
Questo è un paragrafo. Fai clic qui per modificarlo e aggiungere il tuo testo.
MANLIO TUMMOLO
LENIN, L’USURPATORE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA
ovvero, I Dieci Giorni che avvelenarono il mondo
(Pozzecco di Bertiolo, UD – marzo - aprile 2018)
3. PARTE
Un popolo colto non accetta di essere comandato a bacchetta, col terrore e con le prigioni, mentre un popolo di analfabeti gradisce tutto ciò che sviluppa la propria abiezione (i ludi circenses, il vellicamento degli aspetti animaleschi, o peggio, dell’uomo, riempirsi la pancia anche a danno dell’intelletto). L’influenza estera è anche determinante perché, a meno di non chiudersi assolutamente nei propri confini con una politica economica assolutamente protezionistica ed autarchica (il che però produce miseria, ed è causa a sua volta di rivolte), l’esempio esterno agisce da stimolo per la richiesta di riforme interne. Così la Russia del Settecento e dell’Ottocento, che non è più quella di Ivan il Terribile, sente in modo crescente l’esigenza di adottare riforme occidentali, e tutto il sistema preesistente comincia a scricchiolare. Le riforme successive sono parziali, inefficaci e tardive. Di qui, il motivo di fondo per una Rivoluzione. Ciò che l’autocrazia, solo parzialmente liberalizzata, non vuole o non può dare, viene richiesto dal popolo con la forza del proprio numero: un popolo armato è in condizioni di resistere e di ribellarsi molto più facilmente che quando le armi sono solo in mano al potere politico, di qui la rivolta è resa non solo possibile, ma reale e praticamente invincibile. Così era avvenuto in Olanda e in Gran Bretagna nel XVII secolo, così avviene in Francia nel XVIII secolo, così si ripete dove il sistema di governo è indebolito dai più vari cambiamenti nei rapporti di forza (durante l’Ottocento), così ora si riafferma nel febbraio/marzo 1917: lo zar deve abdicare perché non ha mezzi per resistere, e il fratello Michele rinuncia per uguale motivo.
Così la quarta Duma di Stato, pur ormai esaurita per scadenza di termini, può creare un Governo Provvisorio, mentre soldati e operai riformano quei Soviet già nati nel 1905, in modo relativamente spontaneo, ma altrettanto disorganizzato, di cui poi, nel corso di otto mesi riusciranno ad impadronirsi i bolscevichi pro-Lenin facendone un organo insurrezionale vagamente anarcoide, ma sicuramente violento. Qui comincia la grande avventura di un popolo come quello russo, fino ad allora soggiogato da un regime ormai superato, ancorché non più assolutista, e un’occasione storica di enorme importanza, buttata poi al vento da un’opera sistematica di boicottaggio, in base a puri pregiudizi sociopolitici di un gruppo fanatico, e per l’inerzia o incomprensione da parte dell’Occidente, che non seppe contribuire in modo ragionevole a favorire una metamorfosi positiva di una tempesta in corso, i cui effetti potevano essere controllati, e invece divenne un uragano devastante con conseguenze tuttora percepibili (e i cattivi rapporti tra potenze anglosassoni e potenza russa di oggi lo dimostrano largamente).
Che i servizi tedeschi avessero visto con interesse il caos potenziale della Russia, a seguito della Rivoluzione, è certo: quanto vi avessero già contribuito è difficile dire, anche se ne pare convinto uno storico come il Katkov; di sicuro, quando essi si resero conto che la Russia non stava ancora cedendo, e che sarebbe stato necessario un personaggio ben più efficace a sgretolare la resistenza in corso o addirittura la rinascita di una forza non solo inerziale, ma pienamente attiva in Russia, allora organizzarono un piano ben preciso, che forse fu il più efficace di tutti i loro nell’arco della Prima Guerra Mondiale: un piano di sabotaggio e di sgretolamento delle forze nemiche ancora esistenti. Non so se gli avessero dato un nome, ma io lo chiamerò Progetto Lenin .
Premettiamo che le più rilevanti forze politiche russe in campo nel febbraio 1917 erano grosso modo le seguenti: mentre a destra erano ormai di poco conto o del tutto inattive, al centro il Partito Costituzionale Democratico (i kadetj, sigla che nulla ha a che fare con i “cadetti”, come molti infantilmente traducono) presentava un programma di monarchia costituzionale (su modello inglese, grosso modo); la sinistra era molto più variegata : come “centro-sinistra”, si trovava il partito, piuttosto piccolo dei trudovikj, termine traducibile con “laburisti” ma ideologicamente più avanzati di quelli inglesi e favorevoli alla Repubblica; seguiva poi il Partito Socialista Rivoluzionario, di impostazione non marxista, erede dei narodnikj (nazional-popolari), che si ispiravano all’ideologia di Aleksandr Herzen e di Cernisevkij, molto seguiti dai contadini proprio per il loro “populismo” (andare verso il popolo, inserimento degli intellettuali tra i contadini, la categoria sociale allora molto numerosa, con funzione educativa e formativa): questi socialisti rivoluzionari, favorevoli anche agli attentati in funzione di terrore politico individuale (per intenderci, all’Orsini e alla Oberdan), ebbero in effetti la maggioranza in Russia, finché non vennero prima divisi, quindi o cacciati o distrutti, o assorbiti dal regime comunista. Infine il Partito Socialista Democratico Operaio, di impostazione marxista diviso in due gruppi: i menscevikj (di orientamento socialista riformista e gradualista: letteralmente di minoranza, perché nel primo congresso in cui si contrapposero erano in minoranza, seguendo poi fasi alterne) e i bolscevikj (comunisti, violenti, facili al sistema insurrezionale e in taluni casi anche alle rapine per “autofinanziamento” un metodo che rivedemmo con le “Brigate Rosse” italiane, negli anni ’70 ed ’80). Più in là ancora gruppi anarchici più o meno consistenti, ma sempre poco efficaci nella questione .
Di questi gruppi, fino all’intero 1916, solo i kadetj (guidati da Miljukov, Guckov, Rodzijanko, L’vov, ecc.) erano favorevoli alla guerra in sé e per sé un po’ come i nostri nazionalisti; tutti gli altri, di tendenza socialista anche se non marxista, erano favorevoli alla pace: tuttavia, una volta crollato lo zarismo anche nella sua forma semiliberale, e instauratosi uno Stato rivoluzionario, democratico, sociale, e considerando che la guerra era stata subìta e non provocata, ecco che diventano “difensisti” (termine che in Russia aveva qualche analogia col nostro interventismo democratico), sia in contrapposizione ai pacifisti autentici, sia a quelli ipocriti, definiti “disfattisti” (sostenitori di una guerra di classe): in sostanza, occorreva proseguire la guerra, non per scopi imperialisti o di ulteriore conquista, ma per scopi rivoluzionari: affermare in Europa una condizione politica e sociale più progredita rispetto a quella che aveva provocato la guerra. Praticamente questo “difensismo” era condiviso da tutti, compresi i bolscevichi rimasti in Russia, mentre non era affatto condiviso da alcuni suoi capi all’estero. Lo stesso valga per i menscevichi la cui ala estrema, retta da Trotzkij, condivideva l’idea della pace ad ogni costo, ma con la volontà di provocare una guerra civile di classe. A questo punto, comincia l’Operazione Lenin, con la cooperazione di un faccendiere russo emigrato, soprannominato Parvus, ovvero Gel’fand o Hel’fand, che si era arricchito con i suoi strani traffici. Così, il servizio segreto tedesco organizza il viaggetto attraverso alla Germania e la Svezia (neutrale) in aprile per portare il bravo ed utile Lenin in Russia, e fargli prima dare una severa regolata al suo partito bolscevico (ufficialmente ancora socialdemocratico, anche se distinto in due frazioni o, meglio, fazioni), in modo da orientarlo ad una lotta decisa contro il Governo Provvisorio, esautorarlo con le buone (tramite i Soviet) o con le cattive (rivolte, sabotaggi, propaganda antibellica nella popolazione e tra le file dell’Esercito), impadronirsi. così del potere, fare la pace con gli Imperi Centrali, e scatenare la guerra civile di classe all’interno. Alcuni storici, come Jean-Jacques Marie, sostengono che l’accusa a Lenin di essere stato un agente provocatore al soldo della Germania, era una calunnia: altri storici, come Fritz Fischer, e molto prima ancora come lo stesso Kerenskij (sulla base di informazioni britanniche), hanno dimostrato l’opposto: all’atto della situazione, sappiamo che il buon Lenin, con altri consimili, viene fatto transitare dalla Svizzera alla Russia attraverso alla Germania in treno (ben curandosi che non si faccia sentire dalle popolazioni attraverso cui passa: che poi il treno fosse piombato, blindato o, comunque chiuso, sono dettagli di limitato interesse storico), portato in Svezia e da lì in Finlandia (allora appartenente all’ex-Impero Russo, ma con promessa di indipendenza); appena arrivato, lancia le sue Tesi d’Aprile e lo slogan Tutto il potere ai Soviet, inizia la progettata opera di convinzione verso coloro che, nel partito, si erano proclamati difensisti. Già al materiale arrivo alla stazione, in risposta al discorso di felicitazione pronunciato dal menscevico Chejdze con accenti difensisti, egli replica in funzione opposta: combattere in ogni modo il Governo Provvisorio, scatenare la rivolta interna, giungere alla pace con le Potenze centrali. Solo un deficiente poteva pensare che tutto questo non avrebbe favorito la Germania o che avesse stimolato il proletariato tedesco e austriaco a ribellarsi al proprio regime. Vero è che poi ciò avvenne dopo la sconfitta di un anno dopo di Germania ed Austria-Ungheria, ma sicuramente ciò non avvenne per merito di Lenin & Company con la piena guerra civile russa in corso, bensì per opera dell’Intesa e dell’intervento americano. Non ci vuole molto poi a comprendere che, dopo l’avanzata tedesca in Russia e la creazione dello Stato satellite ucraino, se i Tedeschi fossero riusciti a sfondare il fronte occidentale e gli Austro-Tedeschi quello italiano, costringendo l’Intesa alla pace prima che si sentissero gli effetti diretti dell’intervento americano, per lo stesso regime comunista sovietico sarebbe suonata la resa dei conti ed effettuato l’abbattimento di quel regime, con l’occupazione o l’asservimento di tutta la Russia europea (progetto ripreso 23 anni dopo da Hitler). Attribuire a Lenin una capacità di previsione di tale portata, è attribuirgli un’astuzia di cui fu del tutto privo, come ben rivelano documenti e fatti fino alla sua morte (con le conseguenze a lungo termine del 1989/ 90).
In sostanza, mentre i primi due mesi (da febbraio/marzo ad aprile/maggio 1917), il Governo provvisorio, che unificava forze di centro (i kadetj) e le forze di sinistra moderata (i trudovikj) nella persona del ministro della Giustizia e avvocato difensore di molti rivoluzionari nonché rivoluzionario egli stesso, Aleksandr Fiodorovich Kerenskij (soprannominato più tardi “il primo amore della Rivoluzione Russa, il persuasore in capo”), fu efficiente, tranquillo, cooperando in modo efficace con i Soviet, di cui lo stesso Kerenskij fu vicepresidente e tra i massimi rappresentanti, oltre che ex-deputato della IV Duma di Stato. Ma i guai cominciarono proprio con l’arrivo di Lenin, che lo stesso Kerenskij, peraltro senza impedirlo in alcun modo (si ignorava allora la collaborazione tedesca in questo viaggio, scoperta poi dallo stesso Governo Provvisorio attraverso informazioni dirette e inglesi), aveva intuito come pericoloso. Va ricordato che i due si conoscevano dai tempi in cui Vladimir Ulianov era studente a Tashkent, nell’Istituto di cui il padre di Kerenskij era preside). Molte difficoltà avrebbero potuto essere superate se non vi fosse stata l’opera velenosamente sistematica di boicottaggio e di istigazione alle rivolte da parte dei bolscevichi, ormai condizionati dalla volontà, per quanto non del tutto incontrastata, di Lenin, se le Potenze occidentali, con un maggior realismo e comprensione per un enorme Paese che stava avviandosi a nuove e molto più democratiche istituzioni (quindi non del tutto ordinato ed efficiente), non avessero preteso nuove offensive e avessero atteso, magari utilizzando strategie alla Kutuzov (ritirata strategica), smobilitazioni graduali di elementi più anziani, stanchi o logorati che fossero, una riorganizzazione per un Esercito meno numeroso, ma meglio armato e comandato, con una selezione delle nuove leve più motivate ed addestrate. Il territorio russo, assai più vasto e con estese pianure, consentiva una maggiore mobilità ed elasticità, rispetto agli altri fronti, ma le Potenze dell’Intesa sollecitavano una troppo rapida ripresa offensiva, onde impedire ai Tedeschi di trasferire ad ovest altre Divisioni. Così per la loro grettezza e diffidenza verso il popolo russo, considerato non all’altezza di una democrazia, facilitarono colposamente il Progetto Lenin pagandone essi stessi le conseguenze, con l’effettivo arrivo di divisioni sia tedesche che austriache, parato in parte con l’afflusso di uomini, armi e soprattutto dollari dagli USA .
Per capire l’importanza rivoluzionaria del Governo Provvisorio e dei Soviet, non ancora controllati dai bolscevichi, si dovrebbero tradurre, pubblicare e consultare tutte le relative deliberazioni: molte, se non tutte, furono pubblicate in inglese, per quanto riguarda il Governo Provvisorio nell’esilio americano, da parte di Aleksandr Kerenskij e del collega David P. Browder, a cura dell’Università di Stanford. Qui in Italia ci si guarda bene dal fare lavori analoghi perché i nostri clericali, marxisti e clerico-marxisti preferiscono ricantare le loro nenie pacifiste e le loro lodi a Lenin l’Invitto, ma non ci si rende conto di quanto poi Lenin & Company si rifacessero allo stesso sistema che essi avevano poi travolto: tanto per citare, le prime riforme agrarie e l’utilizzazione di commissari civili o politici nell’Esercito [9]. Non meno interessante fu il rafforzamento del cooperativismo e tutta una serie di riforme ed innovazioni che i comunisti continuarono, deformandole tuttavia nel sistema totalitario e monopartitico.
La prima fase del Governo Provvisorio fu essenzialmente liberaldemocratica, e Kerenskij fu l’unico rappresentante della sinistra (secondo i bolscevichi, erano comunque tutti “borghesi” e, con questa stupida etichetta – stupida perché quasi tutti i capi bolscevichi erano “borghesi”, e non certo “proletari”, anche se in piena miseria nell’esilio o in patria - pensavano di opporsi al Governo stesso) nella compagine ministeriale. Viene pure ammesso che Kerenskij, in prima battuta ministro della Giustizia, fosse stato quello che lavorò più di tutti con disposizioni innovatrici. Poi, con la prima crisi dovuta all’arrivo del bolscevico Lenin, quindi nel mese successivo di Trotzkij, il Governo Provvisorio si spostò all’ala sinistra, sia verso i menscevichi, sia verso i socialisti rivoluzionari, e nondimeno l’opposizione bolscevica, ormai ispirata alla tattica disfattista di Lenin, non si limitò alla giusta azione di controllo e di critica ragionevoli, ma iniziò un’opera di logoramento, sfociata nel luglio in una prima rivolta, per quanto soffocata con energia tanto che lo stesso Lenin dovette rifugiarsi in Finlandia e Trotzkij passò qualche giorno in galera, che ebbe effetti soprattutto sui soldati (in prevalenza, contadini semi-analfabeti, facili ad apprezzare le sirene che promettevano pace e miracoli…) e sugli operai delle grandi fabbriche specialmente di Pietrogrado (un po’ più colti dei primi, ma non certo meno creduli ai miracoli promessi da Lenin & Company). Opera concentrata al fronte e nella capitale, meno a Mosca e in altre città o villaggi dell’enorme Russia, tanto è vero che poi le elezioni per l’Assemblea Costituente diedero la maggioranza a forze difensiste, soprattutto ai socialisti rivoluzionari, ragion per cui alle due prime sedute i bolscevichi la sciolsero con la forza, dando il via alla successiva guerra civile (tanto auspicata dai “pacifisti” Lenin e Trotzkij).
Ora, se vi fosse stata allora, e se vi fosse ora, una certa obiettività storica e critica nel valutare l’operato dei tre o quattro Governi Provvisori, ci si accorgerebbe che, mentre in otto mesi il loro lavoro fu enorme, nel medesimo periodo vennero oberati di accuse, calunnie e boicottaggi per giunta crescenti, e tutto ciò nel corso di una devastante guerra mondiale, eppure non persero né la testa né il coraggio. Se li confrontiamo con i nostri malgoverni e sgoverni in tempi di pace che non sanno fare altro che oberare di tasse e di caotiche leggi il popolo, si resta stupefatti dal confronto. Al Governo Provvisorio, si pretese allora e si pretende tuttora una velocità d’azione che nessuno ha nemmeno in tempi di piena pace; lo si critica come debole, come inefficace, come irrealistico (voleva, e doveva…, proseguire la guerra per non ridurre la Russia, che si era già enormemente sacrificata in uomini e mezzi, a Paese vinto e, come fecero i tanto apprezzati bolscevichi, ad altri anni di guerra, di miseria, di fame, di odiosissime persecuzioni), e tuttavia per quanto potè, fece anche di più e di meglio di quanto dovesse in simili condizioni. Ma per una valutazione esatta si dovrebbero quindi consultare le documentazioni dirette del tempo, mentre pare che, almeno in Italia, si preferisca cantare le solite nenie di quando esisteva l’URSS, sull’abilità e l’energia dei bolscevichi .
Il guaio fu che al boicottaggio e sabotaggio bolscevico, che era riuscito ad interrompere la celebre offensiva Kerenskij del giugno/luglio 1917, seguì poi l’altrettanto grave boicottaggio degli alti ufficiali, a partire dall’allora comandante supremo Kornilov. Intanto alcune osservazioni su tale offensiva, che venne ed è non poco derisa allora e dagli storici, come se la storia della Prima Guerra Mondiale non avesse segnato su ogni fronte di guerra, compreso il nostro, tutta una serie di offensive fallite in tutto e in parte. Non ne serve l’elenco tra i due gruppi contendenti. Ma vanno chiariti alcuni punti.
L’offensiva venne sollecitata e pretesa dalle Potenze occidentali per almeno due ragioni: provare che la Russia rivoluzionaria e proto-repubblicana volesse continuare la guerra contro le Potenze centrali; impegnare ingenti forze tedesche ed austroungariche, in modo da impedire ad esse di mandare rinforzi verso occidente e contro l’Italia, come infatti avvenne nel novembre successivo. Nel 1967, ancora giovanissimo, ebbi modo di ascoltare un’intervista televisiva dell’ineffabile Ruggero Orlando, non a caso di tendenze socialiste e divulgatore di viaggi lunari, al Kerenskij allora ottantaseienne, proprio su quell’offensiva. L’uomo, tuttora lucidissimo, all’ironia del giornalista rispose nettamente che quell’offensiva a cui la Russia fu costretta per ragioni di alleanza, comunque riuscì nell’intento di battere gli Austro- Ungarici, come in altre occasioni, e trattenere le forze tedesche.
Va pure ricordato che, sempre su sollecitazione dei Franco-Inglesi, anche la flotta del Baltico entrò in azione, contro quella tedesca, nell’illusione che sarebbero intervenuti gli Inglesi che l’avevano sollecitata, invece questi non fecero nulla e la flotta russa fu battuta, senza però gravissime perdite (nulla di paragonabile alla celebre Tsushima del 1905).
L’intrinseca ragione dell’interruzione di tale offensiva fu proprio lo scatenamento della prima insurrezione bolscevica, un esperimento a sua volta fallito, ma che pur tuttavia diede a Kornilov e sostenitori l’occasione per organizzare un colpo di stato, tentar di abbattere il Governo Provvisorio e di instaurare una di quelle dittature di destra che poi si affermarono durante la guerra civile sia ad ovest, sia ad est. Tra le due operazioni uguali e contrarie, Kerenskij, ormai vera anima del Governo, indisse due assemblee, una Conferenza Democratica a Mosca con l’intento di giungere ad una riappacificazione tra i vari raggruppamenti politici; poi, in attesa della Costituente, l’istituzione di un provvisorio Consiglio della Repubblica (o pre- parlamento, in sigla russa Tsai Ee Ka), sempre come sede di confronto e in parte legislativa. Nel frattempo, i bolscevichi assumevano la maggioranza e la presidenza dei soviet a Pietrogrado, malgrado la loro tentata rivolta. Appare inutile ribadire che i bolscevichi accentuarono fanaticamente la loro opera devastante nell’Esercito, nella Marina e tra gli operai, sempre contro il Governo.
Poteva, in tutte queste complicazioni, il Governo Provvisorio fare di più o di meglio? Non è ragionevole pensarlo, dati i limiti di tempo nei quali si potè operare. Commise errori il Governo Provvisorio ? Certo, potè commetterne, soprattutto in tema antibolscevico, non perché Kerenskij non si rendesse conto della pericolosità dell’azione bolscevica, che egli aveva represso con una certa energia senza sorpassare limiti democratici malgrado la guerra in corso, ma perché gran parte delle forze di sinistra non si rendevano conto delle reali intenzioni, della volontà, soprattutto di Lenin, di scatenare la guerra civile nominalmente a vantaggio del “proletariato” (leggi partito comunista). Nessuna seria misura di repressione venne assunta contro quel gruppo politico, tanto che Trotzkij potè diventare addirittura presidente del Soviet e cooperare con il di nuovo esule Lenin. Così il generalissimo Kornilov preparò nel settembre un colpo di stato, fallimentare anche quello, ma che per varie ragioni (tra cui la presunta accettazione di Kerenskij del colpo di stato stesso [10]) finì per dare il colpo di grazia alla nascente Repubblica Federale e Democratica russa, in quanto, mentre le forze politiche di centro (kadetj) cominciavano a togliere il loro favore, quelle di sinistra (menscevichi e socialisti rivoluzionari) cadevano in piena confusione e a loro volta non incoraggiavano il Governo Provvisorio nella sua complessa opera di riorganizzazione dello Stato in tempi di guerra, e di che guerra !). In base a questa fiducia nella “democraticità” del gruppo bolscevico, a questo fu addirittura consentito di riarmarsi contro l’azione del Kornilov, questo sì un errore evitabile se si ricordava quanto avvenuto due mesi prima, ma pur provocato da questa ingenua fiducia, quasi infantilmente tollerante, verso i bolscevichi. Si vedeva il pericolo della destra militarista, non si vedeva quello della sinistra anarcoide, antinazionale e ribellistica . Frattanto anche le Potenze occidentali mantenevano la loro diffidenza nei riguardi della nuova situazione, e non è improbabile che incoraggiassero Kornilov al colpo di stato [11], e questo certamente indeboliva, anche nei rapporti internazionali il prestigio dell’intero Stato russo, ormai repubblicano a pieno titolo.
Kerenskij, il Governo Provvisorio, il Consiglio della Repubblica, i Soviet, una volta tanto ma per poco solidali nella contrapposizione all’obbrobrioso tentativo militarista, riuscirono a sventarlo e senza grossi o sanguinosi sforzi, ma fu, come si usa dire in questi casi, il canto del cigno. Lenin e Trotzkij organizzarono a loro volta quella ribellione che, erroneamente, venne chiamata “rivoluzione”: che non lo fosse, se non per chi fa coincidere tale movimento con un qualunque disordine che porti al rovesciamento di un dato potere, l’ho già spiegato, e non credo necessario insistervi. I fatti lo hanno dimostrato nella maniera più inconfutabile nel corso dell’intero secolo: la Russia retrocedeva ad una sorta di “zarismo rosso”, certamente anche più tirannico dell’autocrazia di Nicola II dopo il 1905. Sul piano dei grandi princìpi dell’89, sul piano della democrazia nelle istituzioni e a ben considerare nell’efficienza delle stesse, che non può coincidere mai col terrore e la repressione, con le persecuzioni, la morte degli oppositori, l’uso di picconi o altro, il regime comunista, in Russia come altrove, coincise con un arretramento spaventoso, finito - lo ribadisco - nel modo inglorioso che sappiamo. Se qualcosa di buono vi fu, almeno nelle intenzioni e nelle promesse (soluzione della questione sociale, eliminazione dello sfruttamento di classe), esso non fu altro che la ricezione parziale e formale, o teorica, proprio di quanto impostato dalla Rivoluzione di febbraio, e non farina del proprio sacco [12] .
Alla ribellione comunista, a cui parteciparono anche militari e soprattutto i celebri marinai di Kronstadt (ben bastonati poi dal loro esaltatore di prima, Trotzkij), risposero momenti vari di resistenza, non tanto quello al celebre Palazzo d’Inverno, sede del Governo, tentata da allievi ufficiali e soprattutto dalle donne soldato, quanto nei giorni successivi a Pietrogrado e a Mosca. Kerenskij che, dimostrando abilità non indifferente riuscendo ad abbandonare la città per non farsi catturare, e rivolgersi a vari Corpi armati, i cui comandanti tuttavia non vollero o non seppero (lo stesso comandante Polkolnikov della guarnigione di Pietrogrado fu passivo e tardo nella reazione; l’altro più vicino, Ceremisov, si rifiutò addirittura di intervenire) agire in modo energico e coerente in difesa della neonata Repubblica. Krasnov, atamano dei cosacchi, che ebbe una lunga storia finendo per aderire al nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale, evidentemente non era solidale con Kerenskij proprio perché questo aveva impedito il colpo di mano di Kornilov. Altri, come Duchonin, comandante supremo dopo Kornilov e ucciso dai bolscevichi, pur favorevoli ad una resistenza, erano troppo lontani. Kerenskj quindi dovette affidare il proprio destino e quello della Repubblica Democratica al non forte reparto di Krasnov; vi fu qualche successo tra Krasnoje Selo, Gatcina, ma finì con una mezza sconfitta a Pullkovo, quindi una ritirata, dopo la quale il buon Krasnov trattò con i bolscevichi affinché Kerenskij si arrendesse o venisse consegnato. Mangiata la classica foglia, l’abile Kerenskij, con l’aiuto di alcuni sostenitori, riuscì a nascondersi. Malgrado la superiorità numerica locale, rispetto ai cosacchi di Krasnov, non pare che le guardie rosse di Lenin e Trotzkij fossero in grado di reggere l’urto, qualora Krasnov avesse continuato la battaglia su posizioni migliori. Lo testimonia lo stesso americano e giornalista John Reed, simpatizzante per i bolscevichi e da essi sepolto più tardi nella Piazza Rossa, nel suo libro apologetico “I Dieci Giorni che sconvolsero il mondo”, a cui mi sono ispirato ironicamente nel sottotitolo del presente scritto. Il punto è che il Governo Provvisorio, almeno nella zona di Pietrogrado e in prossimità del fronte, era ormai inviso sia a destra che a sinistra, in quanto considerato responsabile di ogni problema (ma sappiamo bene che cosa fecero poi coloro che tanto a destra che a sinistra lo avevano così duramente criticato, ovvero una guerra civile). A Mosca, tuttavia, ed in altre località la resistenza antibolscevica fu indubbiamente maggiore. Ma intanto che facevano gli Austro-Tedeschi ? Non sembra che, malgrado il disordine tra le armate russe, la lotta intestina o altro, approfittassero granché per avanzare (infatti, attesero le trattative di Brest-Litowsk nel gennaio 1918 per prendersi circa due terzi del territorio che le armate di Hitler riuscirono ad occupare nel 1941 / 42), ma piuttosto per trasferire forze ingenti contro Francia e Italia, verso le quali scatenarono le ultime offensive con successi significativi. Il motivo fondamentale di questa “tregua” era che ormai si aspettavano che la pera matura cadesse, ed infatti cadde.
Nel frattempo, sempre in gennaio dopo le elezioni, l’Assemblea Costituente, in cui prevalevano i socialisti rivoluzionari e non certo i bolscevichi, malgrado il tanto decantato successo della “Rivoluzione d’Ottobre”, siccome appariva un ostacolo (e anche per probabile suggerimento dei servizi segreti austro-tedeschi), venne chiusa in nome dei soviet [13]. E’ questo criminale atto che darà anche l’avvio alla guerra civile, che, prima guidata dagli elementi democratici dei socialisti rivoluzionari (va sempre ricordato: non marxisti) e dei menscevichi (marxisti riformisti), e militarmente sostenuti da volontari cecoslovacchi (ex-prigionieri austro-ungarici, passati a combattere con l’Esercito russo, col rischio che, se catturati potevano essere impiccati, come i nostri irredentisti Battisti, Filzi, Chiesa, Sauro), infine tolti di mezzo dall’intervento militarista di Kolchack e successori, finirà per far trionfare la trotzkijana Armata Rossa, non tanto per merito di questa, quanto della scarsa coordinazione delle forze, degli interventi militari tardivi e inefficaci dell’Occidente, della scarsa convinzione con cui avvenne tutto questo. Questa guerra civile, dopo essersi estesa anche alla ricostituita Polonia, finì appena nel 1921 con la rivolta dei marinai di Kronstadt e la definitiva repressione di ogni moto antibolscevico, per cominciare quella guerra “fratricida” (o “compagnicida”) per cui gli stessi bolscevichi si ammazzarono tra loro, almeno fino alla morte di Stalin nel 1953. Sicuramente una sequela di fatti, su cui solo il fanatismo ebete e credulone può trovare un qualche senso logico e di progresso. Si obietterà che l’URSS, malgrado le sue problematiche enormi, riuscì a reggere ottimamente l’attacco tedesco nel 1941 e nel 1942, riconquistando tutto ciò che si era perduto ed arrivando a Berlino, ma andrebbe anche considerato che la Germania, spinta dalla presunzione di assoluta superiorità razziale, aveva sfidato le Potenze maggiori dell’epoca ed era assai mal appoggiata dai suoi fragili alleati (non starò qui a rivangare anche questo) con l’eccezione del Giappone che però operava lontano e per conto suo, e non intervenne contro l’URSS [14]. Inoltre la Germania, a parte elementi ucraini e cosacchi, sempre in ragione del suo vanto di superiorità, non seppe attirare verso di sé il popolo russo, che disprezzava, e quindi rifare quell’opera di sgretolamento che invece era riuscito ad ottenere il regime di Guglielmo II.
C’è poi il confronto con gli USA, la guerra fredda ed altro: uno spettro, come quello di Marx, indubbiamente efficace per tanto tempo nell’immaginario occidentale, ma non servono dettagli per spiegare come tutto ciò non abbia avuto vera consistenza, per quanto spaventoso o terrorizzante o meraviglioso potesse apparire a detrattori o ammiratori dell’URSS: alla fine la storia ha comprovato che solo il terrore, nient’altro che il terrore, aveva cementato quell’enorme blocco. Quando il terrore fu allentato, con Kruscev prima, e poi con i suoi successori, fino a Gorbacev, il cemento del blocco si sgretolò, si polverizzò, e la Russia, divisa come non mai dal tempo dei primi Romanov, fu oggetto di un’azione negativa per farla ritornare a livelli capitalistici. Ora se ne ha paura, per questo o per quello, ma sembra più propaganda tradizionale, fatta di cattiva coscienza, pregiudizio “etnico” o che altro, dovuto tutto ciò al non aver saputo fare un grande esame di coscienza storica per aiutarla a ritrovare quella strada che aveva perduto nell’ottobre/novembre 1917: una grande Repubblica Federale Russa che avrebbe dato un ben diverso contributo nelle trattative di Versailles, dopo aver concluso una guerra durissima in condizioni vittoriose e non disastrose, senza guerre civili, ma con una seria ricostruzione.
Condivido nettamente la tesi di Ernst Nolte che attribuisce all’avvento del comunismo la reazione autoritaria e totalitaria sia del fascismo, sia del nazismo, o di altre dittature militariste (come in Spagna o in Portogallo, così pure nella Polonia di Pilsudsky e in altri nuovi Stati dell’Europa centrale): il che era delineato sinteticamente a priori in quel periodo di Mazzini da me citato in testa allo scritto al secondo punto, come per quel che riguarda l’intrinseco elemento tirannico del comunismo in generale e marxista in particolare, mentre Nolte si diffonde analiticamente e a posteriori citando gli eventi effettivi [15]. Così, come nel 1917, altrettanto nel 1989/ 90 fu persa una grande occasione storica per migliorare, e non semplicemente cambiare, non solo la grande Russia, ma l’intero pianeta, almeno nei suoi Stati più civili, con un deciso passo progressista. Ora, abbiamo instaurato nel mondo una “globalizzazione”, che è semplicemente l’americanizzazione economica e finanziaria del pianeta, l’asservimento alla produzione e agli interessi economici, politici e militari degli Stati Uniti, con tutti i rischi che comporta un simile predominio nel mondo (quale, fra i tanti esempi concreti, lo stesso fanatismo ed espansionismo islamico) .
Le jekilliane metamorfosi marxiste tra Ottocento e Novecento
In conclusione, l’aberrante moto iniziato quasi tacitamente allora col celeberrimo Manifesto del Partito Comunista nel 1848, e conclusosi, non del tutto ma in gran parte, 142 anni dopo, era fondato sul pensiero di Marx, sostenuto ideologicamente ed economicamente da Engels [16]. Impadronitosi nel 1864 dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (la Prima Internazionale, per definizione), composta da correnti socialiste di ogni tendenza (da quelle oweniste, saint-simoniste, fourieriste, proudhoniane, alla Blanc, e comuniste blanquiste), democratico-sociali, anarchiche, cristianeggianti o deistiche, ecc., finì per cacciare una dietro l’altra tutte queste tendenze, finché non si sciolse nella piena inerzia a Filadelfia nel 1876 [17] questo il “rivoluzionario” risultato dell’opera dei due grandi Comunisti, che doveva portare al trionfo planetario del proletariato e del socialismo “scientifico”…
Venne poi costituita la Seconda Internazionale, di orientamento in parte riformista, in parte rivoluzionario, che tuttavia, malgrado le professioni di pacifismo, internazionalismo, antinazionalismo, sovrannazionalismo, quando suonarono le trombe di guerra nel 1914, si sgretolò rapidamente e con poche eccezioni (quali il gruppo di Zimmerwald, Lenin, il Partito Socialista Italiano, i futuri spartachisti tedeschi Rosa Luxenburg e Karl Liebknecht, l’unico francese Jean Jaures ucciso in un attentato), il resto fu solidale a malincuore o meno con gli opposti interventismi. E venne la III Internazionale, leninista, ma anche lì, con Lenin e dopo Lenin, vi furono contrasti interni sfociati anche con persecuzioni ed assassini, in Italia ad esempio, tra Gramsci e Bordiga prima, Gramsci, Togliatti e Bordiga, poi; in Russia, terribile, tra Kamenev, Zinoviev, Bucharin, Trotzkij, Stalin, e via elencando. Interpretazioni e contro-interpretazioni sul marxismo che non vertono tanto sul fine (vittoria del proletariato e poi abrogazione delle classi), quanto sulle metodologie (legali o violente), e soprattutto sui tempi, perché nella dialettica mal adoperata e malintesa di derivazione hegeliana, applicata alla società umana storica, non si sa mai quando sia il momento della tesi, quale il momento dell’antitesi, e quale il momento della sintesi. I marxisti sembrano pianisti pazzi che abbiano un identico spartito da suonare, però chi scassando i tasti a martellate, chi sfiorandoli in modo inudibile, chi, regolando variamente il metronomo, con tempi lunghi, chi con tempi rapidi, chi alternandoli in un folle frastuono. I temi socioeconomici in essi hanno sostituito le discussioni bizantine sul sesso degli angeli e sulla natura una e trina del Dio cristiano, nonché quelle occidentali sulla prevalenza dell’imperatore sul papa o del papa sull’imperatore. E intanto, contrastando su facezie, perlopiù verbali, si ammazzano a più non posso. Nella seconda metà del XX secolo, vi furono maoisti, marcusiani, stalinisti, trotzkisti in ritardo, seguaci di Ho Chi Min, oppure di Castro, o ancora ammiratori del terrore cambogiano, condotto da Pol Pot; vi fu, qui in Italia, chi applicò un terrorismo individuale che trasformò in martiri e in eroi uomini mediocri di scarso intelletto.
Il fallimento inesorabile del marxismo, che Mazzini aveva previsto ancor prima dell’Internazionale (si veda ad esempio, in “Condizioni ed Avvenire dell’Europa”, del 1852, dove cita Marx per la prima volta) proprio per la sua fragilità teoretica, ancor prima che pratica e politica, è dimostrato non solo dalla conclusione (molte altre dottrine sono o sembrano fallite, ma non per gli errori intrinseci, quanto perché poco simpatiche all’intellettualità, alla critica e alle folle, in quanto scomode, non luccicanti, non incitanti a facili successi), ma per tutto il suo svolgimento effettivo. Dal crollo dell’URSS, infine, il marxismo, passando da fase dialettica in fase dialettica, saltabeccando, ballonzolando, negando, rinnegando e riaffermando, è arrivato al clerico-marxismo che - da semplice alleanza tra il cristianesimo socialisteggiante e il socialcomunismo - in un lubrico connubio è divenuto un mostro ideologico che nega Dio ma deifica il papa, azzera la questione sociale e tresca vergognosamente col capitalismo planetario, pontifica sul clima con toni apocalittici, e predilige aborti, eutanasia, istigazione al suicidio più o meno assistito (chi verifica?), neo-nomadismo, liberalizzazione della tossicodipendenza, liberoscambismo di merci, denaro, schiavi ed automi, l’omosessualità non semplicemente tollerata, ma esaltata come normale, se non addirittura doverosa, certo tesi ed aspirazioni che né Marx, né Engels avrebbero condiviso con tanta simpatia, eppure direi quasi inevitabilmente conseguenti ad una dottrina fondata sul puro materiale interesse, piuttosto che sullo spirito [18].
L’errore metodologico di base in Marx fu quello per cui, ritenendo di rimettere la dialettica hegeliana in piedi invece che sulla testa, e così raddrizzare il pensiero e l’azione umani, rendendoli adeguati alle esigenze vitali (fisiche e psichiche dell’uomo, non “spirituali”, perché lo “spirito” non sussiste per Marx) dell’uomo, avrebbe dovuto coerentemente fondarsi su un metodo induttivo (dai particolari all’universale), come in effetti tentò ne “Il Capitale”, ma non vi riuscì proprio perché la dialettica è nata come processo logico deduttivo (dall’universale al particolare), quasi un’algebra, dello spirito e della ragione umana, non dei singoli, ma universale. Così questo inimitabile Filosofo si perdette, come il classico gatto che gioca col gomitolo di lana, con formulette e statistiche, episodietti commoventi ed assoluta mancanza di sintesi. In questa sua ambiguità tra metodo deduttivo ed induttivo, confuse azione umana, economia, questione sociale, predominio dello Stato, abolizione dello Stato, proletariato (unilateralmente inteso), borghesia (termine generico, che poco significa: la “borghesia” apparirebbe vagamente come il non- proletariato). Il tutto viene concepito nella pretesa di determinazioni “scientifiche” del futuro pre-accertate, mentre la scienza è sempre indeterminata e probabile, tanto per il passato (che non c’è più), come nel presente (perché continuamente scorre), così nel futuro, perché deve avvenire. Ma anche perché la scienza non è fonte di certezze assolute, in quanto è critica: oggi può dimostrare qualcosa, domani il suo contrario. La scienza è una lenta conquista nel corso del tempo, dei secoli e dell’intera umanità, talvolta con ritorni, regressioni, confutazioni, non è il prodotto perfetto di un individuo e neppure di un gruppo di individui .
L’illusione positivista e scientista, che fu poi ripresa da Lenin nella sua polemica con gli empiriocriticisti (Mach, Avenarius), non si rende conto che la scienza o è anche autocritica, oltre che eterocritica, quindi si fa epistemologia, oppure è fiaba, mito, non meno che quello delle religioni rivelate, e fa passare per reale e certo ciò che è solo illazione. Per questa scarsa considerazione verso tematiche veramente logiche e scientifiche, così ontologiche come metodologiche, in sede ideologica quanto in sede storica, nella teoria e nella prassi, il marx-engelsismo, tanto nelle versioni estremiste, quanto in quelle moderate e riformiste, ha ottenuto dappertutto un totale fallimento, pur riconoscendo le buone intenzioni da cui partiva e che pur si devono ammettere: tuttavia è noto a tutti di quale materiale siano lastricate le strade per l’Inferno…