesta guerra interminabile che trattiene in mano sua i nostri desideri… aggiungici queste passioni qua… la brama di ricchezze… e l’amore del piacere ci portano alla schiavitù… L’amore per il denaro è una malattia che rimpicciolisce l’animo, l’amore per il piacere rappresenta il colmo dell’avvilimento… E’ fatale che le cose stiano così, e che l’uomo non rivolga più il suo sguardo verso l’alto,… quando gli uomini ammirano quanto di loro stessi è mortale, trascurando di accrescere ciò che è immortale[ed ora un tema ridiventato di grande attualità:]. Infatti un giudice che sia stato corrotto in vista di un suo giudizio, non sarà più in grado, in una causa sì bella e giusta, di giudicare in modo libero … ma quando la corruzione è arbitra dell’intera vita di ciascuno di noi… pensiamo forse che in tale decomporsi pestilenziale della nostra vita resti ancora un giudice libero e incorruttibile di quanto è grande e destinato a durare, e che non sia preda di intrighi per il desiderio di arricchire ?.... In generale, io dicevo che la rovina del nostro tempo è l’indifferenza nella quale tutti, a eccezione di pochi, passiamo la nostra vita, senza fare e intraprendere nulla se non per la lode e per il piacere, ma non per una qualche utilità degna di emulazione e di onori…”[30].

Il senso della conclusione, peraltro non materialmente tale perché il lavoro è, secondo il Donadi, finito da altro autore rimasto anonimo del tutto, è che la libertà è indubbiamente condizione necessaria, sebbene non sufficiente, sia per un’autentica arte letteraria ed oratoria, ma - aggiungiamo noi – anche per ogni scienza, perché ove non ci sia libertà autentica di parola, di espressione, di ricerca, qualunque cosa inaridisce e muore più o meno rapidamente. Ma tale libertà stessa si alimenta nel rispetto supremo degli alti valori della vita e del pensiero umani, nell’aspirare verso l’elevatezza dello spirito e delle grandi azioni (ciò che i Romantici tedeschi dicevano streben). La stessa libertà, anche apparente, anche costituzionalmente fissata, anche declamata ogni giorno, se si deforma in comodità, in egoismo, in desiderio delle cose più brutali, nell’avvoltolarsi nel fango o peggio nel “loto” dantesco, finisce per contribuire all’inaridimento del pensiero umano, della sua coscienza morale, da cui non solo il Sublime si esclude, ma anche la semplice fresca Bellezza, e il discorso conclusivo di “Longino” è, per noi, di un’attualità critica formidabile, proprio per il decadimento estetico che l’Arte ha subìto, insieme alla profondità della Filosofia e della Scienza, nell’epoca che va dalla fine dell’800 al corrente ventennio (e forse oltre?) del XXI .

 

 

 

NOTE

 

  1. Il titolo in greco dell’opera sarebbe Peri hypsoys, il che non mi pare abbia un legame diretto col termine latino, per cui l’etimologia esatta del termine è discutibile.

  2. Cfr.G.Devoto,“Avviamento all’Etimologia Italiana”, ed. Le Monnier (Firenze, 1968), pag. 416 . Anche il Calonghi, nel suo Dizionario Latino – Italiano (ed. Rosenberg & Sellier - Torino), esprime incertezza sul reale riferimento etimologico di questo termine.

  3. In tutti i casi, il senso adoperato dagli scrittori latini, sia come sublimis, sia come sublimus, è quello, non di “obliquo” o di “moto obliquo” (che deriverebbe da limus), ma quello di “alto, elevato al massimo grado”. Ora, sapendo che gran parte del rituale religioso romano è di derivazione etrusca, ne deduco, per quanto solo probabilmente e non con certezza, che il senso complessivo si riferisca proprio ad un

termine etrusco latinizzato (cfr.lituus, ovvero il classico bastone dal manico ricurvo, ereditato non solo dai sacerdoti romani, bensì anche dagli alti ecclesiastici cattolici).

  1. Traggo queste note biografiche dal commento, piuttosto articolato e molto tecnico, di Francesco Donadi, nell’edizione BUR, con testo a fronte (Milano, 2005, pagg. 49 e sgg.).

  2. op. cit., pag. 55.

  3. ibidem, nota 21 a pag. 56.

  4. ibidem, pag. 61.

  5. Sono troppo pessimista se considero il gusto dell’epoca nostra non sublimis, bensì sub limo (sotto il fango) ? Sembrerebbe veramente che tutto il cervello dell’uomo di cultura e di scienza si sia concentrato nella tecnolatria e nel perfezionamento pressoché automatico di procedure elettroniche (praticamente tutte in mano agli alti tecnocrati USA), mentre il comune cittadino si alterna tra ludi circenses e la delega agli elaboratori elettronici di tutte le sue funzioni morali, intellettuali e, perfino, fisiche, aspettandosi da questi elaboratori risposte a problemi che solo la coscienza logica ed etica possono impostare e,sperabilmente, risolvere. Oggi, in un continuo decadimento spirituale, dove non si sa più distinguere tra mezzi e fine, tra fini essenziali e fini secondari, tra questi e i fini provvisori della vita quotidiana, languono le arti e le scienze dello spirito, langue la filosofia, languono l’arte e il culto della Bellezza, e si cerca semmai l’apoteosi di ogni bruttura, di ogni distorsione, portando l’uomo ai livelli infimi del potere che Dio, secondo il geniale Giovanni Pico della Mirandola, ci assegnò creandoci.

  6. Per non appesantire il discorso,citerò d’ora in avanti l’Autore del Trattato come Longino, usando le virgolette .

  7. Il Donadi ne fa una sintetica descrizione bio-e bibliografica, in cui elenca varie opere di questo autore, delle quali però, oltre ai titoli, non sembra essere sopravvissuti che scarsi frammenti (nota 1, pagg. 104 – 105, op. cit.).

  8. Una questione già da me affrontata: capisco gli Antichi convinti che lo scopo della retorica sia la persuasione, assai meno i moderni come un Chaim Perelman: la retorica non può persuadere in sé, altrimenti due o più discorsi retorici persuaderebbero lo stesso ascoltatore o lettore su tesi opposte, come giustamente sostenne il Manzoni nel suo umoristico raccontino del giudice che ascolta due parti opposte e in più l’osservazione del figlioletto, dando ragione a tutti e tre, sebbene contrapposti. Lo scopo della retorica, quando ben condotta, non è di persuadere, ma di attrarre, sedurre, affascinare, interessare l’ascoltatore, in modo da spingerlo ad approfondire un tema per conto proprio. Quindi, può ben conciliarsi, come fece Quintiliano, col procedimento razionale se si tratta di argomenti di natura razionale, e non semplicemente sentimentale o emotiva. La persuasione, convinzione e conversione sono fenomeni sempre e solo interiori, se sono profondi, durevoli, e non del tutto provvisori.

  9. op. cit. , pag. 107.

  10. ibidem, pag. 115.

  11. Questo falso patetismo che pretenderebbe di commuovere le masse è oggi costituito da certe versioni giornalpolitiche di episodi,per cui genitori,invece di emigrare da sé (come eventualmente dovrebbero, se lo ritengono necessario), si trascinano - in ambienti e condizioni pericolosissimi - i loro figlioletti del tutto indifesi, morendo con essi o facendoli morire. I giornalisti e gazzettieri “patetici” e politici trattano la questione, invece di criticare (perlomeno…) tali irresponsabili genitori (come succederebbe a qualunque nostro genitore che mettesse i figli in pericolo), facendo in modo di esaltarli quali “eroi” disperati, accusando terze persone che non ne sanno nulla, il che non è solo illogico, ma anche immorale.

  12. ibidem, pagg. 119 - 125.

  13. ibidem, pagg. 129 - 133.

  14. ibidem, pag. 137.

  15. Il concetto non è proprio limpido: intende forse che disprezzare uno stile scadente, e solo apparentemente elevato, sia di per sé meritevole di elogio, e segno del “sublime” ? Parrebbe così, ma il disprezzo di un lettore o commentatore non è di per sé sublime, è semplicemente un fatto critico.

  16. Impossibile che uno stesso scritto piaccia a tutti e al medesimo grado: occorrerebbero sensibilità uguali in tutti, il che, specialmente oggi ma anche ai tempi dell’Autore, non si verifica per l’immenso numero di chi si accosta alla lettura, rispetto ad un tempo. Nel nostro tempo, tutti sanno leggere, ma non tutti sanno apprezzare il sublime, anzi molti prediligono la bruttura nello scrivere o la facilità nel leggere.

  17. ibidem, pagg. 145 – 147.

  18. Vedi nota 4 di pag. 147.

  19. ibidem, pagg. 153 –155.

  20. ibidem, pagg. 155 –157.

  21. ibidem, pagg. 161 –163.

  22. ibidem, pagg. 167 – 169.

  23. ibidem, pag. 179.

  24. ibidem, pag. 209.

  25. ibidem, pagg. 315 – 317. Va sempre ricordato che anche quando si tratta di poesia, letta o pronunciata a memoria, il declamatore deve sentire in sé la forza dello scrittore e non solo identificarsi con lui, ma “essere” lui stesso.

  26. Ibidem, pag. 379 .Dobbiamo immaginarsi il riferimento ad una recitazione in cui troppo si fa sentire il ritmo, tipo cantilene infantili.

  27. Ibidem, pagg. 395 –401.

  28. ibidem, pagg. 315 – 317. Va sempre ricordato che anche quando si tratta di poesia, letta o pronunciata a memoria, il declamatore deve sentire in sé la forza dello scrittore e non solo identificarsi con lui, ma “essere” lui stesso.

  29. Ibidem, pag. 379 .Dobbiamo immaginarsi il riferimento ad una recitazione in cui troppo si fa sentire il ritmo, tipo cantilene infantili.

  30. Ibidem, pagg. 395 –401.

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