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Elisabeth Langgässer:

“Gli Argonauti del Brandeburgo” e 

“Il Sigillo indelebile”

 

a cura di Paola Zelco

La fama di Elisabeth Langgässer - scrittrice tedesca nata ad Alzey, nell'Assia renana - è legata non solo ai suoi grandi romanzi “Der Gang durch das Ried” (Il cammino nella palude), “Märkische Argonautenfahrt" (Gli Argonauti del Brandeburgo) pubblicato postumo nel 1950 a pochi mesi dalla morte dell'Autrice, e “Das unauslöschliche Siegel” (Il sigillo indelebile), considerato il suo capolavoro, ma anche alle numerose raccolte di poesie apparse sin dal 1924, oltre che ad un carteggio appassionato pubblicato postumo nel 1954 dal titolo “...soviel berauschende Vergänglichkeit” (“...tanta inebriante fugacità”).

Elisabeth Langgässer negli anni '30 apparteneva a quel gruppo di giovani poeti - tra cui Wilhelm Lehmann, Oskar Loerke, Günter Eich, Peter Huchel e Karl Krolow, molti dei quali esponenti della “Naturlyrik” - raccolti intorno alla rivista di Dresda “Kolonne”.

La natura e il paesaggio sublimati attraverso visioni mitiche e classiche e reinterpretati quali fenomeni metafisici erano un campo di esperienza come lo è stato per la Langgässer - nella visione della realtà intesa come forza autonoma, magica e superumana, nobilitata in termini simbolici, mitologici e mistici.

L'uso della simbologia nella sua scrittura è in gran parte legata alla mistica cattolica. I suoi versi strutturati quali “parti di una liturgia”, “reine Mysteriengedichte”, sono da interpretarsi teologicamente - come rivela la sua raccolta poetica “Der Laubmann und die Rose” (“Il fogliame umano e la rosa”) - in cui la Rosa assume la rappresentazione simbolica e mistica di Maria, il mondo divino dell'Essere contrapposto a quello umano del Divenire.

Scriveva la Langgässer nel 1948 a Karl Krolow a proposito di questa raccolta poetica:

(…) non sono una poetessa in senso stretto, ma considero i miei versi parte di una Liturgia. Essi vanno compresi solo teologicamente ...Sono dei puri Misteri...poichè ognuna delle poesie del “Laubmann” ha inizio col passo di danza di un Dio e io non so all'inizio dove essa mi condurrà. Ma chi è colui che mi conduce, questo lo so.”(1)

 

Il tema fondamentale della sua opera è il contenuto teologico-morale del rapporto tra la condizione umana ed il Trascendente che si palesa nel mistero più oscuro e incomprensibile: quello della sofferenza. Per la Langgässer questa materia costituisce un problema essenziale e non certo una occasione “per fare letteratura”.

Luise Rinser nella sua postfazione agli “Argonauti del Brandeburgo” lo evidenziò in modo approfondito:

“Questo è ciò che rende la letteratura tedesca moderna così piatta e tetra, il fatto che il suo mondo non è più il mondo e la sua storia non è più "storia della salvezza" (una parola di Goethe): è una battaglia tra Dio e diavolo dall'esito incerto. Il fallimento di Dio con o contro l'umanità è possibile. Per la Langgässer capire ciò e parlarne non è 'letteratura', bensì il suo "problema fondamentale". (2)

 

La prosa della Langgässer – secondo molti critici - raggiunge dal punto di vista stilistico i vertici più alti della letteratura di lingua tedesca. E' uno stile in cui la parola è densamente evocativa, ricca di citazioni, allusioni, simboli e riferimenti in gran parte biblici e mitologici.

“La più semplice parola è un sigillo magico, è la forma di espressione più concentrata che si possa immaginare” scriveva la Langgässer (3).

 

Il romanzo “Gli Argonauti del Brandeburgo” assume la struttura della Sacra Rappresentazione, del 'Mysterienspiel': la narrazione scorre su piani diversi in cui trovano posto digressioni cronologiche e momenti spaziali e temporali intersecantisi tra loro.

La Langgässer sentiva profonda affinità con la concezione estetica del “romanzo polistorico” - teoria del romanzo espressa da Hermann Broch nel suo saggio sull'Ulisse di Joyce “James Joyce e il presente” (1936) - e ammirava l'opera di Broch, specialmente “La morte di Virgilio”, opera pubblicata per la prima volta nell'originale tedesco a New York nel 1945.

In una lettera del 1949 pubblicata nella raccolta “...soviel berauschende Vergänglichkeit” troviamo riferimento al suo carteggio con Broch e la condivisione della concezione estetica del romanzo:

“Il problema che Lei solleva nella sua lettera è interamente il mio: l'incarnazione e la poesia oltre se stessa. L'annullamento della "sola" poesia con i mezzi della poesia. A questo proposito sono in corrispondenza con Broch, che ha cercato di fare lo stesso nella sua "Morte di Virgilio" e ora ha deciso di rinunciare del tutto all'opera d'arte [Ma non si può!!] (…) (4)

 

Il “romanzo polistorico” è un principio narrativo in cui la trama si sviluppa su più dimensioni e più livelli. Ciò permette di creare immagini e simboli, allegorie e metafore atte a portare luce alla coscienza.

Elisabeth Hoffmann sottolineò la rilevanza e l'importanza di tale principio narrativo:

"Molteplicità, che all'inizio va presa alla lettera. Infatti, gli eventi sono ambientati su livelli spaziali e temporali molto diversi, solo vagamente collegati tra loro. Questa struttura, che è stata lodata dalla critica contemporanea come un'audacia formale o come un'indicazione di modernità, richiede una grande attenzione da parte del lettore. Tuttavia, la forma non è affatto così disarticolata e disparata da rendere irriconoscibile una trama lineare".(5)

 

L'analogia tra la Langgässer e Joyce venne messa in evidenza in particolar modo da Luise Rinser: il superamento delle forme tradizionali del romanzo, l'uso dei riferimenti simbolici tratti dalla mistica cristiana e dalla mitologia greca e, non da ultimo, la tradizione del cattolicesimo, sono tratti comuni ai due autori legati da profonde affinità concettuali e stilistiche e, per la Rinser, affini anche nella trattazione del comune sostrato cattolico:

(...) "Così come è vergognoso che la critica letteraria inglese non abbia riconosciuto James Joyce ai suoi tempi, è altrettanto vergognoso che la critica tedesca abbia "trascurato" e dimenticato la Langgässer dopo un brevissimo periodo di relativa e controversa fama. Il collegamento tra i due nomi è fondato: l'esigenza letteraria di entrambi fu il superamento del romanzo tradizionale attraverso l'abolizione del tempo, dello spazio e della causalità; per entrambi la favola non aveva importanza; entrambi fanno agire i loro personaggi simultaneamente su tre, no, quattro livelli, come in una Sacra Rappresentazione; per entrambi il terreno fertile di cultura è il cattolicesimo, l'irlandese umido e oscuro, il renano-assiatico arido e infuocato: solo che Joyce cerca di liberarsene in modo blasfemo, mentre la Langgässer, anche quasi blasfema, cerca di penetrarne le profondità. Nessuno dei due può essere realmente compreso senza le fondamenta della cultura europea, poiché entrambi lavorano con associazioni e simboli tratti dalla mistica cristiana e dalla mitologia greca ("Ulisse" in Joyce, "Il viaggio degli Argonauti" nella Langgässer, per esempio). Ed entrambi sono mondani " (6)

Il tema del romanzo si ispira al mito degli Argonauti alla ricerca del Vello d'Oro, ma la vicenda è ambientata nel 1945, e gli Argonauti appartengono al Brandeburgo, regione che circonda Berlino, zona di occupazione sovietica alla fine del conflitto. Gli 'Argonauti' sono sette personaggi, sette persone tra loro estranee, i cui destini si uniscono tra le macerie di una città distrutta, mentre lasciano Berlino, per raggiungere a piedi Anastasiendorf e chiedere ospitalità in un convento. Il loro destino è intrecciato a sua volta a quello di altri personaggi, protagonisti di vicende parallele, che fanno da contrappunto alla storia principale. La fabula è quasi inesistente: la “narrazione” spazia su più dimensioni, consce e inconsce, e risponde ad una compiutezza ciclica, ad un principio direttivo interno che sempre si ricollega al “volere divino” e alla “predestinazione”.

Il romanzo assume in tal modo un'immagine di immutabilità di ordine morale, simile ad un affresco o ad una icona. La stessa Langgässer definì un'icona il suo romanzo: “So che Demetria altro non è stata davanti a Dio, se non lo sfondo di tutta questa icona che chiamiamo Märkische Argonautenfahrt.” (7)

Questa definizione si adatta all'esito del racconto: come nel dipinto di un'icona, la narrazione conserva solo i tratti essenziali della realtà e l'immagine che ne deriva dà forma artistica e poetica alla concezione religiosa.

Così - come nell'iconografia ortodossa - l'arte della Langgässer diviene una sacra contemplazione dell'invisibile.

 

In relazione all'origine della sacralità della parola poetica Alessandro Pellegrini, il grande germanista, nel suo volume 'Novecento tedesco' (8) aveva messo in rilievo la genesi dell'ispirazione:

“...quivi è l'origine della parola poetica, in quell'arcano e misterioso sentire, donde sorse l'impulso umano a venerare e l'invocazione religiosa. Inizialmente la parola poetica fu parola sacra (…) e la parola e il ritmo furono ritenuti un modo della rivelazione divina.(...) L'essere individuale è fatto ricettacolo del dio, e per il tramite d'amore si compie la comunione; e nell'offerta dell'uomo al dio avviene la rinuncia a una vita personale, agli stati d'animo soggettivi, variabili e mutevoli (…) Una investizione mistica fa dell'uomo il poeta (…) e la certezza di una presenza eterna dà alla vita quella “Haltung” che è stile della vita e della poesia, quella dignità sacerdotale che ordina le opere e i giorni e che riveste di luce anche il viso dell'uomo (...)”

 

Come nei grandi poemi epici anche negli “Argonauti del Brandeburgo” è posta all'inizio l'invocazione alla 'Musa', alla divinità. In questo caso la divinità è una santa del Novecento, Francesca Cabrini: prima cittadina statunitense ad essere canonizzata nel 1946, lavorò e viaggiò incessantemente nonostante fosse semi-invalida. E' probabile – non lo sappiamo – che il destino di questa santa avesse colpito l'animo della Langgässer per l'analogia e l'affinità con il suo personale destino, segnato, negli ultimi anni di vita, da una grave malattia. Ma la scelta di porre una “invocazione” alla madre Cabrini proprio nella premessa alla narrazione ha certamente anche un'altro significato: la Cabrini, italo-americana, emigrata negli Stati Uniti fondò ospedali, orfanotrofi, scuole e lavorò molto nelle carceri assistendo i condannati a morte.

Essa era per la Langgässer, la figura adatta a rappresentare il nume tutelare degli Argonauti; le ferite che la guerra aveva loro lasciato erano molto profonde; soli, abbandonati, e spesso, per ignavia o indifferenza, resisi loro stessi colpevoli della morte di altri esseri umani, talvolta oppressi dal ricordo e dal senso di colpa, tentano di ricostruire sè stessi durante questo viaggio.

Salpano dal 'triste Occidente' cercando le sponde 'senza storia' di una “terra nuova”, invocando la madre Cabrini, la madre dei pellegrini, degli orfani, dei “senza patria”.

La ricerca del “Vello d'Oro” è l'impresa a cui il destino li soggioga, un tentativo di recuperare il proprio 'regno', le proprie radici spirituali. Questa impresa non raggiungerà mai il suo scopo: la mèta si incarna nell'esperienza della missione in sé e non nel suo compimento.

 

Negli 'Argonauti' la Langgässer personifica ciò che essa definisce “le eresie e i tipici peccati tedeschi” e pone in primo piano il dramma della “perdita dell'anima” cioè della perdita nell'uomo della dimensione religiosa e spirituale.

Ciò avviene in special modo in relazione alla “Herzensträgheit” (ignavia del cuore) cioè all' “indifferenza morale” che colpisce, sebbene in modi diversi, tutti gli Argonauti.

Nella perdita della perfezione morale e della dimensione spirituale, si riflette per la Langgässer ogni concetto di peccato.

Questo tema è illustrato ripetutamente nel romanzo attraverso il referente simbolico della 'marionetta' e dei temi ad essa collegati come il 'Puppenspiel'. Si può fare in questo caso riferimento al saggio di Heinrich von Kleist “Über das Marionettentheater”.

L'individuo, analogamente ad una marionetta manovrata dal burattinaio, è in grado di muoversi solamente se i fili che lo sorreggono vengono posti su un punto di forza, un fulcro 'spirituale' attraverso il quale l'individuo è unito alla volontà trascendente, ed è con essa in perfetta armonia.

Questo fulcro riguarda il tema della Grazia e del rapporto dell'uomo con il Sovrasensibile: “...E tutto il Bene di cui gli uomini sono capaci non è frutto né del loro lavoro, né dei loro sforzi, ma ha origine solamente da quel legame con la sorgente di tutto il Bene, di nuovo restaurato attraverso il Mistero di Cristo”. (9)

La marionetta quindi non può stare in piedi da sola, ci deve essere qualcuno che la sostenga e la vivifichi per farla agire e renderla capace di svolgere nel mondo la rappresentazione del destino che le è stato imposto.

Il simbolo riveste in tutta l'opera della Langgässer una funzione ben precisa.

C.G. Jung aveva evidenziato nella 'povertà dei simboli' la grave conseguenza della perdita nell'essere umano della dimensione religiosa della vita.

Immagini sacre ed archetipi religiosi hanno perduto significato per l'uomo moderno e questo ha lasciato conseguenze profonde dal punto di vista psicologico e non solo: il linguaggio proprio dell'anima è un linguaggio simbolico.

Jung riscoprì e ripropose tale valore: attraverso il simbolo, arte e letteratura diventano rivelazioni di verità profonde, non conoscibili razionalmente e solo attraverso il simbolo l'essere umano può superare il dissidio tra la parola di Dio e la parola interiore dell'uomo (afflictio animae) per combattere quella che Edward F. Edinger, psicanalista junghiano, aveva definito la “bancarotta spirituale dell'uomo moderno”.

 

In tale contesto va letta la simbologia usata dalla Langgässer, che non solo attinge alle immagini bibliche, ma anche al mondo delle fiabe e della tradizione popolare, cioè a quella dimensione in cui l'uomo ha bisogno di rifugiarsi:

“L'uomo non può permanere a lungo nel regno del cosciente, deve rifugiarsi di tanto in tanto nell'incosciente in cui vive la sua radice” come scrisse Thomas Mann (10)

 

Attraverso la fiaba avviene il recupero della comprensione simbolica. Uno dei personaggi, Reginald, che incontriamo in un'ampia digressione narrativa all'interno del romanzo, è un bimbo che si esprime attraverso le fiabe e che mette in scena, nel suo personale teatro di marionette, in una sorta di psicodramma, la tragica vicenda realmente accaduta alla madre negli anni del conflitto.

“Marionette” sono i personaggi del teatro di Reginald: il diavolo e il soldato, il re e la regina, il coccodrillo e la principessa, Kaspar e il principe.

Sono immagini archetipiche, simboli con cui l'anima del bambino comprende la realtà e riesce a modo suo anche ad esprimerla, quando questa si integra alla coscienza.

L'archetipo è sempre un principio in quanto riferimento all'immagine di Dio nell'uomo, ed è sempre la matrice di ogni verità e di ogni concetto.

 

La fiaba messa in scena nel teatrino ripropone il tema dell'incantesimo che rapisce l'anima dei piccoli togliendo loro la forma umana. Solo attraverso il ricordo e la memoria i bimbi incantati ritrovano la loro integrità. La Memoria diventa in tal modo mezzo di salvezza.

Anche il concetto di Bellezza si svela come aspirazione dell'anima, irradiazione di perfezione interna e, come insegnava S. Agostino, nell'ordine e nella finalità dell'universo, prova dell'esistenza di Dio.

E' di barocca bellezza l'immagine della trinità che si riflette nello specchio: Markus l'idrocefalo, Deborah la nana, Sichel la gobba, i bimbi preparatisi con buffi indumenti alla partenza per la “Kinderkreuzzug” (crociata-crociera -kreuzzug-kreuzfahrt- entrambe le parole contengono la parola 'croce'), che li porterà, come mèta ultima, assieme a molti altri bambini, non al viaggio di piacere, come loro promesso, ma ad Auschwitz e a Birkenau.

Lo specchio rimane il simbolo della Verità: la potenza dell'essenza divina riflessa in quell'immagine spinge Sichel ad unirsi di propria volontà a quei bambini e ad accomunare al loro il proprio destino. Si tratta in questo caso di una conquista: acquistata la saggezza l'eroe inizia a comprendere la verità che si svela ai suoi occhi.

Come nella fiaba di Hermann Hesse “Il bel sogno” la vera comprensione inizia alla soglia della morte:

“(...) capì perfettamente perchè sua madre fosse morta eppure continuasse a vivere; intuì fin nella più segreta intimità la ragione per cui gli uomini erano così diversi per aspetto, usanze e linguaggio, e tuttavia di un'unica sostanza e quasi fratelli; comprese che la miseria, il dolore e la bruttezza sono tanto necessari e voluti, oppure imposti da Dio, da diventare belli e chiari, e che essi proclamano alto l'ordine e la gioia del mondo.” (11)

Nel romanzo si affianca alla condanna del nazionalsocialismo come “Geisteskrankheit” la comprensione cristiana.

Per la Langgässer il 'volere divino' e la 'pietà divina' sono due concetti separati solamente nella mente degli uomini, ma non in quella di Dio: “Il volere divino e la pietà divina sono due parole che indicano non ciò che è separato in Dio stesso, ma solo ciò che è disgiunto nella mente dell'uomo, come nell'Ultima Cena il pane e il vino. Eppure ognuna delle due sostanze rappresenta in se stessa tutto il Cristo nella sua integrità” (12)

 

Quindi una realtà umana destinata al fallimento (“Nella sconfitta vi è il compimento”), come la lunga e perigliosa impresa degli Argonauti, per la quale non è facile trovare una consolazione (“non consolato, ma fiducioso e in pace”), ma che rifugge dall'ignavia e sceglie comunque l'azione per sfuggire all'indifferenza e all'insensibilità:

“Agire tuttavia, nonostante questa conoscenza disperata, come se dall'azione dipendesse la beatitudine eterna, l'agire supera il nichilismo del demonio e lo confina fuori dal campo (...) Il Cristo sta al centro della ruota del mondo – agisce tacendo , e quando tace, scuote, simultaneamente, i cardini della Creazione...”(13)

 

Nel romanzo troviamo descritte varie tipologie di personaggi femminili. Da un lato Sichel, Demetra, Hendrikje, Vera e Helga (come anche i numerosi riferimenti alla Madre di Dio, 'Vas admirabilis'), vengono contraddistinte dai simboli dell'acqua e del recipiente, spesso fusi assieme, contenitore e contenuto, come cosa unica.

Il recipiente è ciò che 'assiste e cura'- “was wartet und dient” come una ancella, l'ancella che, nel caso della Madre di Dio, diventa concausa e strumento della redenzione.

“Vas admirabilis” - disse. Ma quale continente meglio dell'Asia avrebbe colto il segreto di essere un recipiente e di formare il vaso come compendio di ogni perfezione - non l'arco di trionfo o la colonna; ah, non c'è nulla che si elevi se non ciò che assiste e cura". (14)

 

Il recipiente, nella lettura psicanalitica, può simboleggiare la coscienza e la sua funzione ma è anche un emblema della Madre Chiesa, 'contenitore di idee e valori'.

Anche l'acqua è un elemento di comprensione, di conoscenza: l'aqua doctrinae rappresenta l'effetto calmante della 'sapienza' sull'anima, come è stato evidenziato da Marie Luise von Franz nelle sue analisi sul simbolismo del femminile nelle fiabe:

“In base alle antiche interpretazioni anche il battesimo cristiano era concepito come purificazione e separazione dal peccato e come cacciata degli spiriti del male. Si rileva un legame con l'idea di rinnovamento, in quanto l'individuo che veniva battezzato rinasceva in Cristo e si liberava dei peccati pagani precedentemente commessi (…) L'acqua si riferisce all'inconscio; entrare e uscire dall'acqua sembra avere una certa analogia con il penetrare nell'inconscio. Il fonte battesimale nel Cristianesimo è spesso paragonato all'utero della Madre Chiesa e ha quindi un aspetto materno: si rinasce nel ventre eterno che è l'acqua (…) Possiamo perciò affermare che il tema del bagno, dell'acqua, rappresenta il ritorno all'inconscio, al fine di purificarci da taluni aspetti dell'Ombra che non ci appartengono realmente.” (15)

Nei riferimenti a Sichelchen questo tema simbolico ricorre esemplarmente nel suo 'ricordo' che assume il ritmo di una invocazione in cui ricorrono i termini Zisterne, Welle, Gefäss, Krug, mentre la falce di luna, appare dal profondo del pozzo, 'recipiente' d'acqua profonda.

L'acqua-coscienza si solidifica nella sfera-spirito, la materia spirituale prende forma concreta. La sfera di cristallo è simbolo di “chiarezza, innocenza, semplicità”, un tema che si ripropone nel settimo capitolo di “Lotte in Weimar”

(…) l'immagine della donna nobile e beatamente pura. Essa si reca ogni giorno al fiume ad attingervi ristoro e non abbisogna né di brocca né di secchio, poiché fra le sue mani pie l'onda si solidifica miracolosamente in una sfera di cristallo. Amo questa palla squisita che la pura donna porta a casa ogni giorno con serena devozione, simbolo fresco e concreto di chiarezza non intorbidata, di innocenza non tentata e di ciò che la semplicità può raggiungere. Se la pura mano del poeta si chinerà ad attingere, l'acqua si farà solida sfera...”(16)

 

Nella scelta del nome di Demetra per la badessa del convento - il personaggio che fa da 'demiurgo' o da 'principio ordinatore' al viaggio degli Argonauti - è già adombrato il legame con quell'archetipo femminile materno, considerato come scaturigine del sacro, che si trasformerà poi con il Cristianesimo nel volto della Madre divina e della Vergine celeste.

Anche Demetra è segnata dall'emblema dell'acqua, un'acqua sacra che nel pozzo del convento acquista particolari qualità terapeutiche.

 

Non ritroveremo più questi simboli in altri personaggi femminili, quali Irene von Dorfer e Lotte Corneli, figure collegate nel romanzo al tema delle Erinni (fomentatrici di discordia) e del ricordo (Erinnerung), inteso come valenza 'nociva' cioè come fuga dalla realtà.

Questi personaggi non vivono il presente: permanentemente legati al passato vegetano avvolti in una tristezza cattiva e paralizzante (Schwermut), una sorta di accidia e di infingardaggine, indifferenti alla realtà.

Irene e Lotte sono belle, ma di una bellezza lunatica, come la bellezza delle ninfe e degli elfi, che non hanno anima (17). Non riescono pertanto a farsi 'recipiente', ad elargire il Bene o la Gioia.

Per la Langgässer la Gioia non è certo un 'fantasma poetico-romantico' bensì una realtà concreta, un progetto costruttivo. Si potrebbe dire un dovere per ogni essere umano: “...una gioia che non è illusione, bensì...realtà...” una forza che riempie lo spirito guerriero delle suore di Anastasiendorf, nella loro vita di stenti e di privazioni: “Gioia, che altro se non la gioia abbiamo cercato nei voti perpetui di povertà, castità e obbedienza? La più sublime, la più inalterabile gioia... Gioia e Amore...  Null'altro oggi si impara con maggiore difficoltà”(18)

Collegato all'acqua e al recipiente è il simbolo della sfera. L'acqua solidificata è materia spirituale costituita in forma concreta, l'acqua-coscienza che si solidifica nella sfera-spirito. La sfera di cristallo diviene simbolo di 'chiarezza, innocenza, semplicità.

La trasformazione di questo emblema nel corso del romanzo esemplifica – secondo la Rinser – lo stesso cammino spirituale della scrittrice.

Potremmo dire in questo caso non solo la trasformazione della sfera, ma anche la stessa trasformazione-solidificazione dall'elemento acqua-recipiente all'elemento vetro-sfera di cristallo, quindi la triade simbolica acqua-recipiente-sfera.

Alla conclusione del romanzo una sfera di cristallo appartenuta al rosario di un monaco ortodosso verrà usata per sostituire quella di cera scioltasi per il caldo, in mano alla statua del Bambino Gesù in braccio alla Madre: il simbolo del Mondo concretizzato nella sua materia spirituale.

Questo momento segna la dispersione definitiva degli Argonauti, la fine del loro viaggio. L'impresa, pur destinata al fallimento, come ogni altra azione umana, ha fissato il proprio scopo e la propria mèta nel legame più tenace con quella forza che conduce i fili della Marionetta: “Abbiamo un solo compagno capace di restituirci a noi stessi, al nostro intimo essere, alla nostra dignità e alla nostra libertà, e questo è solamente il nostro Dio interiore” - scriveva la Langgässer (19)

Il ciclo narrativo-liturgico del romanzo si conclude mentre il contadino Pachulke, scavando la terra per seppellirvi in una tomba comune i corpi di un soldato tedesco e di uno russo, descrive le usanze funebri dei cristiani ortodossi e recita la loro preghiera:

 

“Quanto tempo sei stato via?

Quattro... aspetta... no, cinque... no, sette anni...

E per quanto tempo sei stato in Russia?

Da Stalingrado

Ma lì la gente è diversa, vero?

No, la gente è uguale.

Ma sono completamente senza Dio?

Non è vero. L'ultima Pasqua ero in una foresta.

Hai fatto la legna?

Sì, anche quello. Molte betulle, qualche cespuglio di ginepro e molto muschio ed erba.

E allora?

Sono arrivato lì all'alba, il sole era appena sorto.

C'erano contadini, uomini e donne, sdraiati a terra.

A terra?

Sì, sopra una croce per terra, che tutti hanno toccato e baciato, prima in alto, poi in basso, poi a destra e poi a sinistra, e infine il segno della lancia. Hanno anche cantato.

Cosa cantavano, Pachulke?

Il Tre volte Santo, come lo chiamano loro

Chi – loro?

Gli ortodossi

Come si chiama questo triplice santo che cantavano?
Dio Santo. Dio immortale. Santo e forte. Dio immortale, santo, forte. Forte immortale.

E sempre sulla terra?

Sì, sulla terra

Era proibito?

No, non era proibito. Arrivarono sempre più persone, donne e bambini, giovani soldati. Alla fine si unì a loro un capitano.

Baciarono tutti la croce a terra?

Baciarono la croce e accesero candele su tutti i ceppi degli alberi.
Te lo sei solo sognato Pachulke - disse il contadino a bocca aperta - mise di nuovo il piede sulla pala e buttò in alto la terra...(20)

 

Agli “Argonauti del Brandeburgo” va accostato per tematica e trattazione l'altro grande romanzo della Langgässer “Il Sigillo indelebile”

La struttura dei due romanzi è analoga dal punto di vista stilistico-narrativo.

Nel “Sigillo indelebile” la narrazione scorre e si svolge nel periodo che va dal 1914 al 1943 con ampie digressioni temporali e spaziali e vasti incisi narrativi (come per esempio il lungo monologo di S. Teresa di Lisieux nella parte centrale del romanzo), con uno stile di estrema pittoricità e con una precisa analogia tra l'esteriore macrocosmo e le emozioni del mondo interiore.

Il “Sigillo indelebile” (il battesimo) è nel romanzo l'iniziazione del battesimo cristiano, un rito che conserva intatte per la Langgässer tutte le valenze simboliche trascendenti, è cioè il rito che segna la morte della natura titanica dell'uomo e che lo fa rinascere alla sfera divina, attraverso i vettori simbolici di purificazione: l'acqua, il fuoco e il vento, un rito di passaggio dalla materia allo spirito, l'emergere dall'oscurità del grembo alla luce esterna.

 

Il romanzo è stato scritto nel periodo che va dal 1936 al 1947: vi si narra l'esperienza del commerciante tedesco Lazarus Belfontaine (figura che adombra il padre della scrittrice), un'ebreo che per sposarsi si fa cattolico e si sottopone 'a scopo strumentale' al rito del battesimo, convinto che questo cerimoniale non l'avrebbe minimamente modificato: “Quando cominciammo a fare sul serio, lei pretese che fossi battezzato...Quel po' d'acqua, pensai allora, non potrà nuocerti...”(21)

Quelle poche gocce d'acqua che avrebbero dovuto lasciarlo immutato, lo sconvolgono invece profondamente. Inizia così nella coscienza e nell'anima di Belfontaine una contrapposizione conflittuale col cristianesimo e nel romanzo un impietoso dialogo dell'uomo con il divino.

Il romanzo delinea un affresco allegorico-simbolico che disegna, in un diagramma meraviglioso, l'insoluto mistero della Vita e il pellegrinaggio dell'anima verso la luce.

Il lavoro della Langgässer penetra nel solco di questa suprema sfida: il lucente giardino irrorato dall'acqua che riluce ai raggi del sole è essenza di tutte le potenzialità dello spirito, il giardino chiuso del Cantico dei Cantici: “Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata” (4,12), simbolo cristiano della Vergine Maria, emblema dell'anima, delle sue qualità e della sua natura ordinata.

 

Nella postfazione al romanzo Elisabeth Hoffmann pose l'accento sulla simbologia e sulla ricchezza di immagini, sottolineando che l'interpretazione della loro funzione e del loro significato costituiscono un problema fondamentale nell'esegesi dell'opera.

La Hoffmann percepì nel loro impiego una strategia di interpretazione poetica della dimensione dell'esistente: “In queste pagine il simbolismo può apparire piuttosto inopportuno: la sovrabbondanza di immagini, di cui rimangono talvolta enigmatici significato e funzione, è un problema fondamentale del romanzo. La profusione nell'uso della metafora è tuttavia una strategia atta a cogliere poeticamente la dimensione sensibile dell'esistenza.”(22)

Il complesso problema del simbolo quale linguaggio trascendente nell'opera della Langgässer affascinò anche Hermann Broch che nel 1949 in una recensione sulla “Literarische Revue” definì il “Sigillo indelebile”: “un'opera poetica di alto livello ... una smisurata fornace di demoni e di angeli, che in profondità arde e freme senza posa, mentre la superficie – nel moto più impenetrabile e al tempo stesso più delicato che vi sia mai stato in un'opera in prosa – riluce cangiante di tutti i colori della virtù magica...”(23)

L'opera stessa della Langgässer è una ricerca della Parola Perduta, del Linguaggio spirituale, simboleggiato da un 'liber mundi' nascosto allegoricamente nelle pieghe della narrazione, e per magica analogia, nei passi talora oscuri del misterioso manoscritto di Donoso Cortes, di cui si narra nel romanzo, che sembra essere la fonte di un grandioso sistema cosmogonico:

“Un sistema immenso (…) che tutto racchiude e tutto contempla: Dio e l'Angelo, l'Universo e l'immagine di Dio – l'Uomo; la causa ultima degli esistenti, il principio della storia ed il suo corso; la natura dei corpi, l'essenza degli spiriti, il cammino degli uomini e la loro mèta che li attrae dissimulata, eppure magneticamente irresistibile, segreto di ogni peregrinazione, arcano della sofferenza ed infine mistero della vita e della morte.”(24)

Attraverso un linguaggio emblematico ed immaginifico la Langgässer traccia l'iter della narrazione, appropriandosi della chiave interpretativa che accede alla sfera più alta.

Lo fa senza contrapposizioni, senza accostare il dualismo degli opposti che – afferma – non trova spazio in Dio, mentre si perpetua invece nella mente dell'uomo:

“Dio Unità in India. Dualità in Persia. Molteplicità in Grecia e moltitudine nell'antica Roma. Uno nel Tuo Essere e multiplo nelle Persone; molteplice nelle facoltà e differenziato nelle Gerarchie degli Spiriti, che eseguono la Tua volontà. Causa prima. Sostanza illimitata ed incorporea. Creatore di ogni moto, eppure calma infinita. Tutto comprendi, nulla può comprenderTi...” (25)

 

Anche in quest'opera ritroviamo il tema simbolico della “Marionetta”: L'individuo nel teatro del mondo, conteso da un lato dalle mistificazioni della sua mente e della sua cultura, dall'altro dal disegno eterno della sua predestinazione, dovrà amaramente comprendere che sia le prime che il secondo sono collegati all'unicità del suo destino, preesistente alla sua presenza nel Tempo.

La realtà del vivere si rivela un maleficio: la socialità – simboleggiata nel romanzo dall'immagine della Gorgone Medusa – è un'insidia che pietrifica l'uomo, che gli impone la sudditanza e lo condanna alla cecità di puro strumento, vanificando in tal modo il suo legame con la Trascendenza.

La scrittrice vede la forza pietrificante della Gorgone trasformare in una enclave dell'inferno le singole anime, le singole esistenze, attraverso quegli ordinamenti e quegli aspetti della vita collettiva e sociale che essa definisce “le maschere di Satana”, alle quali gli esseri umani – privati della coscienza - finiscono per assoggettarsi:

“(...) E cosa intende per “Maschere di Satana”?- chiese all'abate. “Beh,– praticamente tutto quello che esiste oggi”, rispose Le Roy. “Lo Stato moderno: una maschera di Satana. Il nazionalismo. Il militarismo. La civilizzazione.” (26)

 

La lotta contro il potere delle tenebre non si placa.

Nella “trasmutazione alchemica” dell'individuo, assistiamo all'ultimo, estremo tentativo di squarciare il mistero della creazione e di trovare la salvezza. Alcuni si salveranno, certamente, ma non la società nel suo complesso perchè quest'ultima non vuole essere salvata.

“L'ordine dell'Europa muore e con esso la società su cui è fondato. Si è fondato sull'errore, e poiché l'errore ha la forza di uccidere così come la verità ha la forza di riportare alla vita, sarà distrutto senza alcuna possibilità di salvezza. Se gli uomini possedessero questa verità, o anche solo una sua piccola parte, potrebbero tutti essere salvati.

Ma la loro caduta è così pesante, la loro cecità così profonda, che non possono nemmeno sospettare la verità, figuriamoci possederla.(27)

 

Il Cristianesimo come coscienza archetipica e patrimonio simbolico che trascende il mondo dell'Arte e della Letteratura è la concezione di fondamentale importanza nell'estetica della Langgässer e nel suo sforzo di attuazione di un'Opera che si rispecchiasse nella coscienza collettiva contemporanea. Il suo linguaggio poetico non è semplice e non potrebbe esserlo per la complessità ed il livello di coscienza assunto dal mondo contemporaneo.

Ella infatti considerava compito dello scrittore la costruzione di un linguaggio universale, sulla base della conoscenza e della mediazione precisa e veloce di idee comuni.

Nel suo testamento estetico “Rechenschaftsbericht an meinen Leser” (Resoconto ai miei lettori) del 1949, delineò la sua poetica ed affrontò le tematiche fondamentali dell'Estetica del Novecento.

La sua opera, che può essere accostata a quella di Bernanos, Paul Claudel e Mauriac e che si configura tra le maggiori della letteratura tedesca del XX secolo, era stata messa all'indice delle opere letterarie nella Germania dell'Est.

Elisabeth Hoffmann nella Postfazione al “Sigillo Indelebile” osservava:

“Per quanto la sua concezione possa sembrare dogmatica e rigida, e quindi problematica per chi la pensa diversamente, lo sforzo intellettuale e l'onesto tentativo di Elisabeth Langgässer di trovare una forma moderna adeguata meritano rispetto. Le opere di Claudel o di Bernanos sono paragonabili alla sua, mentre la letteratura cristiana contemporanea in Germania difficilmente può reggere il confronto, anche dal punto di vista estetico” (28)

 

Luise Rinser, lei stessa grande scrittrice del Novecento, scriveva nella Postfazione agli 'Argonauti', pubblicato dopo la morte della scrittrice, il suo appello dolente:

“Chi è questa donna? Dimenticata. Dimenticata, la più grande scrittrice del nostro secolo. (...)
Chiunque abbia osato affrontare temi così universali deve possedere un'estrema padronanza della forma e del linguaggio. La potenza della parola nella Langgässer si fonda su un penetrante potere di osservazione che va al cuore di un fenomeno, in modo ugualmente poderoso nella poesia così come nella prosa.

(Ogni volta che la leggo, perdo il coraggio di continuare a scrivere).”
(…) Per capire la Langgässer, non bisogna solo conoscere la sua opera, ma anche le sue lettere private, queste testimonianze di sofferenza, di calore umano e di amicizia, di paura difffusa e di disperazione, di coraggio quotidiano, di quella "fede cieca" che una poetessa profondamente colta chiedeva - con saggezza ed umiltà - al mondo.
(29)

 

Spesso confinata nella “letteratura confessionale cattolica” la sua opera non ha trovato l'accoglienza che avrebbe meritato. L'unicità di coscienza culturale, la sacralità del dialogo tra l'uomo e Dio, la profonda ascesa alla Trascendenza ma anche l'intero scenario della disperazione umana rendono le opere della Langgässer capolavori assoluti.

E tutta la sua scrittura è votata ad un unico compito:

"L'arte non è mai puramente distruttiva, ma - qualunque sia la sua natura - ha sempre il compito di scuotere le coscienze e di liberare l'uomo dalla paura e dalla menzogna..." (30)

NOTE

1) Langgässer, Elisabeth

“...soviel berauschende Vergänglichkeit”

Briefe 1926-1950 – Ullstein, Frankfurt, 1981 pag. 152

“(...) 'Laubmann' ist die Natur-Rose”; Die Übernatur, Maria, die Trägerin des 'Logos'. Umwandlung der Staubgefässe in Blütenblätter, Ende von Geburt, Zeugung und Tod, reines “Sein”, vollendetes Paradies. Ich bin ja eigentlich kein Lyriker im strengen Sinn, sondern meine Verse sind Teile einer Liturgie. Man kann sie eigentlich nur teologisch verstehen (...) Sie sind reine Mysteriengedichte (...) Denn jedes der “Laubmann”- Gedichte fängt mit dem Tanzschritt eines Gottes an, und ich weiss am Anfang nie, wohin ich entführt werde. Nur wer mich entführt – das weiss ich.”

2) Rinser, Luise “Im Scheitern ist Erfüllung”

Postfazione a “Märkische Argonautenfahrt” - pag. 414

sta in: Märkische Argonautenfahrt – Ullstein, Frankfurt, 1981

“Das ist's, was die moderne deutsche Literatur so platt und trist macht, daß ihre Welt nicht mehr die Welt und ihre Geschichte nicht mehr “Heilsgeschichte” ist (ein Goethewort): der Kampf zwischen Gott und Teufel, wobei der Ausgang unsicher ist. Das Scheitern Gottes mit oder an der Menschheit ist möglich. Dies zu sehen und zu sagen, ist bei der Langgässer nicht “Literatur”, es ist ihr schneidendes Grundproblem”.

3) Langgässer, Elisabeth

“...soviel berauschende Vergänglichkeit” - op.cit. pag. 49

“...das einfachste Wort ist ein magisches Siegel, ist die denkbar konzentrierteste Ausdrucksform!”

4) Langgässer, Elisabeth

“...soviel berauschende Vergänglichkeit” - op.cit. pag. 196

Das Problem, das Sie in Ihrem Brief anrühren, ist vollkommen das meine - nämlich die Inkarnation und das Dichten über sich selbst hinaus. Aufhebung der "Nur"- Dichtung mit den Mitteln der Dichtung. Darüber stehe ich in Briefwechsel mit Broch , der das Gleiche in seinem "Tod des Vergil" angestrebt und sich nun zum Verzicht auf das Kunstwerk überhaupt entschlossen hat [Aber kann man ja nicht!!] (...)

 

5) Hoffmann Elisabeth – “Nachwort” – Postfazione a “Das unauslöschliche Siegel”- DTV (Deutscher Taschenbuch Verlag), München, 1989 pag. 625

“Vielschichtigkeit, das ist zunächst einmal wörtlich zu nehmen. Denn das Geschehen wird auf ganz verschiedenen räumlichen und zeitlichen Ebenen, die nur lose miteinander verknüpft sind, angesiedelt. Diese Struktur, die von der zeitgenössischen Kritik als formale Kühnheit gerühmt oder als Indiz der Modernität konstatiert wurde, verlangt vom Leser viel Aufmerksamkeit. Doch ist die Form keineswegs so aufgelöst und disparat, daß eine lineare Handlung nicht erkennbar wäre.”

6) Rinser, Luise “Im Scheitern ist Erfüllung”- Postfazione a “MärkischeArgonautenfahrt” - pag. 413- 414 – op.cit.

(…) “So beschämend es für die englische Literaturkritik ist, James Joyce nicht erkannt zu haben in seiner Zeit, so beschämend ist es für die deutsche , die Langgässer “übersehen” und vergessen zu haben, nach einer ganz kurzen Zeit eines relativen, umstrittenen Ruhmes. Die Verbindung beider Namen ist begründet: Beider literarisches Anliegen ist die Überwindung des traditionellen Romans durch die Aufhebung von Zeit, Raum und Kausalität; beiden war die Fabel unwichtig; beide lassen ihre Personen agieren zugleich auf drei, nein vier Ebenen, wie im Mysterienspiel; für beide ist der fruchtbare Mutterboden der Katholizismus, der dunkle, feuchte irische, der trocken feurige rheinhessische, nur: Joyce versucht sich seiner blasphemisch zu entledigen, während die Langgässer, auch fast blasphemisch, in seine Tiefe einzudringen sucht. Beide sind nicht wirklich zu verstehen ohne einen Fundus an europäischer Bildung, denn beide arbeiten mit Assoziationen und Symbolen aus der christlichen Mystik und der griechischen Mythologie ('Ulysses' bei Joyce, 'Märkische Argonautenfahrt' bei der Langgässer zum Beispiel). Und beide sind welthaltig. (…) “

 

7) Langgässer, Elisabeth

“Märkische Argonautenfahrt” - op. cit. - pag. 409

“Ich weiß, daß Demetria weiter nichts als der Hintergrund dieser ganzen Ikone, die wir Märkische Argonautenfahrt nennen, vor Gott gewesen ist.”

08) Pellegrini, Alessandro “Novecento tedesco”

Principato ed. Milano, 1942 pagg. 167-168

09) Langgässer, Elisabeth “...soviel berauschende Vergänglichkeit”

Briefe 1926-1950 – Ullstein, Frankfurt, 1981 pag. 208

“...Und alles , was Menschen etwa fähig sind, “gut zu machen” , also alles “Gutsein” ist ja nicht ihr eigenes Werk und ihre eigene Bemühung , sondern es entspringt nur aus dieser Verbindung mit dem Quell alles Gutsein, zu der wir durch Christus wieder fähig gemacht worden sind.”

10) Thomas Mann 'Lotte in Weimar' - Fischer Verlag, Francoforte, 1974, pag. 260

“In Bewussten kann der Mensch nicht lange verharren; er muss sich zuweilen ins Unbewusste flüchten, denn darin lebt seine Wurzel.”

 

11) Hermann Hesse

“Il bel sogno” - sta in: “Leggende e fiabe”

tit.originale “Marchen und Legenden” trad. Francesco Saba Sardi

1981, Mondadori, Milano - pagg. 211-216

12) Langgässer, Elisabeth

“Märkische Argonautenfahrt” Ullstein, Frankfurt, 1981 pag. 297

“Gottes Ratschluss und Gottes Erbarmung sind nur zwei Worte für eine Sache, die nicht in Gott selber getrennt ist, sondern nur in unserem eigenen Geist wie im Abendmahl Brot und Wein. Und doch stellt jede der beiden Substanzen den ganzen Christus dar.”

13) Langgässer, Elisabeth

“Märkische Argonautenfahrt” Ullstein, Frankfurt, 1981 pag. 394

“... Diese verzweifelte Wissen und trotzdem Handeln, ald ginge davon die ewige Seligkeit ab, überwindet den Nihilismus des Teufels und drängt ihn aus dem Feld (…) Der Christ steht auf der Nabe der Welt – wenn er gehandelt hat, hat er geschwiegen, und wenn er schweigt, hebt er, ohne zu ahnen, die Angeln der Schöpfung aus...”

 

14) Langgässer, Elisabeth

“Märkische Argonautenfahrt” - op. cit. pag. 405-406

“Vas admirabilis” - sagte er. Doch welcher Erdteil hätte wohl schöner das Geheimnnis begriffen, Gefäss zu sein und zum Inbegriff jeder Vollkommenheit die Vase zu bilden, als Asien – nicht den Triumphbogen oder die Säule; ach, überhaupt nichts, was sich erhebt, sondern, was wartet und dient.”

 

15) von Franz, Marie-Louise

“Le fiabe del lieto fine” - Red edizioni, Como, 1987, pagg. 31-32

16) Thomas Mann

Lotte in Weimar – op.cit. pag. 322-323

“...das Bild hochedler, selig-reine Fraue, die zum Flusse wandelt, tägliche Erquickung zu schöpfen, und dabei nicht Krugs noch Eimers bedarf, da sich ihren frommen Händen die Welle herrlich zur krystallnen Kugel ballt. Ich liebe diese köstliche Kugel...”

"l'immagine della donna nobile e beatamente pura. Essa si reca ogni giorno al fiume ad attingervi ristoro e non abbisogna nè di brocca nè di secchio, poichè fra le sue mani pie l'onda si solidifica miracolosamente in una sfera di cristallo. Amo questa palla squisita..." [per la traduzione italiana vd. Thomas Mann 'Carlotta a Weimar' – traduzione di Lavinia Mazzucchetti – introduzione di Roberto Fertonani - Oscar Mondadori – Milano – 1981 – pag. 282]

17) Langgässer, Elisabeth

“Märkische Argonautenfahrt” - op. cit. pag. 230

“(…) und die Schönheit des Madchens war launischer, als Schönheit gewöhnlich zu sein pflegt; sie war die Schönheit von Nixen und Elfen, die keine Seelen haben”(...)

18) Langgässer, Elisabeth

“Märkische Argonautenfahrt” - op. cit. pag. 102

“Freude. Was sonst als Freude haben wir in den Gelübden der Beständigkeit und der Armut, der Keuschheit und Unterwerfung gesucht? Die sublimste, die dauerhafteste Freude (…) Freude und Liebe (… ) Nichts wird heute schwerer erlernt...

19) Langgässer, Elisabeth

“...soviel berauschende Vergänglichkeit” - op.cit. - pag. 162

“Es gibt im Grund nur einen einzigen Partner, der den Menschen sich und sein eigentlichstes Wesen, seine Würde und Freiheit zurückwirft, und das ist der persönliche Gott.”

20) Langgässer, Elisabeth

“Märkische Argonautenfahrt” - op. cit. pag. 411-412

“Wie lange warst du eigentlich fort?

Vier - warte - nein, fünf, nein sieben Jahre sind das wahrhaftig her

Und wieviel warst du davon in Russland?

Seit Stalingrad - sagte er

Aber die Menschen sind doch dort anders?

Nein, auch die Menschen sind gleich

Aber sie sind doch ganz ohne Gott?

Das gibt es nicht - sagte er - Letzte Ostern war ich in einem Wald

Hast du Holz gemacht?

Ja das auch. Lauter Birken, ein paar Wacholderbüsche und sehr viel Moos un Gras.

Und ?

In der Dämmerung kam ich hin, die Sonne ging eben auf.

Da waren Bauer, Männer und Frauen, welche am Boden lagen.

Am Boden?

Ja, über einem Kreuz an der Erde, das jeder mit Mund und Brust berührte, erst oben, dann unten, dann rechts und dann links, zuletzt das Lanzenmal. Sie haben auch gesungen dabei.

Was haben die denn gesungen Pachulke?

Das Dreimalheilig wie sie es nennen

Wer sie?

Die Orthodoxen

Wie heisst es denn dieses Dreimalheilig, das sie gesungen haben?

Heiliger Gott. Unsterblicher Gott. Heiliger, starker Gott. Unsterblicher, heiliger, starker Gott. Starker Unsterblicher.

Und immer über die Erde hin?

Ja, über die Erde hin.

War es verboten?

Nein, nicht verboten.

Immer mehr Leute kamen herbei - Frauen und Kinder, junge Soldaten. Zuletzt kam ein Hauptmann dazu.

Küssten sie alle das Kreuz an der Erde?

Sie küssten das Kreuz, und sie steckten Kerzen auf allen Baumstümpfen an.
Das hast du doch nur geträumt, Pachulke - sagte der Bauer mit offenem Mund, setzte von neuem den Fuss auf die Schaufel und warf die Erde empor...”

 

21) Langgässer, Elisabeth

“Das unauslöschliche Siegel”- DTV (Deutscher Taschenbuch Verlag), Munchen, 1989 pag.631-632

“Nun meine Eltern waren schon tot, ich hatte auch keine Geschwister, ein paar entfernte Verwandte nur...und brauchte nach nichts zu fragen. Das bisschen Wasser, dachte ich damals, kann dir ja wohl nicht schaden...”

22) Langgässer, Elisabeth

“Das unauslöschliche Siegel” - op. cit. - pag. 628 (Nachwort von Elisabeth Hoffmann)

“In diesem Abschnitt mag die Symbolik etwas aufdringlich erscheinen; die Überfülle von Bildern, deren Sinn und Funktion manchmal rätselhaft bleiben, ist ein grundsätzliches Problem des Romans. Der verschwenderische Einsatz von Metaphern ist jedoch eine Strategie, die dazu dient, die sinnliche Dimension des Daseins poetisch einzufangen.”

23) Langgässer, Elisabeth

“Das unauslöschliche Siegel” - op. cit. - pag. 625 (Nachwort von Elisabeth Hoffmann) – citazione da Hermann Broch

“Ein dichterisches Kunstwerk hohen Ranges (…) ein Hexen und Engelskessel, in dessen Tiefen es unaufhörlich gärt und kocht, während die Oberfläche darüber – in dichterster und dabei zartester Bewegung wie kaum sonst in einem Prosawerk – mit allen Farben des Zaubertums schillert”, so hat Hermann Broch 1949 in einer Rezension für die Literarische Revue “Das unauslöschliche Siegel” charakterisiert.

24) Langgässer, Elisabeth

“Das unauslöschliche Siegel” - op. cit. - pag. 332-333

“Ein grandioses System – fährt Donoso fort – das alles enthält und umfasst : Gott und den Engel, das Universum und das Ebenbild Gottes – den Menschen; die Endursache des Seienden, den Beginn der Geschichte und ihren Verlauf; die Natur der Körper, das Wesen der Geister, die Menschenwege und ihr verhülltes, aber magnetisches Ziel, Geheimnis der Pilgerschaft, Rätsel der Tränen und endlich das Mysterium des Lebens und des Todes.”(...)

(…) Diese Sätze sind furchtbar (…) Sie sind mystisch und einfach, verwickelt und klar, und gleichen Bruchstücken einer Hymne, die vor Zeiten verlorenging.(...) Gott Vater, Gott Sohn und Gott Heiliger Geist – dreifach in den Personen und eins in der Wesenheit. (…) In seinem Wesen ruhen daher die Urbilder aller Dinge.

(25)Langgässer, Elisabeth

“Das unauslöschliche Siegel” - op. cit. - pag. 332

“Gott – Einheit in Indien. Zweiheit in Persien. In Griechenland Mannigfaltigkeit und Vielheit im alten Rom. Einfach in deinem Wesen und mehrfach in den Personen; mannigfaltig in mancherlei Attributen und vielfach durch die Scharen der Geister, die Deine Befehlsträger sind. Allursache, Unbegrenzte, unkörperliche Substanz. Urheber jeder Bewegung, aber unendliche Ruhe. Alles enthältst Du, Dich enthält nichts.”

(26) Langgässer, Elisabeth

“Das unauslöschliche Siegel” - op. cit. - pag. 481

“(...) Und was meint er mit diesen Masken des Satans?” - fragte er den Abbé. “Nun – so ziemlich alles, was heute besteht”, entgegnete Le Roy. “Der moderne Staat: eine Maske des Satans. Der Nationalismus. Das Militär. Die Zivilisation”

(27)Langgässer, Elisabeth

“Das unauslöschliche Siegel” - op. cit. - pag. 327

“Die europäische Ordnung stirbt und mit ihr die Gesellschaft, die auf ihr gegründet ist. Ihr Fundament ist der Irrtum gewesen, und weil der Irrtum die Kraft zu töten wie die Wahrheit die Kraft zu beleben hat, wird sie rettungslos untergehen. Wenn die Menschen diese Wahrheit besässen, was sage ich: nur eine einzige Wahrheit , könnten alle gerettet werden. Doch ihr Sturz ist so schwer, ihre Blindheit so tief, dass sie die Wahrheit nicht einmal ahnen, geschweige besitzen können”

(28) Langgässer, Elisabeth

“Das unausloschliche Siegel” - op. cit. - postfazione di Elisabeth Hoffmann - pag. 636

“So dogmatisch und rigide und damit für den Andersdenkenden problematisch ihr Konzept auch erscheinen mag, die intellektuelle Anstrengung Elisabeth Langgässers und das redliche Bemühen, eine adäquate moderne Form zu finden, verdienen Hochachtung. Werke eines Claudel oder Bernanos sind dem vergleichbar, während die zeitgenössische christliche Literatur in Deutschland auch unter ästhetischen Gesichtspunkten wohl kaum daneben bestehen kann.”

(29) Rinser, Luise “Im Scheitern ist Erfüllung”-

Postfazione a “MärkischeArgonautenfahrt” - pag. 413- 416 – op.cit.

“Wer ist diese Frau denn? Vergessen. Vergesssen die grösste deutsche Schriftstellerin unseres Jahrhunderts (…)

Um die Langgässer zu verstehen, sollte man nicht nur ihr Werk kennen, sondern auch ihre Privatbriefe, diese Zeugnisse des Leidens, der menschlichen Wärme und Freundschaft, der Weltangst und Verzweiflung, der alltäglichen Tapferkeit, des "blinden Glaubens", um den eine hoch-intellektuelle Dichterin in Weisheit und Welt-Demut bat.

30) Langgässer, Elisabeth

“...soviel berauschende Vergänglichkeit” - op.cit. - pag. 222

“Kunst ist niemals rein destruktiv, sondern sie hat – welcher Art sie auch immer sein mag – stets die Aufgabe der Erschütterung des Gewissens und die Befreiung des Menschen von Furcht und Lüge...”

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