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MANLIO TUMMOLO

 

 

LA “PREGHIERA” A DIO PER L’ITALIA

(novembre 1859) DI GIUSEPPE MAZZINI .

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(Pozzecco di Bertiolo, UD - luglio/agosto 2020)

 

 

PRESENTAZIONE

 

 

1. Sul cosiddetto “misticismo” mazziniano .

 

La “preghiera” a cui mi riferisco (spiegherò verso la fine la ragione del corsivo e delle virgolette, perché tale termine in Mazzini va inteso in senso speciale, più psicologico che religioso), costituisce il Capo XXI dell’importante e vigoroso scritto dedicato “Ai Giovani d’Italia” nel novembre 1859, quando l’armistizio di Villafranca e la conseguente Pace di Zurigo fra Napoleone III imperatore dei Francesi e Francesco Giuseppe imperatore d’Austria, nonché l’acquiescenza, volontaria o forzata di Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, parevano aver stroncato ogni volontà italiana di rapida unificazione della penisola, con l’abbattimento dei Principati dell’ Italia centrale e, soprattutto, di quella mostruosità storica che fu, da Carlo Magno fino al 1870, lo Stato Pontificio (non a caso difeso anche dalla pur “laica” Francia). Uno scritto assai particolare, perché in parecchi punti (e la “preghiera” di cui all’argomento appare certamente uno di questi) sembrerebbe confermare la tesi di un Mazzini profeta e mistico, e che tutto il suo pensiero operante sia dovuto ad un misticismo messianico: un’emerita sciocchezza, come si dirà più avanti, e la prova della quasi assoluta incomprensione di un pensiero, certamente attivo ed operativo, e tutt’altro che mistico, dove, a ben guardare, domina piuttosto il principio vichiano (affine all’hegeliano) dell’ “intelletto” o della “logica che governa il mondo”, che non quello della rivelazione o dell’ispirazione per vie magiche ed irrazionali [1]. L’incomprensione verso la struttura logica e coerente del pensiero mazziniano nel suo complesso, anche in correlazione della sua volontà d’azione come realizzazione della verità dalla dimensione teorica a quella pratica, non solo come esigenza o tendenza, ma come fatto operativo, pragmatico [2], poteva essere giustificata, finché lettori, simpatizzanti o seguaci, dovevano leggere con difficoltà i suoi articoli o saggi (in Italia chi ne possedeva scritti, manifesti o giornali, era passibile della pena di morte, di qui l’ovvia difficoltà ad approfondirne contenuto e significato). Ma successivamente, con la fondazione del Regno d’Italia (poco, ma pur sempre liberale…), e con la pubblicazione sistematicamente cronologica dei volumi dell’Edizione Daelli, commentati da lui stesso, poi alla sua morte da Aurelio Saffi, l’incomprensione - dovuta ormai solo ad ossessivo pregiudizio, a pappagallesca ripetizione di precedenti valutazioni - non aveva più giustificazione alcuna, era dovuta a pigrizia, ipocrisia, abitudinaria maldicenza. Cominciò un Francesco De Sanctis col suo antistorico ed anacronistico paragone tra Mosè e Giosuè con Mazzini e non si sa chi, tra l’unità italiana e la Terra Promessa (Cavour ? Ma era morto 11 anni prima di Mazzini; Garibaldi ? Ma fu sempre isolato ed emarginato. La classe politica italiana dominante in quel tempo ? Ma vinse con sistemi elettorali classisti e truffaldini, non certo in modo onestamente diretto ed universale. A Roma, nel 1849, e col suffragio universale maschile Mazzini divenne deputato costituente e, poi, capo di Stato, cacciato non dal popolo, ma dalla violenza di Luigi Napoleone, poi imperatore. E successivamente, per ben tre volte il popolo di Messina, ancorché con un sistema elettorale infame, lo votò deputato, sebbene poi, come Cattaneo, avesse rifiutato tale carica) .

La valutazione, non apologetica o denigratoria, ma razionalmente critica, di Mazzini, quale uomo di pensiero e d’azione, costituì, e costituisce tuttora, la cartina di tornasole per determinare il grado di confusione mentale, religiosa, morale e politica, di tanta parte della classe intellettuale italiana e di certo antifascismo liberale e socialista, intellettuale o accademico, il che spiega la vittoria del fascismo, non per sue alte capacità di repressione violenta, ma appunto per la confusione, indecisione e passività di certo antifascismo: e, del resto, è ovvio che, quando si parte da una pura negazione, senza affermazione di princìpi, si finisce nel caos e nell’inerzia. Non cito nomi, sia per carità di patria, sia per evitare inutili polemiche personaliste: vi è chi, malgrado l’esperienza dell’esilio, insistette per l’intera propria esistenza nel qualificare come mistico Mazzini, nel dividerne il pensiero in quinti, come fosse una torta, e dire che quattro erano tutti sansimoniani (si vuol farlo passare per un plagiario), oppure nel rimproverarlo di vedere tutti gli Italiani disponibili all’insurrezione “ad ogni stormir di foglia”, instaurando vuoti paragoni denigratori con Cattaneo, quando questo secondo, pur con stile ben diverso, e qualche divergenza di proposte, ricalcò il contenuto di metodo operativo del Mazzini (fiducia nel popolo italiano nel suo complesso, richiamo ad esso per realizzare un serio Stato, unitario o federale che fosse); un altro, il quale può essere giustificato solo per l’impeto acritico della giovane età, definì “Dei Doveri dell’Uomo” un’opera addirittura immorale, da vietare o da distruggere. Ci fu poi un terzo, gagliardo accademico che implorò ripetutamente Gentile di essere raccomandato per passare dalle modeste Scuole tecniche fino all’Università, tramite i Licei, e una volta ottenuto tale altissimo ruolo, divenne antigentiliano ed antifascista, anche perché non accettato come redattore per l’ Enciclopedia Italiana Treccani: questo signore, non accorgendosi dell’enorme differenza sia nei contenuti, sia nello stesso stile, paragonò Mazzini a S. Paolo (quale ? il fanatico fariseo o il redattore di lettere apocrife, sedicente cittadino romano e autoproclamatosi apostolo di Cristo, senza mai alcuna conferma, se non tardiva, dei credenti ?), a Maometto (il mercante, il predicatore o il guerriero ?), a Lutero (quale? Quello ribelle delle 95 Tesi di Wittenberg o l’incitatore dei principi tedeschi al massacro dei contadini ribelli ?).

Poteva non vincere il fascismo con tali individui e tale loro confusione, visto che - confuso anch’esso nel guazzabuglio di ideologie, che fondeva in sé, e che esplose nel luglio 1943 - aveva però chiara la metodologia del menar le mani ? E gli esempi potrebbero essere aggiunti ancora, pensando ad un patriarca neo-hegeliano che, pur vedendo instaurare la repubblica (a dire il vero, più di nome che di fatto), e vedendo esiliata da se stessa la dinastia prediletta dei Savoia, continuava col suo ritornello antimazziniano di una repubblica nata per caso. Le dinastie, se la Repubblica (quella autentica) non fosse stata l’unico sistema politico adatto agli Italiani (secondo Mazzini, ma anche per Cattaneo), potevano essere sostituite da altre: perché nessuno propose qualche nobile famiglia italiana (non quelle imposte dagli stranieri…) al posto dei deludenti Savoia, o dei vari Borboni, Absburgo-Lorena, Murat o di qualche Bonaparte ? Eppure famiglie patrizie, anche molto antiche (lascio i nomi ai cultori di araldica), in Italia non mancano. Per il fatto che, riguardo alle istituzioni per uno Stato nuovo ed unitario (o anche federale), Mazzini e Cattaneo, sulla scia di Melchiorre Gioia, avevano ragione: l’Italia non aveva, e non ha, vere e fondate tradizioni monarchiche, ma solo repubblicane (purché non ci si prendesse in giro - come, ahinoi !, accaduto - con Stati Pontifici sotto nome di repubblica…), e se il sistema repubblicano fosse stato non strangolato, dai tempi di Roma a quelli dei Comuni, ma rafforzato con opportune riforme idonee a nuove e più complesse esigenze, non saremmo oggi agli ultimi posti d’Europa grazie a tanta verbosa ipocrisia instauratasi dal 1946 ad oggi .

Ma di quali misticismi e profetismi parliamo ? Invito, intanto, i miei scarsi lettori, se esistono, ad osservare un qualunque ritratto di Mazzini, vuoi pittorico, vuoi dagherrotipo, vuoi fotografico: lo avete mai visto in ginocchio, con le mani giunte o con le braccia aperte e le palme in alto, con lo sguardo estatico a ricevere rivelazioni ed illuminazioni dal Settimo Cielo o dall’Empireo ? MAI ! Quando si fa ritrarre, poche volte è di profilo o mezzo profilo, in atteggiamento meditativo; quasi sempre guarda fisso il ritrattista negli occhi e in atteggiamenti mai burbanzosi, ma seri e per nulla mistici. I termini “mistico” e “misticismo” sono di quelli che necessitano di una spiegazione etimologica [3], in quanto ambigui e di significato multiplo, spesso ai limiti del fanatismo e sempre fideisti: tali termini sono in diretto rapporto con “mistero”, ovvero con quella ritualità religiosa che consentirebbe al profeta, o illuminato che sia, di vedere e di parlare con Dio, direttamente, per intuizione immediata o per chissà quale fantasioso processo .

Ora, qual mai mistero è il suo, se costantemente predicò per la chiarezza e agì con chiarezza nei termini politici ed educativi? Disse sempre di “aborrire l’equivoco” ed irrideva, già da giovane carbonaro, ogni rituale simbolico e formalistico, per cui poi, costituendo la Giovine Italia, ridusse le procedure a sola difesa da eventuali infiltrati.

Dov’è dunque il suo misticismo e profetismo ? Quando mai si è visto un qualunque “mistico” saper sfuggire con astuzia rara ai suoi pur espertissimi inseguitori e persecutori, come fece Mazzini che fu arrestato solo da giovanissimo carbonaro per denuncia di infiltrati, e poi, da anziano e malato, probabilmente per sua stessa volontà e, quasi, sfida al governo di mandare ad esecuzione le ancora vigenti condanne a morte ?

 

 

2. Mazzini, uomo di pensiero e d’azione .

 

Uomini ben pratici, ma assai più comprensivi di taluni accademici, quali Metternich, Bismarck e Napoleone III, ne riconobbero la pericolosa abilità di un grande organizzatore rivoluzionario, di livello internazionale (come fu prima un Filippo Buonarroti, e più tardi nessun altro con analoghe capacità). Pure un rivoluzionario russo, come Alexandr Herzen fondatore del gruppo dei narodnikj (nazional-popolari o – se si preferisce – populisti), ne riconobbe le abilità pratiche, anche nel trattare con i colleghi di tutta Europa, e quale organizzatore internazionale insurrezionale. E che ancora ? Pensiamo allo stesso Karl Marx che, considerato il grande teorico della praxis e gran maldicente ipercritico verso tutti i suoi concorrenti, si guardò pur bene dallo scendere in campo apertamente contro di lui, mandando in avanscoperta prima Bakunin e poi Engels, che non uscirono trionfalmente da quel dibattito, che cessò (lo ribadiamo e ripetiamo ai grandi saccenti accademici) non per l’abilità dialettica dei suoi avversari, non per una crisi del suo prestigio sempre intatto fino al 10 marzo 1872 ed oltre, ma semplicemente per la sua morte precoce, dovuta ad un tumore del piloro. Mazzini era certo spiritualista, pluralista e non monista, ma in nessun caso “mistico” (non parlava ai roveti ardenti, e neppure alle icone, non soffriva di estasi contemplative, non vedeva arrivare angeli attorno a lui ad annunciargli miracolose discendenze, né infine i suoi libri gli cadevano dal cielo, con enorme risparmio di tempo nella stesura…, né infine - come i profeti citati - fece mai prediche di morale sessuale e inviti alla castità fino al matrimonio religioso). Pare, dunque, necessario ed inevitabile liberarsi di quelle untuose e dolciastre aggettivazioni, simili a strutto dolcificato, che al suo caso non si addicono affatto: a conforto di questa tesi, aggiungo il parere di George Sorel, ideatore del sindacalismo rivoluzionario, uomo tutt’altro che mistico, il quale, tanto sinteticamente quanto efficacemente, scrisse di Mazzini :

“… non è più possibile dubitare che oggi, senza Mazzini, l’Italia non sarebbe mai diventata una grande potenza, e che egli ha fatto più per l’unità italiana che non Cavour e tutti i politici della sua scuola “ (“Riflessioni sulla violenza”, Cap. IV) [4].

 

 

3. Esame della natura e degli scopi della “preghiera” mazziniana .

 

Ed eccoci allora al nodo della questione: che significato ha quella “preghiera” sotto riportata ? Si tratta dunque di spiegarne razionalmente e storicamente il significato, come potremmo dire con linguaggio kantiano, “alla luce della nuda ragione” [5]. Di Mazzini si conosce un’altra “preghiera”, intitolata “Preghiera di un esule a Dio per i padroni di schiavi”, scritta nel 1848 (dopo quindi la guerra tra USA e Messico per il Texas) [6] e pubblicata nel 1854 [7], che ha un obiettivo analogo, ovvero di natura politica e sociale, “religiosa” in un senso tutto mazziniano, non rivelazionista. Ma per capire lo scopo di tali “preghiere” occorre intanto concentrarsi sulla concezione mazziniana di Dio, troppo spesso definita nebulosa se non contraddittoria, per taluno panteista, per altri deista, per altri ancora ereticamente cristiana. Chi esprime tali nebulosi giudizi, lo fa perché egli stesso ha un concetto di Dio esclusivamente tradizionale o, più spesso, perché indifferente al problema. Diciamo onestamente, in tal caso, che il linguaggio “religioso” o, piuttosto, filosofico-religioso di Mazzini non aiuta, soprattutto negli scritti pubblici, per cui senza il corredo di molte lettere personali e la storia della religione naturale (deismo, soprattutto, ma già da Senofane, da Protagora e Gorgia in avanti), è difficile (e tanto più lo fu, quando i suoi scritti erano ”merce” vietata) capirne il significato preciso.

Intanto: Mazzini, tutt’altro che perso tra nuvole e nebbie come lo vedono i suoi denigratori, si rendeva perfettamente conto che il popolo italiano nella sua grande maggioranza era cattolico e, quasi totalmente, cristiano: pochissimi gli eterodossi, e non sempre aperti ad un confronto critico con i precedenti [8]: in Italia non esistette, se non ridottissima, la critica logico-storica dei Vangeli, come pur esistette in Gran Bretagna, in Francia e, fortissima, in Germania, pur essendo nato il laicismo proprio in Italia durante il Rinascimento (ma la spietata repressione controriformistica lo ridusse quasi al silenzio o alla “codificazione” del pensiero, come Gianbattista Vico allude nello scritto “Dissertazioni”, VII, 74 - 78 [9]) . E’ proprio questa consapevolezza della realtà fideistica di gran parte del popolo italiano (e non dimentichiamo l’altissima percentuale di analfabeti fino all’unità del Regno d’Italia, e ai primi decenni del Novecento…) che gli impedì, a torto o a ragione qui non discuto, di uscire da un linguaggio ricalcato su quello cristiano, anche eretico, convinto che altrimenti non sarebbe stato compreso da operai, piccoli artigiani e commercianti, piccoli proprietari terrieri, per non dire di semplici contadini, quasi sempre analfabeti e succubi di poveri preti di campagna, predicatori da strapazzo, lettori di catechismi autoritari, absburgici, borbonici o sabaudi che fossero. Mazzini non era cristiano, e lo disse apertamente nelle lettere (ma anche agli alti prelati del 1870), neppure eretico, e, come tale, sia Aurelio Saffi, sia la biografa inglese Jessie White Mario lo qualificarono, pur utilizzando esemplarmente i Vangeli, ed un linguaggio “cristiano”, nel tentativo (a mio avviso illusorio) di essere più chiaro ai suoi lettori, trascurando che - viceversa - molti intellettuali o sedicenti tali non ne avrebbero capito niente, trascinando poi tali superficiali valutazioni fino ai nostri giorni .

 

 

4. Sull’ idea mazziniana di Dio .

 

Ad introduzione del concetto mazziniano di Dio, per non usare il generico termine “religione”o quello, di poco più preciso, di “filosofia religiosa”, occorre avvalersi, a mio parere, di due neologismi : la “teoantropologia” [10], che esprime il dialogo del tutto interiore, intuitivo o sintetico, sotto forma di comando assoluto o imperativo categorico tra Dio ed ogni singolo uomo per la realizzazione coerente del Bene, non perché Dio abbia bisogno dell’uomo o di chi altro (angeli, santi, Chiese, gerarchie clericali, prelati, vescovi, cardinali, papi, pontefici massimi, rabbini, ayatollah, muezzin, imam, predicatori, martiri), ma perché ogni essere, anche infimo, sente Dio, ne ha necessità e a Lui tende: è l’uomo che ha bisogno di Dio, e non Dio dell’uomo; e l’“antropo-teologia”, ovvero la conoscenza più o meno approfondita e perfezionata (da singoli o da collettività) che l’uomo, singolo o collettivo, ha di Dio, vuoi per propria intuizione e meditazione, vuoi per predicazione o educazione altrui. Questo progressivo processo di conoscenza non avviene certamente solo nella vita del singolo, ma nell’intera storia umana attraverso un processo di ricerca – affermazione – confutazione, costituito dalle filosofie (sul piano metafisico ovvero ontologico), da religioni consolidate (perlopiù rivelazioniste e gerarchicamente organizzate in Chiese) - eresie - nuove filosofie, il tutto destinato ad incrementare quella progressiva acquisizione della Verità, che è attributo primo di Dio [11], e che deve concretarsi nella realtà umana e nella realtà universale, Verità che coincide con il Bene, con la Giustizia, con la Bellezza .

Ora, qual è, più precisamente di quanto spesso stabilito da studiosi, critici e, peggio, denigratori, il carattere dell’ antropo-teologia mazziniana ? Mazzini ha una formazione religiosa giovanile di stampo giansenista (ciò è noto), ma che supera ben presto: tutti i biografi, oltre che egli stesso all’inizio delle “Note Autobiografiche”, ricordano che a messa nascondeva l’opera del Condorcet “Abbozzo di un quadro storico dei progressi del genere umano” nel libro delle preghiere (e a ciò andrebbe aggiunta la lettura che fece da adolescente dei giornali girondini nascosti nella biblioteca paterna, tra cui la “Cronique du Mois”). Del giansenismo (come in Kant del pietismo, l’analogo protestante tedesco) rimane forte in lui l’etica, per cui si spiegano certe notevoli analogie tra il suo pensiero e quello kantiano-fichtiano, ma non certo l’elemento teologico cattolico che verrà travolto anche da una fase breve di scetticismo materialista nella prima giovinezza, anche questo però superato in una nuova visione antropo-teologica. Per capirla vediamo di individuare il processo di “decostruzione” (copio il termine usato per altri scopi dal Derrida) della Trinità cristiana che avviene anche attraverso una concezione neoplatonica [12]. Questo processo si realizza nel rigetto dell’antropomorfismo (legato all’Antico Testamento) del Dio costruttore, più simile ad un Grande Sovrano dell’Antico Oriente mediterraneo, che non ad un Dio come Principio razionale della Realtà, che va in collera, che gode del profumo di carni arrostite (ma poi, con Isaia, lo nausea) ; sia dell’antropomorfismo del Dio-figlio incarnatosi nell’uomo.

 

 

5. Mazzini e Gioacchino da Fiore .

 

Tende a prediligere piuttosto lo Spirito Santo (la terza delle “Persone”, o meglio Ipostasi secondo la denominazione cristiana orientale, di derivazione appunto neo-platonica [13]). La dottrina di Gioacchino da Fiore delle Tre Età della Storia, tuttavia, sfiorò, ma non analizzò la natura ontologica della “Terza Persona”, affidandosi piuttosto all’Apocalisse di Giovanni sui “nuovi rotoli da aprire” (il che colpì anche Mazzini nella sua critica alla teologia statica della Chiesa cattolica) [14]. L’interesse per le dottrine di Gioacchino da Fiore, già note, è stato ulteriormente confermato dall’accuratissimo studio di Bianca Rosa [15]. Essendo Dio Spirito, la sua unità logica esige che non vi sia altro Dio che il Puro Spirito, privo di ogni attributo antropomorfico (elemento questo che lega fortemente, checché se ne dica, sia il Mosaismo, sia il Cristianesimo, a quelle religioni politeiste che si volevano rifiutare; se poi vi si aggiungono gerarchia ecclesiastica e ritualismo, le affinità divengono ben maggiori).

 

 

6. Dio, il Punto Luminosissimo di Dante .

 

Così il discorso gioachimita finisce per dare a Dante l’occasione di rappresentare Dio come “punto luminosissimo”: lo Spirito è caratterizzato ontologicamente dalla propria a-dimensionalità, difficile per noi - esseri anche corporei, ovvero dimensionali - l’intuirla, se non nella forma geometrica del punto, come elemento base dello spazio infinito e tridimensionale (infinite lunghezza, larghezza, altezza o profondità). Dante così nel XXVIII Canto del Paradiso descrive (o tenta di farlo) Dio: “… un punto vidi che raggiava lume / acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume; / e quale stella par quinci più poca, / parrebbe luna, locata con esso / come stella con stella si collòca / …” nei versi 16 – 21 . E a tutti gli ammiratori, studiosi e critici di Mazzini è ben noto quanto egli, a sua volta, fosse ammiratore, studioso e cultore di tutte le opere di Dante [16], tanto da farsi commentatore ed editore della lezione foscoliana della “Divina Commedia”, nonché saggista sulle “Opere Minori di Dante”: a Mazzini quindi non potè sfuggire il pensiero teologico dantesco, rivedendolo alla luce di tutta la critica filosofico-religiosa successiva. In Dante viene così prefigurato (ignoro se prima di lui qualcuno lo avesse già fatto) il concetto di punto metafisico che, vedi caso, venne poi largamente utilizzato da Leibniz (come monade, ma anche - nel “Nuovo Sistema della Natura” - con l’altra denominazione) e da Gianbattista Vico nell’opera metafisica “Sull’Antichissima Sapienza degli Italici, da dedurre dalla lingua latina” [17]. Il punto, in quanto a-dimensionale, è certo concetto geometrico, ma quando vogliamo tracciarla con matita o penna, noi in realtà tracciamo un piccolo cerchietto scuro, come ben noteremmo con una lente d’ingrandimento. Il punto metafisico, concettualmente, è il medesimo, ma non possiamo disegnarlo, né ingrandirlo, neppure con un microscopio elettronico della massima potenza oggi esistente: può così essere descritto sommariamente e imprecisamente a parole. Dio, in quanto Massimo Punto Metafisico, o Monade Assoluta, è altrettanto indescrivibile figurativamente e solo imprecisamente a parole. Ente Semplicissimo in sé, estremamente complesso per noi nel tentativo di attribuirGli funzioni e qualità: di qui, sia la teologia negativa (quella secondo la quale Dio può essere descritto solo negandogli attributi tipici della materia e della spazialità), sia la teologia dei nomi infiniti ovvero quella che elenca tutta una lunga serie di capacità e funzioni di Bontà, Misericordia, Giustizia, Verità, e via all’infinito. Torniamo al Punto e alla Luce: per fare un’analogia che spero chiarificatrice: come per un fenomeno di rifrazione la luce solare, bianca o quasi, appare multicolore (arcobaleno) attraverso la pioggia, e come - viceversa - il disco multicolore di Newton, ruotando, fa apparire un colore bianco “sporco”, così all’uomo e agli enti in generale, l’unicità-semplicità di Dio appare, per la loro propria materialità, “rifratta” nella molteplicità di attributi .

Da una parte negandone la materialità / corporeità, dall’ altra elencandone le positività e potenzialità del Bene, ecc., l’uomo faticosamente riesce a farsi un’idea progressiva di Dio. Mazzini, senza rifare tutto questo percorso che è anche storico, ma sintetizzandolo, cerca di determinare quanto il Cristianesimo avesse lasciato indeterminato lo Spirito Santo appunto come Terza Persona – Ipostasi della Trinità. Formula in vari scritti la propria idea di Dio, come Spirito Puro, come Ente individuo, non personale, non antropomorfico, che è assoluta Coscienza / Conoscenza di Sé e del mondo su cui opera; che è assoluta Volontà (Legge e Legislatore insieme); che è Azione assoluta sul mondo, che si esercita in una Continuità creativa indefinita, Motore costante del Progresso / Evoluzione del mondo fisico, organico ed umano [18]; Assoluta Perfezione che implica, insieme all’Immutabilità della propria natura, Assoluta Irremovibilità : non possiamo logicamente pensare o immaginare un Dio che si lasci convincere a modificare la propria Irrevocabile Decisione per la richiesta (preghiera) di Tizio, di Caio o di Sempronio, fosse appunto un angelo, un santo, un martire o un qualunque essere. E che succederebbe se, dovendo ascoltare le richieste opposte di due nemici, dovesse decidere quale delle due realizzare ? E’ immaginabile logicamente un Dio che, come un sovrano umano assoluto, ascolti ed esaudisca l’uno o l’altro ? E’ logicamente immaginabile un Dio al servizio di chi lo prega meglio, fosse anche un popolo intero oppure una Chiesa ?

 

 

7. La funzione della preghiera, secondo Mazzini .

 

Ecco dunque il punto nodale della nostra questione: a che cosa serve la preghiera secondo Mazzini ? Si tratta qui ed ora di esporre i passaggi salienti per capire che cosa rappresenti la preghiera, ormai evidentemente priva della funzione sofferente o rituale, che ha nelle religioni rivelate e, soprattutto, in quelle gerarchicamente organizzate in Chiese, ovvero di ottenere in nome dell’Amore divino, della Pietà, della Misericordia, ecc., un cambio nella decisione di Dio verso l’uomo. In Mazzini, la preghiera rappresenta ben altro, ed è per questo che pongo il termine in corsivo e con tanto di virgolette. Nel 1870 agli alti prelati in consesso a Roma, nel Concilio Vaticano, egli espone i punti critici tra il suo pensiero e quello, non solo cattolico, ma anche cristiano, ed ancor più in generale di ogni religione organizzata gerarchicamente e fondata su “verità” pretese assolute e “rivelate da Dio” nei più vari modi. Riguardo alla preghiera, respingendone ogni consuetudinaria e mnemonica ritualità, egli dice: “… La più santa preghiera è l’Azione. In Dio Pensiero e Azione son uno: e voi [uomini in generale] dovete cercare d’imitarlo da lungi …” [19] .

Ovviamente, l’ Azione di cui parla non è il generico “fare tanto per fare”, ma lo sforzarsi costante di realizzare quanto, attraverso la Legge Morale insita nella nostra coscienza, giudichiamo il Bene per tutti, utilizzando i mezzi migliori e proporzionati al problema da risolvere .

A chi gli obietta: e colui che non può agire ? Risponde allora a Harriet King il 31 ottobre 1871 che “anche il desiderio è azione”. Quando un uomo è incarcerato per aver operato o propagandato una certa fede religiosa o politica e sociale, posto in condizioni di assoluta impotenza ad agire, già questo stesso fatto è azione, e l’altro, di desiderare comunque di agire, anche se non lo può, è anch’esso azione [20]. Un piccolo “rimprovero” critico al nostro Mazzini è questo: se anche “il desiderio è azione”, perché non lo sarebbe stata l’esposizione ordinata e logicamente sistematica del suo pensiero in una o due opere, non verbose, ma robuste, e tali da chiarire con precisione il suo pensiero anche ai troppi ciechi, sordi ed indifferenti ? Indubbiamente un simile lavoro fu progettato da lui, ma l’azione continua, e poi il male mortale glielo impedirono. Sarebbe toccato ai suoi seguaci, ma salvo pochissimi, la maggior parte preferì concentrarsi solo sulle questioni politico-sociali pratiche, trascurando gli aspetti teoretici che dovevano costituirne le colonne portanti [21] .

Quali dunque, per Mazzini, il significato e il valore della “preghiera”, posto che Dio è Perfetto ed Irremovibile ? Essa esprima quindi non una richiesta, non la servile implorazione per ottenere qualcosa che faccia comodo, ma solo la speranza, ingenua perlopiù, che la nostra richiesta possa corrispondere ad una già stabilita volontà divina, alla Sua Legge; psicologicamente è un atto di auto-consolazione, di conforto, di speranza. Ecco perché da triumviro, durante l’assedio di Roma del 1849, impedì ai rivoluzionari di usare confessionali e banchi delle chiese per costruire barricate. Tutto ciò aiutava il popolo a tenere alto il morale, una prova in più non del “misticismo” mazziniano, ma del suo realismo [22]. Impedire alle persone, e specie madri e mogli, di pregare o esercitare i sacramenti, avrebbe ridotto le capacità di resistenza morali e psicologiche della popolazione, la cui fede religiosa, volenti o nolenti, era prevalentemente quella tradizionale cattolica. Mazzini era memore anche dell’esperienza rivoluzionaria francese, quando l’intolleranza per il cattolicesimo favorì le rivolte reazionarie (vandeana, soprattutto).

Chiarita, quindi, la funzione psicologica della “preghiera” secondo Mazzini, è ormai opportuno esaminare quanto egli ha scritto nel citato Capo XXI: procederò quindi non ad un commento specifico, ma a note, in modo che chi legge, possa esaminare il testo nel suo complesso, per poi, volendo, riprenderlo soffermandosi sulle note in fondo al presente saggio .

 

 

Testo della “Preghiera” a Dio per l’Italia .

 

XXI .

 

Dio dei popoli oppressi ! Dio dell’anime afflitte ! posa sui poveri sviati figli d’Italia uno sguardo di clemenza e d’amore. Il solco segnato da trecento anni di schiavitù e la lunga idolatra predicazione dei falsi profeti che usurparono in terra il tuo santo nome non si cancella in un giorno; e la loro mente è spesso ingombra d’errore [23]. Ma in fondo del loro core vive, come lampa velata, il culto del tuo Vero, e della Patria alla quale tu li chiamasti: ed hanno molto patito per essa [24] .

Tu, davanti al cui occhio l’Umanità intera appare come un Essere solo, volesti che il sacrificio d’un Giusto lavasse ogni fatalità di colpa e d’errore da tutte l’anime de’ suoi fratelli [25]. Pesa nella tua mano il sacrificio di tutti i Giusti che morirono per richiamarci a vita e accoglilo siccome espiazione dei nostri traviamenti. Scenda sui poveri ingannati figli d’Italia il tuo spirito di verità ! Manda, dove s’accolgono, l’Angiolo dei forti pensieri [26], e fa ch’essi diventino degni dei loro Martiri e non contristino l’anime sante coll’oblìo o colla fiacchezza dell’opere !

Per la parte che adempiemmo de’ tuoi disegni nel passato - per la parola d’Unità che due volte dicemmo alla terra - per l’intelletto della divina Bellezza che i nostri profeti diffusero, ispirati da te, sulle genti - pei Santi che vissero e morirono sul nostro suolo nella tua fede - per la promessa che ci venne da te , quando stendesti più splendido che non altrove su noi l’arco dei cieli e il sorriso infinito della tua Creazione - noi ti preghiamo o Signore: levaci alla terza Vita [27] ! Infondi nelle nostre madri l’adorazione della Patria e l’amore all’anima, non alle sole membra, dei figli ! Spira nei padri i virili concetti e l’ardita virtù che sola può far nostra la nostra terra ! Benedici le spade dei nostri giovani, finch’essi possano scioglierti dalla tua Roma un cantico degno di te, il cantico dell’Italia redenta [28].

E salvaci, oh salvaci dalla morte dell’anima [29] ! Sperdi da noi, checché avvenga nel tempo di prova che ancor ci avanza, l’ateismo della disperazione, il soffio gelato del dubbio. Come il ferro s’affina sotto i colpi che par minaccino di spezzarlo, così s’affinino i nostri cori sotto il martello della sventura [30]. Come il forte licore diffonde il suo profumo all’intorno quand’è infranto il vaso che lo accoglieva, così si diffonda, tra le ferite dell’ingratitudine, da noi sui nostri fratelli l’amore, ch’è il profumo dell’anime .

E quando nel freddo della solitudine, ch’è il peggiore dei mali, saranno presso a spegnersi in noi le sorgenti della tua vita, suscita, o Padre, a ravvivarle il pensiero dei morti che amammo e che ci amano. E scenda a lambirci la fronte riarsa il bacio delle madri e delle sorelle perdute, e c’insegni i segreti dell’immortalità, tanto che vivi e morti siamo tutto uno in te nella fede e nella speranza “ [31] .

 

 

 

CONCLUSIONE

 

Se si osserva il testo della “Preghiera” non solo in sé, ma anche eventualmente in alcune frasi della stessa, ci si accorge senza enormi difficoltà che, più che una preghiera a Dio di tipo religioso e tradizionale, essa risulta un’ulteriore esortazione agli Italiani, e particolarmente ai giovani combattenti, a mantenere fede agli impegni e alla volontà di unificazione dell’intera penisola con le isole circostanti, non con aiuti stranieri, sempre invasivi, ma per azione di popolo, dove possibile elettorale, dove impossibile, con azione insurrezionale. Una sorta di “richiamo a nuora, perché suocera intenda”, ma nel caso specifico meglio dire “richiamo a suocera, perché nuora intenda”, ammesso che la “suocera” (Dio) per età e saggezza sia superiore a “nuora” (popolo italiano). E’ evidente che, in una tale accezione, ogni preteso valore “mistico” cade, per essere invece un discorso politico. Potrebbe qui porsi un’obiezione uguale e contraria a quella del preteso “misticismo mazziniano” ? Mazzini, sostenitore di una religione “instrumentum regni”, di una religione strumentalizzata dalla politica ? Una tale obiezione non parrebbe del tutto irragionevole, il che però rischierebbe di rappresentarlo come un ipocrita, un “machiavellico” verso la religione. Ma, come si è detto e ripetuto, per capire un pensatore come Mazzini, il quale non ha lasciato scritti sistematici, ma solo tracce sistematiche del suo pensiero negli scritti più vari, considerata l’intera sua vita come criterio di attuazione delle sue idee, si deve negare anche l’opposta tesi o perplessità sulla sua religiosità. In effetti, Mazzini è semmai vicino ad una politica “ancilla theologiae”, dove si tratti di cercare, individuare ed attuare la Legge divina nella vita pratica, così collettiva (verso l’umanità, verso le congregazioni continentali di popoli, verso le nazioni, verso le amministrazioni locali, verso le questioni economico-sociali, culturali, giuridiche, ecc.), come nella vita familiare ed individuale. Ma il termine “ancilla”, tipica di certa mentalità medioevale, è pochissimo adatto alla mentalità mazziniana: dunque, concludendo, la politica, nel senso più ampio, dev’essere la corretta attuatrice e cooperatrice di un’ antropo-teologia, come sopra delineata, ovvero di una fede logico-etica umana nella Verità che promana da Dio a ciascun uomo nella propria interiorità, e che però si esterna poi effettivamente nell’azione collettiva vista nel suo integrale percorso storico. Non quindi un rapporto strumentale, ma un rapporto di ragion sufficiente, come causa efficiente e come causa finale, tra il tema religioso e l’attività politica .

 

In sostanza, per Mazzini e in Mazzini, la religiosità, come rapporto diretto e intimo tra Dio e ciascun uomo, come tra Dio e ogni collettività umana, non può, né deve, essere costituita da formalità, ritualità, istituzioni speciali gerarchiche, simbolismo misterico, ecc., ma proprio dalla stessa vita collettiva reale, che si traduce in politica istituzionale e politica economico-sociale, un dovere di partecipazione consapevole di tutti al vivere e all’organizzazione comuni, ovviamente secondo le possibilità concrete (intellettuali, culturali, economiche) di ciascuno. Quanto più e quanto meglio processo di perfezionamento della società umana avanza, tanto più e tanto meglio si realizza nel mondo fisico e morale la Legge Divina, la Volontà di Dio. E’ questo l’unico senso da dare al termine “religione civile” in Mazzini, al di là di ogni incertezza dipendente dallo stile linguistico adottato, più letterario che propriamente filosofico, mai la sostituzione di un rito ad un altro, di una Chiesa all’altra, di un Libro Sacro all’altro .

 

 

 

 

NOTE ALLA PRESENTAZIONE :

 

[1] Ad essere onesti e precisi, come dev’esserlo ogni autentico mazziniano senza pretese e presunzioni di possedere verità assolute ed incontrovertibili, l’unico elemento del pensiero mazziniano che potrebbe tendenzialmente essere avvicinato al misticismo, è la sua concezione della vita dell’anima dopo la morte fisica, e la sua evoluzione, attraverso una serie di reincarnazioni purificatrici dell’anima, anche in mondo extraterrestri. Una concezione che risale a movimenti orfico-pitagorici, orientali ed esoterici, approfonditi dal platonismo e neoplatonismo, negata dal Cristianesimo, come dal Mosaismo e dall’Islamismo, e poi ripresa da correnti romantiche e post-romantiche (ad esempio, dalla teosofia e dall’antroposofia). In Mazzini, tuttavia, presenta alcune incertezze, sia per la diffusione di tale idea, sia per il fatto in sé: non è un caso, ad esempio, criticando il pensiero di Charles Fourier, che presenti obiezioni anche ironiche alle troppe (?) reincarnazioni intra-mondane ed extra-mondane, sostenute dal socialista francese (cfr. “Un’ultima parola sul Fourierismo e sul Comunismo, in risposta ai signori Doherty e Barmby”, del 1847, traduzione dall’inglese, negli“Scritti editi e inediti”, della Tipografia Galeati, Imola, Edizione Nazionale, vol. 36°, 1922, pagg. 84 - 85). Un altro segno della sua incertezza in tale campo è la volontà di non trattarne troppo ampiamente negli scritti pubblici, ma piuttosto lo fa in lettere private (cfr. lettera a Francesco Dall’Ongaro del 27 maggio 1854, vol. 52° , 1929, degli Scritti, Ed. Naz. Galeati, pag. 150 – 151); ma tale atteggiamento viene poi contraddetto dal dibattito con gli alti prelati del Concilio Vaticano del 1870 (cfr. “Dal Concilio a Dio”, cap. IV, stessa ed. vol. 86°, pagg. 262 – 263), dove si proclama credente nella reincarnazione, come evoluzione dell’anima individuale sostituita alle pene eterne o al purgatorio. Di ciò ho trattato con una certa ampiezza nella mia tesi universitaria del 1975 “La Filosofia di Giuseppe Mazzini, nella sua attuazione religiosa, morale, politica e sociale”, riveduta nel 2005, tuttora - ahimé - inedita per il sistematico boicottaggio del regime vigente ad ogni mio lavoro. Non per caso, segnalai che tale concezione, non avendo conseguenze sul suo pensiero prevalente, rappresenta un “ramo morto” nel suo sistema filosofico, più espressione di sentimento che di convinzione logica .

[2] Non manca qui una certa analogia con lo strumentalismo di John Dewey (il pensiero come strumento d’azione, ma Mazzini va oltre, sottolineando che il pensiero precede, accompagna e segue, giudicandola, l’azione compiuta: l’azione non può sussistere da sé, ma è realizzazione coerente del pensiero), sebbene nel Dewey politico non mi pare vi siano mai riferimenti espliciti a Mazzini. Non credo tuttavia improbabili derivazioni dai rapporti che, tramite l’Associazione Repubblicana Universale, vi furono tra politici americani e lo stesso Mazzini .

[3] Vedi il Dizionario Etimologico di Giacomo Devoto – ed. Le Monnier (Firenze, 1968) .

[4] Testo riportato in “Scritti Politici”, ed. UTET (Torino, 2006), a cura di Roberto Vivarelli, pag. 217 .

[5] Il mio intento, fin dalla giovinezza, è quello di studiare il pensiero mazziniano non per il pur bellissimo e vario stile letterario che in lui prevale, rispetto ad un linguaggio tecnicamente filosofico (che egli evitò sia perché non sarebbe stato comprensibile alla gran parte del popolo, allora appena alfabeta se non del tutto analfabeta, sia per le ragioni di buona retorica di rendere attraente ed interessante il proprio discorso, anche a chi non ne avesse pienamente condiviso il contenuto, sia infine perché - di formazione universitaria umanistica e giuridica - prediligeva uno stile letterario rispetto a quello di carattere filosofico, tipico ad esempio dei pensatori germanici e per lui, come per molti Italiani e Francesi, decisamente freddo ed astratto), ma per individuarne lo “scheletro”, ovvero la struttura portante, non morta tuttavia, ma pienamente viva, come un medico o biologo farebbe per il corpo umano con una TAC o con un’ecografia, per coglierne tutte le funzioni, non di puro sostegno ma anche come canale del sistema nervoso e trasmettitore degli ordini cerebrali. Solo attraverso un’analisi dal vivo si può cogliere quanto di notevolmente logico ha il pensiero mazziniano in relazione diretta con l’azione coerente (per quanto possibile) al pensiero stesso. Come ben riconobbe Gianfranco Morra, nei suoi articoli su Mazzini in varie Enciclopedie filosofiche, tra il pensiero e l’azione vi è uno stretto rapporto, in quanto la Verità intuita deve concretarsi (incarnarsi, direbbe Mazzini) in un’opera coerente al Bene intuito: “ciò che è vero e buono nel pensiero, deve esserlo o diventarlo nell’attività concreta”. Di qui, la sollecitazione, in lui fortissima, di dare la precedenza all’azione, piuttosto che all’esposizione libresca del suo pensiero, che pure non mancò, e gli oltre 100 volumi dell’Edizione Nazionale dei suoi scritti ne sono la prova evidente. Il problema, per chi lo studia, è quello di cercare l’ordine sistematico in un’apparente a-sistematicità espositiva .

[6] Non farebbe male ricordare che quella guerra scoppiò, non solo perché il Messico voleva riconquistare quell’importante territorio, già spagnolo, ma anche perché il Messico aveva ormai abrogato la schiavitù, mentre i coloni USA, e gli Stati meridionali che li appoggiavano, erano ancora schiavisti e tali rimasero fino al 1865, con la conclusione della Guerra di Secessione .

[7] Edizione Nazionale degli Scritti, cit., vol. 29°, pagg. 283 e sgg.

[8] Pensiamo allo stesso Vincenzo Gioberti il quale, incontrandosi nel 1848 con Mazzini, gli disse che la sua concezione religiosa era talmente larga da poter comprendere tutte le fedi, eppure la sua “larghezza di idee” fino al fallimento del 1849 non seppe superare il dogma del papa-re a capo della Confederazione a cui ingenuamente aspirava.

[9] Riportate in “Opere Giuridiche”, ed. Sansoni (Firenze, 1974), a cura di Nicola Badaloni e Paolo Cristofolini, con testo latino a fronte, pagg. 864 – 867. Vico qui attribuisce la necessità di un simbolismo codificatore agli antichi, ma appare evidente che questo metodo di esposizione era tipico anche nei tempi delle persecuzioni filosofiche e politiche dal XVI al XVIII secolo (prima metà): si pensi anche al notevole uso dell’anonimato o al lasciare solo il manoscritto, pubblicato poi dagli eredi, dopo la morte dell’autore.

[10] Termine che ricalco su quello di “teofilantropia” (amore tra Dio e l’umanità), formulato dal membro del Direttorio francese, e già deputato girondino alla Convenzione, Louis-Marie La Revellière – Lepeaux (1753 – 1824), come rapporto tra Dio e l’uomo, singolo o collettivo, che si manifesta nella (kantiana) ragion pura (logica, princìpi logici) e nella ragion pratica (etica, morale, deontologia, ecc., nei suoi princìpi o formule dell’imperativo categorico, espresse da Kant, o da Fichte o dallo stesso Mazzini, col primato della ragion pratica, di lontana derivazione stoica, che potremmo pure qualificare come pragmatismo etico) .

[11] Cfr. Hegel nell’Introduzione - § 1 - alla celebre “Enciclopedia delle Scienze Filosofiche” . Cfr. pure Gotthold Ephraim Lessing in “Eine Duplik”, “Una Controreplica” in difesa di Reimarus contro Johann Heinrich Ress (1778). La celebre frase, ricordata in forma sintetica dallo stesso Mazzini all’inizio di “Associazione degli Intelletti” (1836), Capo I: scritto inserito nel volume 7° dell’Edizione Naz. (1910), pag. 282; e citata da Thomas Mann, da Ladislao Mittner e, più recentemente, da Gherardo Ghia in “Religione e Libertà”, Brescia, 2000, pag. 33. Lessing osserva che l’uomo è degno solo, individualmente e collegialmente, della ricerca della Verità, mentre la Verità nella sua assolutezza appartiene a Dio .

[12] Qui è interessante ricordare che Cleto Carbonara vide in Mazzini sia un elemento “platonico” (meglio: neoplatonico, in quanto sintesi logica plotiniana tra Idealità pluralistica platonica e unicità dell’Assoluto aristotelico), sia un elemento cristiano, ma tale elemento vale soprattutto come oggetto di analisi e di confutazione, non di accettazione (qualcosa di molto vicino alla metodologia popperiana) . Dal suo lato, Bruno Nardi, affrontando il pensiero filosofico di Dante Alighieri (che Mazzini studiò a fondo e ammirò sempre), lo qualifica come neo-platonico, e non come aristotelico-tomistico. Non so se i due studiosi si confrontarono mai su questo tema.

[13] Per la Trinità cristiana (cattolica, ortodossa o protestante che sia), l’uso del termine “Persone”, o nella posizione filosofica del termine personalismo, è assolutamente improprio, adottando – come sopra indicato - un metodo etimologico di definizione di un termine correlativo ad un concetto: persona, termine latino ereditato da noi, deriva da quello etrusco di “phersu”, ovvero il personaggio non simbolico del condannato ad uno speciale supplizio: coperto da un sacco, ma armato di bastone, doveva difendersi, se ci riusciva, dai morsi di un cane feroce, gioco atroce che prelude ai ludi circenses romani, un sacrificio (vedi, nelle XII Tavole, la formula sacer esto: sia sacrificato, che implica una condanna a riscatto di un delitto). Questo rito, misterioso come il grande popolo alla radice della civiltà romana, forse allude al destino inesorabile d’ogni uomo, la lotta per la vita, fino ad una morte certa, ma non sul quando e spesso sul come. Ora, in latino persona corrisponde a quello che, nelle recite o nei romanzi, costituisce la maschera o il personaggio, rappresentato da un attore: qualcosa di enormemente diverso dal senso che noi diamo al termine persona, ovvero unità psicofisica dell’essere umano, ciò che Aristotele chiamava sinolo, unione tra anima razionale e corpo. Dio non può essere “Persona”, ma semmai Individuo (l’Indiviso e Indivisibile), come Ente Supremo, Onnisciente, Volente ed Onnipotente, o Agente, una Mente assolutamente pura da ogni materialità, per cui è Trascendente rispetto al Mondo Fisico sul piano ontologico, ma Immanente in quanto Volontà operativa e in quanto Azione su questo stesso mondo fisico. A margine, osservo che dire “persona umana”, come si fa oggi troppo spesso, è un truismo, un pleonasmo, una sovrabbondanza linguistica, in quanto non esiste alcuna persona “bestiale, animale o vegetale”.

[14] “Apocalisse di Giovanni” Capitoli 5 – 8. Giovanni è tradizionalmente identificato con l’autore del IV Vangelo. Molto sarebbe da dire su questi personaggi apostolici, perlopiù mitici e non storici, in quanto per nulla citati da altre fonti, che non siano quelle cristiane, a loro volta rielaborate più volte tra il I e il V secolo d. C., onde consolidare le dottrine trinitarie di Nicea .

[15] Bianca Rosa, di Torino, scrittrice e pensatrice di raro valore, deceduta negli anni Novanta, da noi mazziniani rimpianta e compianta, con cui ebbi uno scambio epistolare su temi filosofici ed attuali di durata almeno ventennale, pubblicò nel 1977 un importante lavoro sulla lettura che Mazzini fece di Gioacchino da Fiore “Gli Appunti Manoscritti di Giuseppe Mazzini su GIOACCHINO DA FIORE”, manoscritti che risalgono agli anni sessanta del XIX secolo (Torino, Tipografia Impronta), pagg. complessive 32 e con due fotografie dell’autografo mazziniano . Rosa si augurò allora che il suo lavoro potesse essere ulteriormente approfondito. Non mi pare tuttavia che lo studio sullo “Spirito Santo” abbia colto mai la natura ontologica di questa “Persona-Ipostasi” divina. Perfino il testo completo del “Credo di Nicea” si limita ad un semplice cenno: “Credo nello Spirito Santo”… Sì, bene, ma “Chi è ?”. Lasciando stare le fecondazioni miracolose, le discese in forma di colomba o di fiammelle, tutte questioni mitologiche e misteriosofiche, che cosa fa ? Ora, Mazzini sembra che tenti di rappresentare questa terza“Persona – Ipostasi” come l’Unico, Assoluto, Dio, ma tutt’altro che esplicitamente: si tratta, studiandolo, di accostare molti tasselli del mosaico del suo pensiero antropo-teologico o, meno tecnicamente, filosofico-religioso. Probabilmente, per realizzare teoreticamente un tale obiettivo e descriverlo, gli mancò assolutamente il tempo .

[16] Traggo il testo dal terzo volume dell’edizione economica Garzanti (Milano, 1986), a cura di Emilio Pasquini e Antonio Quaglio, pagg. 480 – 481. Seguono a quei versi la spiegazione teologica di Beatrice (vv. 40 – 45, pagg. 482 – 483). Tale descrizione andrebbe corredata dai vari punti del “Convivio” dove si parla di Dio. Fondamentale la questione Luce , che vale tanto per la Verità, quanto per Dio di cui la Verità è attributo fondamentale (unico se comprensivo di Eternità, Giustizia e Bellezza). Il che è confermato dall’etimologia, per cui Dio (Theos, Deus, Divus, ecc.) deriverebbe dall’antica radice Deiwo- appunto Luce (cfr. Giacomo Devoto, “Dizionario Etimologico”). Luce si collega al Sole, che era già tra gli Egizi un Dio o Dio stesso (monoteismo solare del faraone Akhenaton), al Sol Invictus di molte religioni orientali (es. mithraismo)

[17] E troppi, tra gli studiosi del Vico, che fu una delle fonti principali, non solo del pensiero mazziniano, ma anche di larga parte del pensiero illuminista italiano e risorgimentale, dimenticano o trascurano, nell’ansia di descriverne lo storicismo, com’egli introducesse in tutte le sue opere l’esistenza di Dio come principio logico della storia, da cui trasse l’idea di una storia ideale eterna retta dalla divina provvidenza (e volontà) .

[18] Il nome di Dio, che meglio rappresenterebbe la concezione mazziniana, è quello riportato nell’ “Avesta” libro sacro degli zoroastriani o mazdei (nulla a che vedere con lo Zarathustra nietzscheano), di Ahura Mazda, Colui che agisce col solo pensiero, ovvero non un Creatore dal nulla (il Nulla non può essere “contenitore” del Tutto, da cui trarre le cose), ma Colui che non ha bisogno né di strumenti, né di intermediari per operare sul mondo .

[19] Cfr. “Dal Concilio a Dio - Ai membri del Concilio residente in Roma” (1870), Parte VI, Ed. Nazionale degli Scritti, Tip. Galeati (Imola), vol. 86°, pag. 273. Di questo periodo, andrebbero anche esaminate la lettera a Elia Benamozegh del 20 gennaio 1870, che mirava a interessarlo al mosaismo (nel Vol. 89°, 1940, Ed. Naz. Cit., pagg. 347 – 349); quella a David Levi del 7 dicembre 1870 (nel Vol. 90°, Ed. Naz. Cit., pagg. 163 – 164); e l’articolo “Moto antipapale germanico” del 1871, di critica ai “vecchi cattolici” tedeschi e pure ai protestanti, il che comprova come Mazzini non possa essere inserito in nessuna forma di cristianesimo, nemmeno tra i cosiddetti unitariani, ovvero quel gruppo neo-ariano o neo-fotiniano che nega la divinità di Cristo e ne afferma la piena umanità (nel Vol. 93°, 1941 della citata Ed. Naz., pagg. 99 – 106), per il semplicissimo motivo che non dà valore di rivelazione divina, ma solo di sviluppo storico-religioso, ai due Testamenti, similmente ad ogni altro Libro, definito “sacro”.

[20] Cfr. Ed. Naz. Cit., vol. 91° (1941), pagg. 239 - 249. La frase essenziale di questa lunga lettera è la seguente : “Temo, cara amica, che voi siate troppo disposta ad analizzarvi; a pensare troppo alla vostra salvezza. Lasciate che ci pensi Dio: il vostro còmpito [che è quello di ciascun essere umano] è quello di agire per l’adempimento della Sua Legge, quando e quanto lo potete…” (pag. 244) .

[21] Nel 1835, Mazzini, osservando l’involuzione reazionaria che la monarchia orleanista stava acquisendo, sollecitava i repubblicani europei (e particolarmente francesi ed italiani) nell’importante scritto “Fede e Avvenire” (e qui i soliti griderebbero al “misticismo”), al Capitolo IX, asserisce : “… Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso…” (e qui altre grida sul “misticismo” di Mazzini). In realtà, egli vuol significare non la costituzione di una setta religiosa o para-religiosa (come finì per essere il sansimonismo nel noto “padre Enfantin”), ma trarre dalla fede religiosa il modello per una fede logico-etica che sia di vigoroso stimolo all’attività politica e sociale, l’acquisizione di una forte convinzione, motore di azione coerente al Bene e alla Giustizia (cfr. saggio cit., Ed. Naz., vol. 6°, 1949, pagg. 299 – 348). Che la fede mazziniana non vada intesa come il fideismo, stralunato, mistico o magico, ma come razionalità piena fondata sulla grande tradizione filosofica del primato etico, che va dagli Stoici a Fichte, è largamente provato dalla conclusione: egli non si richiama né a S. Paolo, né a Maometto, né a Lutero, bensì a Galileo Galilei, modello di ricercatore scientifico, concludendo con lui : “Fede e Azione. Il futuro è nostro”. In Italia il partito che si ispirò a lui dimenticando tutto ciò, implorando uno “straccio di repubblica”, di elezione in elezione, di rinuncia in rinuncia, di compromesso in compromesso, di poltrona in poltrona, alleandosi quasi sempre con clericali e socialisti, finì poi per farsi coinvolgere in Tangentopoli, con le ben note conseguenze: un grande patrimonio ideale e un grande progetto ridotti a brani, per non saper o voler puntare su un alto obiettivo anche se a lunghissimo termine, solo per il gusto di sentirsi all’altezza del tempo e partecipare all’azione governativa !

[22] Mazzini era tuttavia anche memore del pensiero di Seneca, che con Cicerone è una delle fonti più antiche del suo pensiero, dai quali trae anche il suo eclettismo metodologico (altro che i quattro quinti sansimoniani !), in merito alla preghiera come rito consuetudinario. Scrive infatti Seneca al suo allievo ed amico Lucilio (Lettera 95a in “Lettere a Lucilio”, ed. BUR, Milano 1987, a cura di Luca Canali e Giuseppe Monti; testo latino a fronte, vol. II, pag. 779) :

“… Un tema normale dei precetti riguarda il modo in cui bisogna adorare gli dèi. Proibiamo, invece, ai devoti di accendere lumi al sabato [riferimento ai riti ebraici ?], poiché gli dèi non hanno bisogno d’illuminazione e per gli uomini il fumo non è cosa piacevole. Proibiamo la consuetudine del saluto mattutino e quella di starsene seduti alle porte dei templi; solo l’ambizione degli uomini può essere sensibile a questa forma di ossequio. Onorare dio significa conoscerlo… la divinità non cerca servitori…” [il neretto è mio]. Si confronti anche la precedente lettera 41a (Vol. I, pag. 263) .

 

 

NOTE ALLA “Preghiera” a Dio per l’Italia :

 

[23] Malgrado il tono apparentemente “predicatorio”, con la sua frequente e grande capacità di sintesi storica, Mazzini dimostra di non essere quel povero “matto” che vedeva gli Italiani tutti pronti a scattare contro gli Austriaci o gli stranieri in genere, ad un suo solo proclama, scritto “ad ogni stormir di foglia”. Egli ha ben maggiore senso della realtà dei suoi miseri denigratori, e si rende ben conto delle cause pluricentenarie della debolezza del popolo italiano, dovuta alla corruzione che dominatori stranieri, servi degli stessi, e “falsi profeti” (non solo alti prelati, ma pure governanti) hanno impresso nell’animo degli Italiani nella loro grande maggioranza. E nondimeno questo popolo malconcio ha pur sempre una vitalità e una moralità, superiori a quelle di tutti i suoi signori e di tutti i suoi critici. Se osserviamo il precedente Capo IX, al quarto capoverso rivolto ai mezzi intelletti (dottrinari, moderati e opportunisti), la bellissima perorazione del Capo XXII, ultimo capoverso “Tu sorgerai, o mia Patria !...”, o ci richiamiamo all’altro scritto dedicato ai giovani nel 1848 dove si afferma e si ripete che “Le Nazioni non si rigenerano con la menzogna”, se ancora risaliamo al giovanile (aveva solo 27 anni !), ma profondo scritto, “D’alcune cause che impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia” (del 1832, Ed. Naz. cit., vol. 2°, 1907, pagg. 148 – 179) : incidentalmente ricordo la frase “… Oggi, i popoli hanno sete di logica…” (pag. 150), ecc. ecc. (potremmo scrivere un volume intero di riferimenti), Mazzini aveva ben chiare le difficoltà concrete e di psicologia collettiva che limitavano l’azione rivoluzionaria, unitaria e repubblicana, e nondimeno riteneva necessario sollecitare il popolo all’azione, riuscendovi non interamente, ma chiunque, italiano o europeo, era costretto ad ammettere che vi riuscì, per quanto ogni azione umana possa riuscire con una simile problematica.

Riguardo alla classe politica che si tramanda da oltre 2000 anni una mentalità compromissoria e truffaldina, che promette per non mantenere, egli esorta il popolo italiano a liberasene, non alla maniera (controproducente) di un Robespierre, ghigliottinando tutti, non alla maniera dei dittatori del XX secolo con campi di concentramento; ma da un lato con l’elevazione morale e culturale di tutto il popolo reso capace di scegliere e controllare i propri rappresentanti ed esecutori; dall’altro con la conseguente eliminazione di una mentalità ributtante, di cui (e torniamo ancora all’antica sorgente stoica romana) Seneca scrive a Lucilio nella Lettera 118a, con un’attualità impressionante che merita di essere sottolineata :

“… Nel periodo elettorale [ed è il periodo imperiale, quando le cariche effettive erano quelle della corte, e non quelle elettorali con valore puramente amministrativo, e nondimeno ben remunerato] , mentre i candidati si affannano nei loro templi e uno promette denaro, un altro sguinzaglia i suoi galoppini, un altro ancora consuma di baci le mani di coloro da cui una volta eletto, non si lascerà neppure toccare, mentre tutti sono in ansiosa attesa della voce del banditore…”. (ed. cit., Vol. II, pag. 1003) . Ebbene, tali erano allora, aggravati poi dai domini barbarici e stranieri, e forse ben peggiori sono oggi. Mazzini viveva in un’epoca che, sotto quel punto di vista, oggi consideriamo d’oro, e nondimeno egli era conscio del potere corruttore strisciante, di chi aveva le leve del potere effettivo e che avrebbe tramandato a noi, per mezzo della cooptazione, tale mentalità e tale costume, di cui occorre liberarsi, non con la violenza, ma con l’educazione generale di tutto il popolo, obiettivo difficile, ma non impossibile, proprio per l’antichità del male .

Ma vediamo infine, come nell’aggiunta conclusiva dello scritto in questione, quando verso la fine del 1859 si viene a sapere che l’Esercito dell’Italia centrale veniva sciolto (per paura della reazione di Napoleone III) , costringendo così Garibaldi a dimettersi dal comando, ecco la conclusione mazziniana (del 20 novembre) su un’eventuale rinuncia dei giovani a prepararsi alle successive imprese (e non dimentichiamo che, dopo 6 mesi, il 5 maggio 1860 Garibaldi partiva per la Sicilia, malgrado gli intrallazzi di Cavour, in accordo con Napoleone III ! ), conclusione che scopre tutto il realismo di quell’uomo, ben lungi dal fare il mistico, l’esorcista o il mago indovino, come vorrebbe una certa vulgata ispirata a Francesco De Sanctis, di cui sopra :

“ E se la gioventù d’Italia si rassegna a un programma siffatto, innalzi un monumento, non ai caduti in battaglia, non al re liberatore o al generoso alleato [Napoleone III], ma a Lamartine. Egli solo ha inteso l’Italia. La nostra è Terra di morte“ (tutti i riferimenti al Discorso “Ai Giovani d’Italia” del 1859 e “Ai Giovani” del 1848 sono tratti dalle “Opere Scelte” dell’edizione Cremonese, Roma, 1957, a cura di Costanza Pasquali, rispettivamente alle pagine 427 – 473; e alle pagg. 339 – 369). Una sferzata durissima agli Italiani, che pure non la meritarono, come si dimostrò pochi mesi dopo, ma certo valida (eccome !!) per la classe politico–dirigente che tuttora persiste nel farci “Terra di morti”. Eccolo dunque il preteso “mistico”…

[24] Come si è detto, per quanti rimproveri si possano fare agli Italiani, come popolo, e così ad altri popoli del pianeta, essi restano sempre ben migliori dei loro pessimi governanti. Lo disse e lo ripetè da giovane, lo ribadì ormai anziano e malato. Nello scritto dedicato “Ai Giovani” del 1848, a mo’ di esempio, sottolineava nelle prime righe del Capo V : “ E il popolo Italiano, più grande e più logico dei suoi dottori, ha sempre, lode a Dio, seguito la religione della Patria e de’ principii, non l’idolatria dell’opportunità o delle finzioni legali…” (ed. Cremonese, cit., pag. 344, e cita poi tutta una serie di episodi storici. Cfr. anche il Capo XVIII del successivo “Ai Giovani d’Italia”, qui in esame, ed. Cremonese, cit., pagg. 459 – 460) .

[25] Richiamo evidente alla crocifissione di Gesù Cristo, che egli intendeva come semplice uomo, in parallelo con la “crocifissione” di uno o vari popoli sotto l’oppressione straniera e domestica (cfr. “Giuramento della Giovine Italia”, in “Scritti Politici”, ed. UTET, Torino, 2011, a cura di Terenzio Grandi e Augusto Comba, con prefazione di Maurizio Viroli, pagg. 185 – 186) . Questo richiamo indica il suo metodo di associare formule cristiane a contenuti in gran parte nuovi e divergenti .

[26] Chi è l’ “Angiolo dei forti pensieri” ? Mazzini usa con una certa frequenza il termine “Angelo”, spesso prescindendo dall’elemento religioso, come in “Dei Doveri dell’Uomo”, Capitolo VI “Doveri verso la Famiglia”, qualificò la donna “angelo della famiglia”, non solo come moglie e madre, ma anche come sorella. Il femminismo del XX secolo deprecò questo termine, ma che cosa ha offerto in cambio ? Per “angelo” Mazzini intese anche le anime di coloro che, vivendo, hanno saputo compiere la propria missione di uomini liberi ed intelligenti, e non semplicemente di enti biologici. Per “Angelo dei forti pensieri” è corretto intendere l’ispirazione divina, ai giovani ed ai cittadini, di sapersi appunto comportare da uomini liberi ed intelligenti, capaci di affrontare i problemi della loro Patria .

[27] La terza “vita” o terza missione dell’Italia è quella tante volte da lui auspicata, di dare all’Europa e al mondo, un compito ben maggiore di quelli precedenti, quello della virtù dell’esempio (dopo la virtù delle armi di Roma, dopo la virtù della parola della Chiesa cattolica e cristiana: cfr. soprattutto il suo primo discorso all’Assemblea Costituente Romana, il 6 marzo 1849). Povero Mazzini, se avesse visto quante atroci delusioni il popolo italiano ha dovuto subire dalle sue classi dirigenti dopo la sua morte e fino ad oggi ! E questo fu dovuto per il mantenere la mentalità corrotta e corruttrice, debole coi forti, prepotente con i deboli, sempre vile comunque, con lontane bimillenarie radici, come si è detto .

[28] Qui il discorso si fa nettamente politico, senza la veste religiosa .

[29] Che cos’è la “morte dell’anima” ? Per il Cristianesimo è l’effetto di un vita peccatrice, senza pentimento o redenzione. Per Mazzini, è il freddo scetticismo negatore, sofistico, pusillanime che subisce la realtà, senza far nulla per modificarla o migliorarla, una sorta di fatalismo pragmatico che impedisce ogni desiderio di perfezionamento individuale e collettivo, ogni forma di coraggio, più che fisico, morale. Anche qui si nota una terminologia cristiana, utilizzata con significato molto diverso .

[30] Mi pare che sia venuto, almeno per un periodo, di moda, grazie al presidente francese Macron, il termine “resilienza”, che è termine tecnico siderurgico per indicare la resistenza dei metalli ai colpi. Questo termine bene rappresenta ciò che Mazzini desidera dagli Italiani .

[31] Come suggerisce o esorta nei “Doveri dell’Uomo” ed anche in molte lettere personali, Mazzini non ama le donne svenevoli e tremebonde, bensì le vede come ferme compagne ed amiche, stimolatrici d’azione, e, quando occorre, di lotta. Oggi tutto ciò può sembrare retorico e superato, ma l’eguaglianza dei sessi (che oggi, per ricalco dall’inglese, si preferisce chiamare “generi”, concetto grammaticale e non psico-biologico, per una stolida forma di pudore puritano: politically correct, come si dice…) non può coincidere con l’annullamento delle differenze o con l’ignoranza delle stesse, ma nell’accettazione reciprocamente rispettosa che, però, punta sulla comune appartenenza ad un unico essere umano, caratterizzato dall’elemento spirituale e razionale, sempre logico ed etico, uguaglianza ontologica di anime, non di organismi e sistemi neuro-psichici, necessariamente diversi per la loro diversa funzione biologica .

 

 

Per i riferimenti bibliografici, si prega di leggere le Note soprastanti .

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