top of page

 

 

Cioran il Rivelatore

 

 

a cura di Sergio Del Bianco

 

“La religione che abbiamo è appena sufficiente a farci odiare, ma non è sufficiente a farci amare l'un l'altro...”(Jonathan Swift)

 

“L'uomo si differenzia dagli animali perchè è assassino: è l'unico primate che uccida e torturi membri della propria specie senza motivo, né biologico, né economico, traendone soddisfazione.”(Erich Fromm)

 

“La vita non è che un'ombra che cammina: un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un'idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla”(Macbeth, Atto V, Scena V)

 

Si è scritto spesso di Emile Cioran come di un mistico senza fede.

I suoi libri, pubblicati nell'arco degli ultimi 50 anni, sono una delle massime testimonianze “religiose” della modernità, rappresentano una teologia nella quale il Dio positivo della Cristianità, distrutto dalla dualità del mondo del divenire, è reso inaccessibile all'uomo e impotente contro il padrone incontrastato del Tempo, quel Satana “a mala pena distinto da Dio, di cui non è altro che la faccia visibile”(1)

Del misticismo Cioran coltiva l'istanza al rifuggire dalla dimensione temporale che priva l'esistente della primeva purità dello spirito e lo espone ai contatti misteriosi e malefici di una contingenza ognora variabile; di esso coglie altresì l'aspetto essenziale, l'idea unitaria, conglobante, dei fenomeni, la realtà che non si palesa nella descrizione, ma nell'Atto stesso come unione costante con Dio.

Cioran rigetta l'affabulazione episodica della significazione comunicativa per parlare di Dio, è convinto che cercare un ponte con l'inaccessibile sia una ricerca che non darà mai frutto e si assoggetta invece ai momenti di intuizione, lucida e immediata, che la stessa Essenza gli offre. Rigetta e si libera dalla sovrastruttura culturale di cui sono formati i luoghi comuni del nostro pensiero, la distorsione dei concetti della parola, inseguendo la sostanza del mito babelico, del tempo in cui, secondo la Genesi: “tutta la terra aveva una lingua sola e parole uguali”, e gli uomini potevano comprendersi l'un l'altro, epoca spazzata via dalle orribili conseguenze della Caduta dell'uomo che un tempo era capace di parlare con Dio e di comprenderlo.

Della lingua Cioran è maestro: con purità e limpidezza lui, nato in Romania ed esule a Parigi dal '37 raggiunge i vertici stilistici della grande letteratura francese. Non è solo maestro di stile: quello che dice raggiunge direttamente l'interiorità del lettore, gli mostra ineluttabilmente una delle verità negate: l'uomo così com'è, distruttore e bestemmiatore della Vita e di Dio, che dovrebbe riconoscersi tale ma non lo fa, perchè non ne ha né voglia né capacità: “Il paradiso è assenza dell'uomo” (2) scrive Cioran. E' tragica e insieme essenzialmente vera la visione di Cioran sull'uomo e sul mondo, una 'Weltanschaung' approdata al Nulla che ha sollevato talvolta furibonde polemiche da parte dei critici e valso a Cioran la patente di falso filosofo.

Mario Andrea Rigoni (3) osserva come l'opera di Cioran sia “un precipitato più che una creazione di conoscenza” e traccia nettamente le ascendenze in cui essa trova ispirazione e materia: “...in Budda e in Qohelet, nei cinici, negli scettici e negli gnostici antichi, in Tacito e in Machiavelli, in Swift e in Madame du Deffand, in Pascal e nei moralisti francesi, nei poeti e negli scrittori che non sono soltanto grandi artisti, da Shakespeare a Baudelaire, da Leopardi a Dostoevskij e, infine, in tutti i transfughi dell'ordine, della norma e dell'impostura esistenziale e sociale, dagli eretici ai suicidi, dai mistici ai clochards” (4) Come l'angelo Uriele nel libro di Benda (5) , Cioran stende nei suoi libri un “rapporto” sulla razza umana e sullo stato di cose sulla terra da cui scaturisce la visione dell'Abisso e della tortura della vita, la visione spietata ma incontestabile di un'umanità inetta, vigliacca e demoniaca e di una società improntata al mero e assoluto edonismo individuale e al conflitto perpetuamente insoluto tra morale e potere. Il “rapporto” di Cioran pone l'accento sull'assenza di Dio e sui palliativi che l'umanità ha creato per riempire questo vuoto incolmabile: “Se l'aspirazione alla gloria assume una forma sempre più affannosa, è perchè ha preso il posto della fede nell'immortalità (…) Da quando la morte è apparsa a ognuno come un termine assoluto, tutti scrivono. Donde l'idolatria del successo e, di conseguenza l'asservimento al pubblico, potenza perniciosa e cieca, flagello del secolo, versione immonda della Fatalità.”(6) Dio per Cioran rimane una realtà interiore allo spirito dell'uomo e non diventa mai una astrazione, ma la via che deve seguire l'uomo per unirsi al suo principio: “Noi vediamo le cose sotto un'altra prospettiva quando, in un confronto con la nostra solitudine più segreta, scopriamo che non vi è realtà se non nel più profondo di noi e che tutto il resto è inganno.”(7) La realtà del mondo è per Cioran una creazione inquinata, deturpata, brutalizzata e ormai sconvolta, in cui l'unica redenzione individuabile è quella della distruzione totale, poiché il suo male è insanabile, Iddio è escluso dalla sua creazione e l'uomo è escluso dal suo Dio:“Niente potrà togliermi dalla mente che questo mondo sia il frutto di un dio tenebroso di cui io prolungo l'ombra, e che sia mio compito esaurire le conseguenze della maledizione sospesa su di lui e sull'opera sua.” (8) E ancora:“Il demonio è il rappresentante, il delegato del demiurgo, di cui quaggiù gestisce gli affari. A dispetto del suo prestigio e del terrore inerente al suo nome, non è che un amministratore, un angelo preposto a un lavoro di basso rango, la storia.”(9) Il demiurgo cattivo regna attraverso il linguaggio, inserisce il veleno sottile della tentazione in un varco comunicativo in cui il concetto diviene arco voltaico dell'espansione dell'ego sulle cose, vettore della supremazia e del potere dell'uomo nei confronti del resto della creazione, delle cose e delle creature che non gli appartengono, ma che egli abbraccia nell'amplesso distorcente del possesso, guadagnandosi la morte, nella vanità di usurpare la priorità di Dio e di essere potente quanto lui: “(...) Angelo decaduto mutato in demiurgo, Satana presposto alla Creazione, si erge davanti a Dio e si rivela, quaggiù, più a suo agio e perfino più potente di Lui; lungi dall'essere un usurpatore egli è il nostro padrone, sovrano legittimo che la spunterebbe sull'Altissimo se l'universo fosse ridotto all'uomo. Abbiamo dunque il coraggio di riconoscere da chi dipendiamo! Le grandi religioni non hanno sbagliato su questo punto: ciò che Mhara offre a Budda, Arimane a Zoroastro, il Tentatore a Gesù, è la terra e la supremazia sulla terra, realtà che è effettivamente in potere del Principe del mondo. E voler instaurare un regno nuovo, utopia generalizzata o impero universale, significa fare il suo gioco, cooperare alla sua impresa e perfezionarla, perchè ciò che egli desidera sopra ogni cosa è che ci compromettiamo con lui e che al suo contatto ci distogliamo dalla Luce, dal rimpianto della nostra antica felicità”(10) Cioran medita sulla creazione suggerendo al lettore di vivere senza alzare la polvere, in punta di piedi, senza lasciare traccia per non deturpare l'ordine meraviglioso della natura, di convivere profondamente coscienti della propria impermanenza e dell'inutilità di frapporre al Vero inesprimibile fome mentali, artistiche, mistiche o materiali, per conservare intatta la natura coercendo l'ego a scomparire a beneficio e salvaguardia del processo rinnovatore “karmico” insito nella creazione o azione divina, cosciente che il tempo è una forma fallace nel cercare di ghermire l'eternità e una maschera distorcente il vero volto di Dio: “Bisogna pensare a Dio e non alla religione, all'estasi e non alla mistica. La differenza fra il teorico della fede e il credente è grande quanto quella tra lo psichiatra e il matto”(11) Cioran ripercorre un “vangelo” svelato ai viventi senza alcun tramite, che pare disceso dalle parole: “Il mio Regno non è di questo mondo”. Vaniloquente e terribile si delinea nei suoi scritti il rapporto dell'uomo col mondo, rapporto venato dalla mistificazione sociale senza pudore, tragica e vana al tempo stesso, che si svela con spietata concretezza su quegli individui che hanno cessato, in maniera totale e quindi visibile, di stare al gioco d'insieme: “L'uomo decaduto è uno come noi, con la differenza che non si è degnato di stare a gioco. Lo condanniamo, lo fuggiamo, ce l'abbiamo con lui perchè ha svelato e divulgato il nostro segreto, lo consideriamo, a buon diritto, un miserabile e un traditore.”(12) Terribile e vero allo stesso modo è il rapporto individuo-potere e potere-Stato, sul quale l'uomo costruisce pericolose e farneticanti utopie fondate su un modello di socialità destinata inesorabilmente ed inevitabilmente a schiacciare l' “altro” privandolo innanzitutto della sua dimensione interiore assoluta e inculcandogli poi una concezione e una misura di se stesso talmente falsata e fuorviante da trascinarlo alla rovina: “La società liberale che elimina il “mistero”, l' “assoluto”, l' “ordine” e non ha vera metafisica più di quanto non abbia vera polizia, respinge l'individuo su sé stesso, pur allontanandolo da ciò che egli è, dalle sue proprie profondità” (13) E ancora questo Metafisico mostra al lettore l'essenziale, senza soffermarvisi troppo: “Divinizzando la storia per screditare Dio, il marxismo è riuscito soltanto a rendere Dio più strano e più ossessionante. Tutto si può soffocare nell'uomo salvo il bisogno di Assoluto che sopravvivrebbe alla distruzione dei tempi e perfino alla scomparsa della religione sulla terra.”(14) Cioran vorrebbe sottrarre al Potere “ inferno tonificante, sintesi di veleno e di panacea”(15) le spire dell'ambizione, una droga “che fa di colui che vi si dedica un demente in potenza”(16) La sete di potenza deriva da una “ubriacatura” elargita all'individuo, potremmo dire come la droga in una discoteca: chi ne varca la soglia diventa preda di impulsi sonori amplificati, di un'atmosfera intrisa di grossolanità mostruosa, in cui nell'uniformità maniacale del ritmo, ogni individuo crea una propria immagine “virtuale” di folle libertà all'incalzare di un modello deprecabile e vacuo. Allo stesso modo è l'individuo nella società e tutto il suo sforzo per adeguarvisi altro non è che un annientarsi in una droga comportamentale. Da questa depravazione non sono immuni purtroppo né la storia né la civiltà degli uomini: “E se apro una storia di Francia, d'Inghilterra, di Spagna o di Germania, il contrasto tra quel che furono e quel che sono mi dà, oltre la vertigine, la fierezza di aver finalmente scoperto gli assiomi del crepuscolo.”(17) Cioran in una vivida e trasparente analisi porge lo specchio del futuro nel terzo millennio che si apre sotto le cuspidi infuocate dei signori della guerra. La Storia si delinea nelle pagine di Cioran come grande menzogna, spettro impostore e ingannevole della commedia umana: “il destino non era che una maschera come è maschera tutto ciò che non è la morte” (18)

Tutto rimane inanità e follia poiché tutto indistintamente è artificio dell'uomo. 

 

 

NOTE

1) E.M. Cioran “Storia e Utopia” a cura di Mario Andrea Rigoni, PBA 141 Adelphi, Milano, 1982, tit. orig. “Histoire et utopie” 1960, ed. Gallimard, Parigi – pag. 88

2) E. M. Cioran “La caduta nel tempo” - Adelphi, Milano, 1995, Traduzione Tea Turolla – pag. 73

3) Mario Andrea Rigoni “Contaminazione totale” sta in E.M. Cioran “Storia e Utopia” op.cit

4) Ibidem pag. 149

5) Julien Benda “Il rapporto di Uriele”, Il Mulino, Bologna, 1996 – trad. Sandra Teroni – tit.orig. “Le rapport d'Uriel”- Parigi, Flammarion, 1946

6) E. M. Cioran “La caduta nel tempo” - op.cit. pag. 72

7) Ibidem pag. 74

8) E.M. Cioran “Il Demiurgo cattivo”- PBA 186 Adelphi, Milano (tit. orig. Le mauvais demiurge – 1969 – Gallimard, Parigi- trad. Diana Grange Fiori) – pag. 122

9) Ibidem pag. 13

10) E.C. “Storia e utopia” op.cit. pag. 109

11) E.M. Cioran “Il Demiurgo cattivo” - op. cit. pag.117

12) Ibidem pag. 149

13) E.M. Cioran “Storia e Utopia” - op. cit. pag. 24

14) Ibidem pag. 37

15) Ibidem pag. 54

16) Ibidem pag. 54

17) E.M. Cioran “La tentazione di esistere” - Adelphi, Milano, 1984 – pag. 101 (tit. orig. “La tentation de exister” - Gallimard, Parigi, 1956 – trad. Lauro Colasanti e Carlo Laurenti)

18) Ibidem pag. 185

 

BIBLIOGRAFIA

E.M. Cioran “Il Demiurgo cattivo” PBA 186 Adelphi, Milano trad. Diana Grange Fiori - 1986

E. M. Cioran “Al culmine della disperazione” Adelphi, BA 364, Milano, 1998trad. Fulvio Del Fabbro e Cristina Fantechi

E. M. Cioran “La caduta nel tempo”- Adelphi, Milano, 1995 trad. Tea Turolla

E.M. Cioran “Storia e Utopia” a cura di Mario Andrea Rigoni PBA 141 Adelphi, Milano, 1982

E. M. Cioran “La tentazione di esistere”- Adelphi, Milano, 1984 trad. Lauro Colasanti e Carlo Laurenti

E. M. Cioran “Sommario di decomposizione” Adelphi, Milano, 1996 trad. di Mario Andrea Rigoni e Tea Turolla con una nota di Mario Andrea Rigoni

bottom of page