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MANLIO TUMMOLO
LENIN, L’USURPATORE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA
ovvero, I Dieci Giorni che avvelenarono il mondo
(Pozzecco di Bertiolo, UD – marzo - aprile 2018)
2. PARTE
Primi elementi di considerazione
Detto ciò, onde non dare agli altri l’equivoca impressione che io sia a favore della guerra, piuttosto che contro, ché anzi ritengo possibile e doverosa la pace universale e definitiva, occorre tuttavia notare che, nell’analisi delle cause specifiche, il giudizio storico deve badare alla successione degli eventi immediati, non meno che delle cause generali, e quindi notare che la dinastia Habsburg, dominante da secoli in Europa, aveva sempre, come tutte le altre parenti per sangue e per mentalità, mirato alla gloria militare, alla conquista, alla sopraffazione sui popoli: Il “Tu, felix Austria, nube”, è una fiaba da bambini, che potrebbe valere per tutte le altre monarchie imperiali e assolutiste: politica matrimoniale perseguita tra le dinastie, la cui prima storica manifestazione fu quella del patto tra Ramsete II e Muwatalli, dopo la battaglia di Kadesh (1299 a.C.), per un’alleanza fondata sulla parentela acquisita tramite le nozze tra la principessa ittita Naptera e il sovrano egizio (per analoghi motivi diplomatici il sovrano austriaco vendette la figlia Maria Luisa a Napoleone, dopo le disfatte di Austerlitz, Jena e Wagram). “Nihil sub sole novi”. In realtà, gli Habsburg tentarono sempre di espandersi soprattutto verso l’Italia, dopo essere stati cacciati dagli Svizzeri, terra ritenuta di pertinenza del fradicio Sacro Romano Impero di Nazione Germanica, erede di quello carolingio. Questa smania di dominio, sconfitta in tutto o in parte col nostro Risorgimento, si orientò verso la Penisola balcanica, non spontaneamente e pacificamente, come si illudeva Cesare Balbo, ma proprio per aver perduto gran parte delle terre considerate più ricche e più civili dell’Impero. Le mire espansionistiche degli Habsburg verso sud-est si scontravano quindi con le ambizioni nazionali [5] dei Serbi di unificazione dei popoli jugoslavi, del resto in parte comuni con quelle di intellettuali croati (ai quali si deve appunto la denominazione “Jugoslavi”, come “Slavi del sud”) e con quelle panslaviste (imperiali e nazionali dei Russi, dei Polacchi, dei Bulgari, dei Boemi/Moravi e degli Slovacchi). L’assassinio dell’erede al trono Francesco Ferdinando e della moglie, a Sara Jevo, fu motivo o pretesto per Francesco Giuseppe e suoi ministri per il pesante ultimatum alla Serbia, il cui rigetto scatenò la guerra tra i due Stati, guerra che poteva risultare una semplice resa dei conti reciproca, se il sistema delle alleanze avverse non fosse scattato. Ma storicamente, comunque la si giri, non fu la Russia a dichiarare guerra ad Austria/Ungheria e Germania, ma queste ultime a quella. La Russia si era, per il momento, limitata ad un’intimidatoria mobilitazione generale. E’ inutile qui poi rievocare la successiva concatenazione di dichiarazioni belliche. I pacifisti e neutralisti a scoppio ritardato, di tendenza clericale, marxista o anarchica, pretenderebbero di dire che tutto ciò fu “un’inutile strage”: dubito che vi siano stragi “utili” per definizione, e dubito pure che queste lamentele vengano da chi vorrebbe fare le stragi (come le fece) per ragioni di fanatismo religioso, o sociale, o economico, ma non assolutamente in difesa della propria Patria, da altrui aggressioni e invasioni. Molti storici di questo orientamento vedono dunque in Lenin un “pacifista”: in realtà a leggerlo direttamente, nei suoi progetti e nei fatti, egli non era affatto un pacifista, volle e ottenne di trasformare la guerra tra Stati in guerra civile al fine di sovietizzare e bolscevizzare il mondo, senza ovviamente riuscirci, ma causando alla Russia per svariati decenni immani sofferenze .
La Russia intervenne nella guerra più con la forza numerica delle sue Armate, che non con la qualità degli armamenti: prevalendo sull’Austria/Ungheria, che come preparazione le era simile sebbene meno fornita di soldati, cedeva facilmente ai contrattacchi tedeschi, ma intanto faceva impegnare alla Germania uomini e mezzi che, se fossero stati impiegati solo verso la Francia, avrebbero potuto far ottenere una nuova Sedan, come del resto poi avvenne nel 1940. Per la Russia la guerra fu un enorme logoramento di uomini e di risorse, ma certo per Germania ed Austria non si trattò di passeggiate o divertimenti, come sembrano credere i nostri neutralisti a scoppio ritardato di 100 anni ! Né si dimentichi che, solo grazie al colpo di mano bolscevico e alle trattative di Brest-Litowsk, i Tedeschi poterono ottenere circa 2/3 dei territori poi riconquistati o conquistati nel 1941 / 42, ma fino a tutto il settembre 1917 la linea di combattimento tra Austro-Tedeschi e Russi ebbe relativamente pochi mutamenti, con sconfitte ad opera dei Tedeschi, ma con vittorie ad opera dei Russi sugli Austro-Ungarici. L’Impero Russo era dunque tutt’altro che fuori combattimento all’inizio del 1917, avendo saputo reggere l’urto germanico ben altrimenti che l’URSS nel 1941/ 42 sotto Stalin: certo, situazione militarmente abbastanza diversa, ma non in senso assoluto: nell’un caso e nell’altro la Russia ebbe lo stesso nemico, ed, eccezion fatta per l’Italia, gli stessi alleati Con l’improvvisa ed imprevista (perfino dai maggiori rivoluzionari del momento), anche se non del tutto spontanea [6], insurrezione nel febbraio/marzo 1917, l’Impero zarista, parzialmente liberalizzato, cadeva come un frutto maturo, anche se non nel modo quasi patetico ed inglorioso dell’URSS 73 anni dopo, ma dopo qualche tentativo di resistenza: l’Impero dei Romanov durava da circa tre secoli, quello sovietico comunista da molto, molto meno.
In che cosa consistono Rivoluzione e pensiero rivoluzionario
Ed eccoci ora al concetto centrale: che cosa significa Rivoluzione ? Quando è legittimo parlare di Rivoluzione ? Quando si ha un pensiero rivoluzionario ? Quale tra le due operazioni fu una Rivoluzione in Russia, almeno tentata, e quale no ? Lo storico, che voglia svolgere una propria ricerca sull’argomento non può, né deve, evitare di rispondere a queste domande soprattutto dopo 100 anni da quegli eventi e a quasi trenta dal crollo impietoso del sistema politico nato da quei rivolgimenti. Anche Mussolini parlò di “rivoluzione fascista”, ma ben sappiamo che il fascismo non fu rivoluzionario, ma semmai reazionario, violento e dittatoriale, con nulla di progressivo. Perché nell’aspetto “progressivo” è il vero nodo dell’interpretazione storica su questo fenomeno, che non coincide necessariamente con la violenza, e neppure con la semplice forza, ma con la modificazione del rapporto tra popolo ed istituzioni, tra popolo e sovranità .
La Rivoluzione non consiste in un’azione violenta e persistente che modifichi in un modo qualunque o drastico una certa condizione politica e giuridica, né richiede necessariamente un certo numero di fucilati, impiccati, ghigliottinati, esuli e martiri: la Rivoluzione non è necessariamente violenta, anzi è tanto più efficace quanti meno morti provoca in caso di resistenza avversaria al cambiamento, e in tutti i casi le perdite umane devono essere proporzionate alla pesantezza della reazione, e non superarla. La fase insurrezionale che la precede è causata essenzialmente da un regime di tipo tirannico (assenza di regolari e libere elezioni), o di tipo pseudo- democratico dove le elezioni siano condizionate da metodi truffaldini che contrappongano un paese legale ad un paese reale, come si diceva a cavallo tra secolo XIX e XX in Italia. Sistemi elettorali, in cui si mira a dare una preminenza assoluta al partito che ha solo una maggioranza relativa, col pretesto di una “governabilità”, che dovrebbe viceversa nascere dalla supremazia di una maggioranza parlamentare naturale e non fissata a priori (come nel sistema britannico), possono dare motivo poi di ribellioni ed insurrezioni violente. Tutto ciò non è ancora la Rivoluzione: questa è una drastica modificazione delle Istituzioni, delle leggi, della mentalità e della metodologia politica, con la quale si realizzi un netto miglioramento dei rapporti tra Governo e governati, allargando la sovranità formale (legislativa ed istituzionale) e sostanziale (educativa, pratica, economica, sociale) dell’intero popolo, senza distinzione di classe e di sesso, in modo che la sua partecipazione alla vita pubblica sia consapevole, matura, critica e razionale, tendenzialmente aperta alla pantocrazia (governo di tutti per tutti), anche se ciò non avviene di fatto in pieno, sia per ragioni d’età, sia per condizioni mentali o per sanzione giudiziaria (perdita o riduzione dei diritti civili e politici). Sono, pertanto, storicamente rivoluzioni le lotte dei Comuni contro il Sacro Romano Impero, la rivoluzione svizzera che cacciò gli Habsburg tra il XIII e il XIV secolo, e quelle inglesi del XVII secolo, quella olandese che è anche guerra d’indipendenza dalla Spagna, quella americana del XVIII secolo, quella francese del 1789/ 94. Sono tentativi rivoluzionari quelli dell’800 in Europa, e l’unificazione italiana o tedesca vanno considerate “rivoluzioni” solo in parte. Rivoluzione fu anche quella russa del 1905, che superò la vecchia autocrazia dei Romanov e, come si ribadirà, quella del febbraio/marzo 1917, ma non quella dell’Ottobre. Non costituirono “rivoluzioni” né il comunismo, né il fascismo, né il nazismo, o movimenti affini, in quanto ridussero la sovranità ad un partito, ad un gruppo di persone, ad una classe sociale, e non la estesero ad un intero popolo, considerato anzi come un gregge di caproni. Né bastano riforme legislative democratiche, se poi manca il nerbo pratico dei miglioramenti socio-economici e culturali effettivi: non basta, ad esempio, proclamare che la Repubblica è fondata sul lavoro, se poi il regime politico e la plutocrazia puntano sulla disoccupazione e sulle immigrazioni senza criterio e senza limiti, per ridurre il costo del lavoro e fare dei lavoratori una massa di automi [7] .
Chiarito il concetto, complesso ed articolato, organicamente vivo di Rivoluzione, appare chiaro anche che cosa costituisca un pensiero rivoluzionario: ovvero un sistema di filosofia politica e giuridica che miri autenticamente e sinceramente ad aumentare la sovranità popolare, formale e sostanziale, non a limitarla al presente, ed ancor meno a ridurla.
In questo quadro, si può ottimamente capire come ogni forma di comunismo classista, monoideologico e monopartitico, che riduca la libertà di espressione, che vanti un predominio di classe su tutte le altre, ancorché questa classe sia numerosa o abbia perfino una maggioranza relativa rispetto alle altre, che disgreghi il popolo anziché unificarlo, che crei contrapposizioni tra individui e gruppi, ebbene ciò non è “rivoluzionario”, ancorché se ne vanti e ne sproloqui. Potrebbe esserlo, tutt’al più, rispetto a società sacerdotali come nell’antico Egitto e nella Mesopotamia, o come i regni feudali dell’alto Medioevo: sicuramente non per una società civile affermatasi alla fine del XVIII secolo e XIX secolo. Così si può ben comprendere la ragione del titolo che ho dato, in quanto Lenin, Trotzkij & Company non ampliarono affatto la sovranità popolare, non ne affermarono la piena, consapevole e matura libertà, la relativa uguaglianza economica dei cittadini direttamente proporzionale alla rilevanza professionale e ai meriti individuali, la solidarietà comune tra gli stessi cittadini, ma anzi mirarono ad instaurare una dittatura violenta di partito per reprimere qualunque opposizione, partendo da princìpi di ideologia marxista, come la necessità della “lotta di classe”, la “dittatura o il predominio del proletariato”, l’affermazione indeterminata di una società senza classi attraverso la lotta di classe (come dire che, assassinandosi tutti, si elimina l’assassinio), perfino la proclamazione della guerra civile in opposizione alla guerra tra Stati [8] . Essendo la Nazione, per i marxisti e per ogni forma cosmopolita di socialcomunismo, un concetto “borghese”, è evidente che la guerra tra le Nazioni è di per sé inutile ed iniqua, ma va sostituita, non con un’astratta pace universale, bensì con la guerra universale e civile tra le classi, onde far trionfare il “proletariato” sulla borghesia, ed instaurare poi un società “senza classi”: pensare di arrivare all’abolizione delle classi attraverso la lotta di classe è perlomeno ingenuo e sicuramente contraddittorio, ma per i marxisti, che inglobano la dialettica hegeliana applicandola alla realtà socioeconomica, invece che allo Spirito o alla Ragione, tale dialettica si riduce ad un mezzuccio miserabile per dire una cosa e poi fare l’esatto contrario, e nel frattempo spaccandosi vicendevolmente la testa a colpi di piccone o con una rivoltellata alla nuca, o nei casi meno violenti con scioperi più o meno efficaci e dimostrativi per “sensibilizzare le masse”. Va da sé che tutto ciò, fondato su un tortuosa antimetodologia, non poteva che fallire disastrosamente o ingloriosamente, come è infatti fallito .
Sommario degli eventi della Rivoluzione Russa
E veniamo ora all’aspetto più particolarmente storico della Rivoluzione Russa del 1917. Si narra spesso, tra storici di impostazione clericale, marxista e clericomarxista, che la Rivoluzione è scoppiata perché il popolo, soprattutto i “proletari” e i soldati, oltre alle massaie, erano stanchi della guerra. A sentire costoro solo i popoli dell’Intesa erano stanchi della guerra, mentre quello tedesco, austriaco, turco e bulgaro stavano assolutamente bene e si divertivano, avevano i comandanti migliori e vincevano sempre. Che la storiella non andasse proprio così, fanno fatica ad accoglierlo, e sembrerebbe che solo l’invincibile arrivo del 7° Cavalleria e dei cow-boys USA, ridondanti di dollari, freschi, ben equipaggiati, formidabilmente armati e, in pratica, invincibili, ha fatto travolgere il rapporto di forze, logorando finalmente quelle invincibili armate degli Imperi Centrali. Una storiella, oggi si direbbe una fake-news, perché nella Prima Guerra Mondiale l’apporto americano consistette soprattutto in dollari ed eventualmente in rifornimenti, non tanto in uomini o in armi (non vanno confuse le due guerre mondiali sotto questo aspetto). Se si vuol capire che anche per la Germania, la più forte tra le Potenze centrali, la situazione non fosse brillante, c’era logoramento e miseria e fame crescenti, basti leggere il libro autobiografico di Remarque “Ad Ovest, nulla di nuovo”. E per l’Austria-Ungheria, meno ricca, meno potente, peggio guidata, le cose andavano ancora peggio, per cui basti leggere “Ritorneranno” di Giani Stuparich. Il nodo dolente delle due pur grandi Potenze era quello di dover lottare ad armi pari o quasi pari sia ad ovest che ad est, due fronti che costituivano una tenaglia di rara forza, alle quali contribuì dal 1915 anche la tanto derisa, irrisa e beffeggiata Italia. Ma la Russia costituiva, al di là dei rapporti di forza, un impegno piuttosto pesante perché sviluppato su un fronte ben più lungo e profondo che non ad occidente e relativamente mobile, rispetto a quelli occidentali o a quello italiano. Per la Germania, che si era illusa di potersi togliere facilmente dalla doppia morsa, cominciava ad essere di vitale necessità riuscire ad eliminare uno dei due fronti, scagliandosi poi sull’altro. Ma finché la Russia rimaneva in guerra, ciò risultava impossibile: di qui la messa allo studio di un piano di provocazione interna per facilitare la secessione russa ed un’eventuale pace separata. Se per il periodo da aprile in poi, sicuramente la mano tedesca si sentì pesantemente in questa operazione, è difficile dire se, anche nella fase precedente febbraio, vi fossero stati tentativi analoghi. Di certo, questa era la convinzione di coloro che eliminarono fisicamente Grigorij Rasputin, alla fine del 1916, considerato un complice dei Tedeschi e un imbonitore della zarina, ma obiettivamente non pare che l’uomo, figura psicologicamente assai interessante, avesse in realtà un qualche interesse o un qualche rapporto diretto con i servizi segreti tedeschi.
Non certo soltanto allora la Russia zarista aveva dimostrato una certa fragilità militare, basti pensare alla sconfitta subìta dai Giapponesi nel 1905, che portò poi alla prima Rivoluzione russa e alla relativa, limitata liberalizzazione delle sue istituzioni (creazione della Duma di Stato con poteri legislativi, ancorché limitati, sia nelle elezioni sia nell’opera effettiva), ma già con la Guerra di Crimea del 1853 la Russia non aveva ottenuto il successo sperato (arrivare a Costantinopoli, accedere al Mediterraneo). La Russia, come del resto l’Austria-Ungheria, era in pesante ritardo con le riforme costituzionali e politiche, e di ciò ne risentiva tutta la forza economica, politica e militare. Nondimeno, il peso russo nella Prima Guerra Mondiale non era certo leggero ed impegnava enormi forze militari austro-tedesche. Per il resto, pur con le difficoltà comuni a tutti in Paesi in conflitto, la Russia era in condizioni di finire la guerra senza invincibili problemi nel momento stesso in cui potevano finirla le Potenze alleate. La guerra è finita con la vittoria dell’Intesa nel novembre 1918, la Russia poteva terminarla esattamente lo stesso mese ed anno, e da Paese vittorioso e non da Paese vinto.
Quando gli storici di orientamento pacifista in ritardo sostengono che la Russia era stanca della guerra e doveva per forza fare una pace separata (stanti i desiderata del duo Lenin-Trotzkij, e più ancora di Lenin che non di Trotzkij), dovrebbero chiedersi onestamente del come mai la Russia, tanto stanca, si fece poi altri tre anni di guerra civile, ben più feroce anche se meno impegnativa in quantità d’eserciti: non credo che si possa essere così ingenui da immaginarsi che quattro mesi di “pace” (dall’insurrezione dell’ottobre/novembre al marzo 1918) fossero bastati a ritemprare la combattività dei Russi, facendola durare poi per altri tre anni (presa di Kronstadt). Sarebbe allora bastato proclamare un armistizio per continuare la guerra a fianco dell’Intesa. Ma l’obiettivo di Lenin e di Trotzkij era quello di fare una nuova guerra con obiettivi socioeconomici e col rovesciamento delle classi di governo, non certo instaurare la pace. Quindi, si ribadisce: la stanchezza dei Russi fu certo un pretesto, ma non la vera causa della loro secessione, un mezzo di propaganda (come la pace universale senza vinti né vincitori) e non certo un motivo reale, perché in una guerra di logoramento, come fu la Prima Guerra Mondiale (logoramento dovuto all’intrinseca parità di efficacia tecnologica tra armi d’offesa e armi di difesa, con conseguenti strategie e tattiche), la Russia aveva tutta la possibilità di continuare la guerra come gli altri Stati .
La Rivoluzione del febbraio/marzo 1917 è dovuta quindi a fattori ben diversi, e le sue origini risalgono al 1825, quando per la prima volta in Russia, col moto dei Decabristi, si mette in movimento una serie di azioni politiche con finalità liberali e poi democratiche contro l’assolutismo zarista (autocrazia). Moto di idee e di tentativi che si sviluppano con successi lenti, talvolta con regressi, ma che si affermano sempre più quando la Russia viene sconfitta militarmente, ovvero appunto dal 1853.
In linea generale, un sistema di governo o regime (come si voglia dire) regge per decenni e per secoli se è organizzato in modo efficace in relazione ai suoi obiettivi: tirannici, dittatoriali, autocratici, oligarchici, democratici ecc.. Se i mezzi adoperati sono adeguati al fine e alla situazione effettiva, il regime dura; altrimenti non regge. Ogni sistema di governo deve sentire, anche in relazione alle situazioni estere, quando è il momento di adattare le istituzioni con mezzi più idonei, pur mantenendo il fine generale. Ad esempio, una dittatura o una tirannide, come una falsa democrazia, non possono desiderare che il popolo abbia una cultura elevata, perché ciò che è confacente alla democrazia, è nocivo alla tirannide.