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MANLIO TUMMOLO

 

LENIN, L’USURPATORE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA

ovvero, I Dieci Giorni che avvelenarono il mondo

 

( Pozzecco di Bertiolo, UD – marzo - aprile 2018 )

 

1. PARTE

 

“ Tirannide. Essa vive nelle radici del Comunismo, e ne invade tutte le formole. Come nella fredda, arida, imperfetta teorica degli economisti, l’uomo non è, nel Comunismo, che una macchina da produzione…. l’uomo nell’ordinamento dei comunisti, diventa una cifra… Voi dovete lietamente sacrificarvi, dicono i migliori tra i comunisti. Sacrificarvi a chi ?...” (Giuseppe Mazzini, “I sistemi e la Democrazia”, VII, Londra, 1850) “ E badate: la questione ridotta nei termini della pura forza pende dubbiosa. I sostenitori dell’ordine attuale hanno ordinamento vecchio di secoli, potente di disciplina e di mezzi che nessuna società internazionale… potrà raggiungere mai… voi non potrete più far calcolo che su forze vostre. Siete certi che bastino? E, ov’anche bastassero, non contaminereste la vostra vittoria di lunghe terribili battaglie civili e di sangue fraterno ?...” (G. Mazzini, “Agli Operai Italiani”, inizio del dibattito contro l’Internazionale marx-bakuniniana, Roma, luglio 1871) .

“ E’ mai possibile che il libero Stato russo sia uno Stato di schiavi insorti? Mi rincresce di non essere morto due mesi fa: sarei morto con un grande sogno, quello di una nuova vita accesasi in Russia una volta per sempre; sarei morto sognando che siamo capaci di rispettarci a vicenda senza frusta e senza bastone, che siamo capaci di governare il nostro Stato in un modo diverso da come lo governavano i vecchi despoti” (Aleksandr Fiodorovich Kerenskij, Discorso ai Soldati del 29 aprile 1917, riportato da Miljukov, nella sua “Storia della Seconda Rivoluzione Russa”) .

 

 

Russia ed Occidente

 

L’Occidente, come forza anglo-americana con i suoi sudditi europei subordinati, ha nei confronti della Russia, passata e presente, un’enorme coda di paglia: lo si è notato per la faccenda ucraina, per l’occupazione o liberazione (secondo i punti di vista) della Crimea, per la politica del Drang nach Osten con la sollecitazione agli Stati ex-comunisti dell’Europa centrale ad aderire alla sedicente Unione Europea, e nell’ultimo mese con la faccenda da romanzetto di spionaggio di un avvelenamento di un’ex-spia russa e della figlia in Inghilterra. Lo strano, ma farsesco, è che in quest’ultimo caso il governo della Gran Bretagna, dopo la sua secessione dall’Unione Europea, pretende, malgrado ciò, una pericolosa solidarietà da quest’ultima nella faccenda spionistica o pretesa tale. Come dire: voglio i benefici, ma non accetto gli oneri. Bravi Inglesi, che coerenza pragmatica ed utilitaristica della vostra lunga tradizione ! Ma lasciamo perdere le attuali inezie e ritorniamo al punto centrale: la coda di paglia dell’Occidente nei confronti della Russia, coda lunga, folta e bella, che ha almeno due periodi fondamentali, il 1917 / 21, e il periodo 1989 / 90. In ambedue i casi, l’Occidente, invece di agevolare la trasformazione del regime tirannico (zarista nel primo caso, comunista nel secondo) in una Repubblica democratica ispirata ad un forte modello sociale (non marxista), sfruttando per quanto possibile quel poco di buono che restava dell’URSS (l’anticapitalismo, se non altro come aspirazione), nata dalla Rivoluzione del 1917, ci si diede freneticamente a retrocedere, in Russia come nell’intero pianeta, ad un veterocapitalismo selvaggio, come quello di fine Settecento e prima metà dell’Ottocento, nel quale pochissimi individui sfruttano parassitariamente tantissimi uomini. Ovvero, tornare indietro di circa due secoli nella storia, un orrore ed un’assurdità, che ha dato i risultati ben noti, sia nel mondo intero (“globalizzazione”, in realtà l’americanizzazione totale dell’economia mondiale), sia in Europa, scatenando perfino una selvaggia guerra balcanica, su cui poi si è pianto, come il celebre coccodrillo fa dopo un pasto abbondante. I due estremi del secolo XX, che un povero storico britannico, credendosi furbo, ha definito “breve”, mentre in realtà è ben lungo, perché dura tuttora (più propriamente è il secolo americano) in tutta la sua dimensione di follia, gravida di disastri, segnato soltanto due punti comuni di un identico evento: la nascita e la morte di un Impero comunista nell’Europa orientale e in larga parte dell’Asia [1] .

 

Doveri di obiettività storiografica

 

Sul piano dello studio storico, l’enorme coda di paglia dell’Occidente è confermata dall’incapacità, malgrado sia passato un intero secolo dalla sedicente “Rivoluzione d’Ottobre” e già quasi trent’anni siano trascorsi dalla caduta dell’URSS, di rivedere criticamente l’intero periodo, dedicando il maggior interesse a quegli otto mesi in cui si tentò, fallendo per il disastroso boicottaggio di Lenin & Compagni (Tovarisc), di istituire, in modo pacifico e democratico, ma socialmente avanzato, una Repubblica federale russa, pluripartitica e tendenzialmente anticapitalistica (cooperativista). Nel totale disinteresse dimostrato da larga parte della pubblica informazione, si nota essenzialmente l’atteggiamento comune di certa storiografia ufficiale, accademica ed aulica, di celebrare sempre i vincitori e di denigrare i vinti, nonché ovviamente del giornalismo che, fin dal Settecento quando nacque, è al servizio dei potenti, e vede le cose quotidianamente, non oltre la settimana corrente nel caso peggiore, non oltre l’anno solare nel caso migliore, incapace poi di analizzare i fatti concatenando cause ed effetti, che non siano immediati o prossimi. Certamente gli storiografi accademici, che più esattamente si dovrebbero definire cronologi o cronografi, assuefatti ad applaudire i vincitori, hanno, rispetto ai semplici cronisti, ben maggiori conoscenze tecniche e scientifiche relative alla ricerca storica: sanno come distinguere documenti autentici da documenti falsi, sanno analizzarli, sanno utilizzarli, sanno quindi descrivere la realtà, seppure in modo interessato, comunque apparentemente “scientifico”, mentre invece i loro imitatori cronisti non sanno praticamente nulla di tutto questo, e trascurano o sottovalutano la metodologia critica in sede di ricerca storica, ma soprattutto l’esigenza di inquadrare i fatti essenziali in un vasto quadro di eventi, ben selezionato, così confondono spesso e volentieri nei fatti l’importanza dell’azione politica con il numero degli amanti o con certi singoli atti o abitudini, utili a conquistare compratori (il giornale è merce che si vende, null’altro).

Tuttavia, gli uni e gli altri adorano chi possiede la forza materiale e prevale sull’altro, senza tener quasi mai conto delle ragioni per cui si ha successo. Machiavelli parlava di fortuna e di virtù, ma paragonava la “fortuna” ad una donna che bisognava dominare con la volontà e la forza: parole, naturalmente, perché si vince o si perde, in sede politica o militare, spesso non per ragioni di forza, ma per gli errori della parte avversa, errori di calcolo sull’avversario e di sopravvalutazione delle proprie capacità .

Sicché, con questa mentalità, è estremamente facile svalutare quei regimi nuovi (rivoluzionari o no), quali tanto per esemplificare le repubbliche giacobine italiane di fine Settecento (durate pochissimi mesi), quelle democratiche del 1848/49, oppure proprio quella Repubblica, tendenzialmente a forte organizzazione sociale, che in Russia si affermò per soli otto mesi, tra il febbraio/marzo 1917 e l’ottobre / novembre 1917, in pieno svolgimento della Prima Guerra Mondiale, espressa dal Governo Provvisorio, dai Soviet (associazioni spontanee di natura politica) e dalle Conferenze Democratiche, istituite in previsione dell’Assemblea Costituente [2]. Ciò che dura poco, è per definizione “effimero”, e perciò viene poco o per nulla considerato, mentre invece proprio in quei regimi, falliti non per cause interne, ma perché ogni cosa richiede tempo e lavoro costante, si potrebbero trovare modelli validi in situazioni diverse da quelle di allora, e più realizzabili oggi. La validità di qualcosa non si misura con il calendarietto o con l’orologetto, ma con lo studio e l’analisi delle sue motivazioni intrinseche, in relazione alla realtà del momento .

Ritengo dunque che la storiografia autentica, non ufficiale, non accademica e , tantomeno aulica, abbia il dovere scientifico di riesaminare quel momento storico eccezionale rappresentato dalla Rivoluzione Russa, tra il febbraio e l’ottobre del 1917, momento estremamente difficile perché condizionato dagli eventi bellici allora in corso. Una tale storiografia, ben diversamente che esaltare gli allora vincitori, dovrebbe chiedersi e spiegarsi perché l’Unione Sovietica, pur avendo superato gli enormi scogli della Guerra Civile (1918 – 1921) e della Seconda Guerra Mondiale, apparentemente trionfando e costituendo, dal 1945 al 1985, il nemico n. 1 degli USA e dell’intero mondo occidentale, cadde poi come un escremento di vacca dopo 72 – 73 anni (la durata esistenziale di un solo individuo !) di pieni poteri, alla fine degli anni ’80 e inizio degli anni ’90. A dire il vero, vi fu uno scrittore russo (Andrej Amal’rik) che, fin dagli anni ’60, si chiese se l’URSS avrebbe potuto reggere fino al 1984, pagando poi tale interrogativo con l’esilio e, forse, con la morte (per incidente automobilistico), ma nessuno lo prese sul serio né in Russia, né nel resto del mondo, eppure il suo errore, di soli 5-6 anni è risibile sul piano storico, dove si misurano i decenni, quando non secoli e millenni [3]. Né si venga a raccontare la fiaba che l’URSS crollò per l’opera di Reagan, oppure per quella di Giovanni Paolo II, o per l’associazione tra le due. Un regime tirannico, fondato esclusivamente o prevalentemente, sulla violenza e sul terrore, cade da sé man mano che, acquistata sicurezza, diminuisce la dose di forza e di terrore esercitata sui cittadini. Così è avvenuto per l’URSS; poi vi sono ragioni specifiche, perché dove manca la libertà, manca anche la responsabilità, e la scienza, condizionata dal terrore e dalla repressione, non può svilupparsi adeguatamente, per mancanza di spirito critico e di verifica scientifica, come, viceversa, dove la libertà sussista. Di qui, anche la limitata capacità di reggere il confronto con gli USA, dove la ricerca scientifica è comunque da sempre maggiormente libera (pur tuttavia, non sempre responsabile, perché condizionata dalla propaganda in un senso o nell’altro, e dall’avido egoismo dei gruppi plutocratici che la finanziano) [4].

Ricercare la causa dell’umiliante caduta dell’URSS (non per una disfatta militare, come in altri regimi dittatoriali, a partire dal nostro regime fascista, o dal nazismo in Germania, ma per intrinseca fragilità di sistema, fondato sul solo terrore, e non sul libero o tacito consenso dei suoi cittadini) significa ricercare le cause della sua nascita e, pertanto, della breve durata di quel luminoso, ancorché rapido, periodo democratico e sociale degli otto mesi di Governo Provvisorio .

Va ricordato ai teorici, marxisti, clericali e clerico-marxisti, che la Guerra Mondiale ebbe, nelle sue cause generali e più antiche, certamente l’interesse imperialista ed espansionista di ciascuna delle grandi Potenze europee e mondiali, del resto molto antico perché risale nulla di meno che agli Imperi mediterranei ed asiatici almeno 2 millenni prima di Cristo, e se guardiamo ancora altrove, nell’America precolombiana, non furono certo meno imperialiste popolazioni come quella azteca e inca. Sono insite nell’essere umano, nei suoi aspetti negativi, l’aggressività e la brama di sopraffazione, il far coincidere la gloria personale nell’assoggettamento degli altri. Su ciò, nessun dubbio, al di là delle forme e dei mezzi con cui questa volontà di sopraffazione si esprime [5].

La guerra è morbo della vita umana, dovuto alla sua deviazione dal puro istinto di sopravvivenza e di difesa alla consapevole o inconscia volontà aggressiva: solo rendendosi conto delle problematiche morali e psichiche in ciascuno di noi, esse si possono frenare ed eliminare per quanto possibile, il che vale per i singoli, come per i gruppi, come per l’intera specie. E se l’uomo sapesse rendersi conto di tali deviazioni e le annullasse, allora sarebbe eliminato sia il delitto, sia la guerra che è il crimine dei gruppi umani. Come tutti i morbi, dal raffreddore alla peste bubbonica, non si combattono con semplici proteste e sfilate, ma con l’azione terapeutica talvolta severa ed energica, una volta colta la causa del male, così la guerra non si combatte con chiacchiere, sfilate e tante buone prediche, ma con l’azione effettiva. Sottilmente mi si obietterà che i mali fisici sono involontari, quelli della guerra sono volontari e provocati. Ciò è vero, tuttavia non in modo assoluto, in quanto anche il più bellicoso degli uomini eviterebbe la guerra, anche per evitarne i rischi, le perdite e le spese, se fosse certo che l’oggetto delle sue ambizioni rinunciasse ad ogni resistenza offrendo fiori e denaro all’invasore. Così pur facevano talvolta i barbari con l’Impero Romano. Ma ben difficilmente, chi subisce un’invasione, un’aggressione o una provocazione, cede senza un minimo di resistenza con la forza. Inoltre, la responsabilità dell’iniziativa bellica spetta sempre ai governi, quasi mai o mai ai popoli, che sono sempre le vere vittime della guerra.

Chi ritiene che l’uomo non possa evitare l’aggressività, e sublimarla piuttosto nella competizione intellettuale e scientifica, considera l’umanità non “bestiale o belluina”, ma ben peggiore, per cui non vi sarebbe nessun rimpianto nella sua sparizione dal pianeta, così come nessuno piange per la sparizione dei dinosauri carnivori, sebbene spariti non certo per causa loro. La pace stabile ed eterna è dunque possibile, non solo nei cimiteri (se c’è…), ma anche tra i vivi, purché individui e popoli si rendano conto delle cause generali della guerra, a cui non ci si oppone con manifestazioni o piagnistei, ma con la comune azione verso se stessi e verso gli altri: farsi migliori, diceva Mazzini con altri: solo elevandosi si eliminano le cause di guerre, e la prima condizione per elevarsi è rendersi coscienti delle nostre tendenze negative, per superarle .

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