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La parabola di Tristano e Isotta
a cura di Tito Del Bianco
Apollo distribuì sempre il dono della poesia con la destra, quello della musica con la sinistra, a due uomini tanto lontani l'un dall'altro, che fin ad oggi stiamo ancora aspettando colui che possa scrivere al tempo stesso i versi e la musica di una vera opera. (Jean Paul Richter)
L’ “utilità” della proposta Bayreuth, cioè l'attuazione effettiva della ritualità della rappresentazione musicale e scenica quale "atto liturgico" nel tempio ad essa consacrato, si rivela sempre più palesemente in tutta la sua autenticità e necessità artistica, umana e spirituale. Bayreuth riesce ad attuare quell'atto liturgico proposto da Wagner, in cui appare viva e concreta in tutto il suo peso la credibilità dell'Arte come segno divino della Vita e in cui l’espressione artistica diventa una rappresentazione del divino, un colloquio , una preghiera; si è riusciti ad attuare quel "rito" che nel teatro wagneriano è la celebrazione dell'immaginifico indeterminato, o meglio, dell'archetipo della creazione insito nei diversi stilemi e moduli descrittivi, del linguaggio occidentale del Mito in tutta la sua ampiezza.
De Pourtalès a questo proposito sottolinea ciò che rende ancor oggi il teatro wagneriano particolare rispetto al resto del teatro d'opera:
"Non è solo un 'estetica, ma un'etica nuova, una subordinazione dell'individuo alla collettività, la sottomissione degli interpreti al creatore, una vera grande e severa lezione di umiltà che induce l'uomo ad annullarsi di fronte all’opera. (1)
L’attesa del pubblico e dei critici è sempre concentrata sulla regia, tra lo sconcerto provocato dall'avanguardia e il conservatorismo scontato e - in certo qual modo - rassicurante della routine teatrale. L'importanza forse eccessiva che pubblico e critica attribuiscono interpretazioni della regia e alle scelte scenografiche sembrerebbe nascondere una certa paura, quasi non si volesse correre il rischio di attualizzare pienamente le "parabole" che Wagner - poeta e filosofo – ha espresso nella trama delle sue opere.
Non si intende con ciò giustificare certi eccessi dell'avanguardia, architettati da registi che talvolta non amano affatto l'opera lirica nè si vuole giustificare la gratuità di certe regie ( anche di tipo tradizionale), che non contribuiscono alla comprensione dell’opera, e che anzi ne impoveriscono il valore nei tratti essenziali. Il discorso sulle scelte della regia e scenografia wagneriana si riallaccia invece al tema della ritualità dell'opera: nella creatività come spazio divino - e così è intesa l’opera wagneriana, come del resto ogni opera d’arte – non c’è posto per la sudditanza ai costumi di un’epoca o alle regole chiuse di stilemi e moduli di qualsiasi linguaggio (cosa che in Wagner è espressa così bene dal contrasto Beckmesser-Walther).
Quel grigiore o opacità nelle regie di opere wagneriane di cui tanto spesso si sente parlare fanno parte di una scelta scenografica che interpreta un linguaggio ‘notturno’, scandito più lentamente e staticamente, in cui si aprono i varchi della conoscenza silenziosa. La scena si piega quindi al linguaggio notturno attraverso il quale si esemplifica un dramma dalle innumerevoli valenze archetipiche, filosofiche e culturali. Il tema della pena di vita e della condizione di prigionia è spesso rispecchiato in molte scelte scenografiche. Tristano ed Isotta prigionieri nello squallore di una cella, o di un luogo ad essa assai simile ( si pensi al finale di Aida!) propone il tema dell’amore come forza anti-sociale o come minaccia agli equilibri prestabiliti. In Tristan und Isolde la notte (e con essa il suo linguaggio) è coprotagonista del dramma ed è connaturata alla dimensione scenica; vi incombe lo spirito di Novalis degli Inni alla Notte, lo spirito di misticismo notturno a questi particolare, tra cristiano e panteistico.
“In plaghe remote mi volgo alla sacra, ineffabile, arcana notte (…) Anche tu trovi piacere in noi, oscura notte? Che cosa tieni sotto il tuo manto, che con forza invisibile mi tocca l’anima? Delizioso balsamo stilla dalla tua mano, dal fascio di papaveri. Le ali grevi dell’animo tu innalzi.(…) Come misera e puerile mi sembra ora la luce – come grato e benedetto il commiato del giorno.(…) Più celesti di quelle stelle scintillanti ci sembrano gli occhi infiniti che la notte dischiude in noi...”(2)
Lo stesso tema è ripreso nel Tristano:
“Oh consacrati alla Notte eravamo ormai! L’insidioso giorno, ognora pronto all’invido rancore può separarci con la turpe frode: ma non ci illude più con la menzogna. Alle vane sue pompe, al borioso sgargiar de’ suoi barbagli, irride solo quei che alla Notte consacrava il raggio delle nate pupille! I lampi fuggitivi della diurna vacillante luce non ci abbagliano più.
Colui che sulla notte della Morte, nell'estasi d'amore, apria gli sguardi, e che se n 'ebbe confidato intero il profondo mistero, le menzogna del Giorno, le gale della gloria e dell'onore, la terrena potenza e la ricchezza (oh per quanto sublimi essi rifulgano!) dissiparsi vedrà, come d'incanto,in un infranto polverio di stelle. E nella illusa vanità del Giorno, in lui persisterà solo un anelito: verso la santa, smisurata Notte, ove, splendente primigenia essenza, unico Vero, sorride a lui la voluttà d'amore”. (3)
La Notte, povera di presenze concrete, è dunque l'unica dimensione dell'Amore: nel suo grembo si occultano le apparenze e si esaltano gli istinti a quella libertà che il Cosmo riflette alle sue creature. Nel motivo della Notte, caro al misticismo romantico, il silenzio è scevro da guardiani diurni, libero dalle imposizioni del Giorno, e il buio è solo apparente, perchè è nel buio che l'anima si illumina e riluce splendente.
Nel Tristano domina questa cornice temporale priva del Giorno, che è nel contempo il Sole, esaltazione della Vitalità, ma anche specchio riflettente le leggi sociali, autorità e imposizione da cui discendono il rigore del comportamento e della differenziazione di priorità verticistiche.
Solo la Notte è quindi la realtà onirico-creativa affidata agli istinti ma ai due amanti è permesso di entrarvi solo attraverso uno ''stratagemma": l'ingresso alla dimensione notturna avviene nel Tristano attraverso il filtro d'amore, che altro non è che una forma magico-poetica per rappresentare l’uscita dalla realtà contestuale rigorosa e l'entrata nella dimensione onirico - creativa notturna:
"O notte eterna, dolce notte,o sublime notte d'amor! Quei che tu abbracci, quei cui sorridi, può mai senza angoscia veder il risveglio appressar? Or scaccia il terrore, dolce morte, invocata Dea d'amor! Nelle tue braccia, sacri a te, ardenti al tuo soffio,dal destarsi sciolti alfin"...(4)
L'opera pone l'accento sul dissesto psicologico e umano di Tristano e Isotta rispetto alle coincidenze sociali e verticistiche e di valore partigiano proprie del Giorno, analogamente al dramma di Giulietta e Romeo. Il tema è quello del rapporto d'amore che non può svilupparsi tra due correnti contrarie, quando la concretezza della divinità e dell'universalità dell'Amore si infrange dinnanzi alla concrezione granitica delle leggi sociali, imposte dagli uomini, nell'ambito del Giorno apparente .
La Morte di Amore e Psiche è la socialità in Tristano e Isotta e Amore e Psiche sono qui coercizzate nella realtà contestuale: l'Eterno coercizzato da tempo e spazio contro l'Eterno immenso e senza limiti. Le forme degli "eroi" wagneriani portano ancora i segni dei valori eccelsi dell'Uomo, sono forme in cui la divinità si concretizza.
Purtuttavia, anche le forme eroiche di quei personaggi sono destinate a morire nel dramma stesso, che sancisce la loro fine : la morte di Tristano e di Isotta come la morte di tutti gli eroi wagneriani , è un momento culminante in cui la stessa condizione umana diventa più buia ed obsoleta, più misera, sterile e decadente.
Le forme eroiche dei personaggi soggiaciono alla Morte, come l'Uomo stesso, che, pur abbeverandosi alla fonte della Poesia e della Musica, rimane comunque imprigionato nelle pene della vita contingente e che nelle figure ideali del Mito non può che riflettere, anche inconsciamente, il suo dramma.
Spesso è anche il teatro a fallire nel suo intento etico-pedagogico verso l'individuo, che pur si accosta, seppur invano, al versante della poesia, del mito, della religione:
"...Wagner constatava che il pubblico non era ancora maturo, che la sua arte, le sue tendenze, tutto il suo pensiero riformatore si rivolgevano ad uno spettatore ideale ; che ci sarebbero voluti forse degli anni per ottenere dai beati borghesi un'emozione che li rendesse capaci di intravedere che il godimento di un 'opera d'arte presuppone nell'uomo un interesse profondo per il significato del proprio destino. " (5)
Il momento di massima commozione-comprensione si ha nel dramma con l'agonia di Tristano.
Le forme convenzionali imposte dal sociale infliggono a Tristano l'onta di traditore fedifrago e sanzionano il suo distacco da Isotta, sancito dal colpo brutale inferto da Melò. Nell'agonia di Tristano domina il ricordo della dimensione liberatrice notturna, l'esaltazione della Vita e della sovranità di questa contro tutte le forme impositive sociali.
La Notte dissipa le apparenze Tristano e Isotta fondendole nell'Uno, creatore e creatura unica, falsamente individuabile perchè bipolare alla luce del Giorno cieco e crudele.
Tristano invoca e chiama il nome dell'amata, che in questo caso non è un'altra persona, ma è sempre quel sè stesso diviso:
"Mai ridesti senza angosce, Senza nome in sen d'amore ...(6)
Tu Isotta! Tristano tu! lo Tristano! lo Isotta! Non più Isotta nè Tristano senza un nome che separa!...(7)
La ferita di Tristano è l'espressione di dolore spirituale per essere stato privato dell'altra metà di sè stesso, che nella Notte non aveva connotazione alcuna, mentre nel Giorno ha una connotazione e un nome ben definiti. L'essere unico senza nome viene spezzato in due irrimediabilmente dalle forze del Giorno: infatti quando Tristano sente la zampogna del pastore a dargli la felice notizia che il vascello di Isotta arrivava nell'isola, si esalta e sfida la morte strappandosi le bende, certo che questo arrivo lo avrebbe riportato alla Vita perfetta nella dimensione guaritrice notturna e all'unificazione salvifica con l'altro sè stesso.
Sia il filtro che la febbre sono due momenti giustificativi dell'esaltazione e dell'abbandono nell'irrazionale: nel filtro l'abbandono della posizione sociale e del rispetto delle rispettive dimensioni verticistiche (Isotta regina, Tristano campione del re); nella febbre la giustificante artistica del delirio di Tristano che, immemore del pericolo di strapparsi le bende dalla ferita, va incontro al dissanguamento e alla morte. Sono due momenti che racchiudono in sè già il seme della fine, i prodromi della tragedia, il rifiuto delle regole sociali e l'oblio del decadimento e della debolezza dei corpi.
Ma pur sempre anche questo delirio è diretto dalla forza immanente del filtro amoroso assunto.
Il filtro sarà la giustificante di tutto il dramma, il filtro che impone agli esseri l'oblio delle forme sociali e l'oblio pure della loro caducità umana, un filtro che esalta gli spiriti magici dell'eterna pulsione creativa della Vita contro la Morte, pur carcerata nelle forme càduche, nei corpi mortali degli amanti. Muore Tristano, Isotta muore con lui. L'Uno non può essere diviso e se diviso,muore.
Se la morte sopravviene per Tristano ferito da Melò, per Isotta la morte giunge attraverso la spada del profondo dolore, davanti all'amante esangue, poichè su entrambi il filtro codifica i limiti della loro divisione ed agisce per l’Eternità.
“Il dolce filtro, in tua man riconobbi allor...L’offrivi tu! Certa prescienza mi rivelò ciò che serbava a me l’espiazion! Un crepuscolo dolce entro al cor, la Notte mi destò… per me cessava il dì” (8)
Benchè l'amore di Tristano e Isotta fosse stato soggiogato, anzi, spinto dal filtro magico, esso si infrange contro l'impossibilità di continuare a vivere senza istanze impositive anche morali ( di fronte al re Marke o all'uccisione di Moroldo); la dimensìone sociale e morale (o pseudomorale) si scontra con l'istanza pura, innocente, divina, ma pur lesibile. Il fatto che questo miracolo divino dell'amore abbia a sostegno e a supporto anche il lato magico del filtro non modifica la situazione che subisce, comunque, la deviazione mortale dovuta alle forme concrete dogmatiche e morfologiche dell'era, delle usanze, delle circostanze .
“Ahime! Quel filtro fu ingannator,chè ancor la Notte svanì per te!Ti avea la morte già, e il filtro al dì ti ridiè! Oh,gloria al filtro! Gloria a quel licor! Gloria al magico suo poter! De la morte al soglio,versato a me,m'ha dischiuso il beato asil in sogno appena intravisto da me:di Notte il sacro Imper!”(9)
La parte debole e modificabile in questo caso non è il contenente, ma il contenuto , cioè l'Amore e la Vita, che cercano rifugio nella Notte fuggendo dalla dimensione ingannatrice del Giorno, cella e prigione:
"O schiavo van del dì!… Illusa da ciò che te ingannò Quanto dolor per te provai! ... Te tanto amato,lo vidi immerso nei rai di un giorno ingannatore! Là dove amor ardea celato in fondo al cor, credetti all'odio! Ah! del mio cor ne l'imo qual duol profondo, amaro! Quei che inconscia amavo allor m'apparve d 'odio degno, quando al fulgor del giorno Ei sol, che diligevo fuggendo i rai d'amor, sembrò un traditor! Ciò che sembrar ti fece tal: il chiaro giorno volli fuggir! E là...ne la notte te meco trar ove agl'inganni fine vedea il mio cor, ove cade il vel d'ogni errore umano.
Là per offrirti amore eterno a me ti volli unir ed ambo a morte votar! ...(10)
NOTE
1) Guy de Pourtalès – Wagner - Milano, ed. Nuova Accademia, 1961 - a cura di Alfredo Mandelli – pag. 144
2) Novalis “Inni alla Notte, Canti Spirituali” - Mondadori Milano 1982 – testo orig. a fronte - trad. di Roberto Fertonani, a cura di Virginia Cisotti – Inno I - pagg. 67-69
3) Wagner R. -Tristan und Isolde (atto II,scena 2) trad.in versi italiani di Vincenzo Errante – Sansoni, Firenze, 1950
4) Wagner , R. -Tristano e Isotta - (atto ll,scena 2) – versione italiana in prosa ritmica di Pietro Floridia – Ricordi , Milano
5) Guy de Pourtalès – op. cit – pag. 145
6) Wagner , R. -Tristano e Isotta - – versione italiana in prosa ritmica di Pietro Floridia – op.cit.(atto ll,scena 2)
7) ibidem
8) ibidem
9) ibidem
10)ibidem