top of page

Manlio Tummolo

"Raffigurazioni letterarie a proposito di etica sociale e diritto"
Alcune figure di giuristi, comiche e tragiche, nella letteratura europea
- parte seconda -
Leone Tolstoj "Resurrezione"
Franz Kafka "Il Processo"
Arthur Koestler "Buio a mezzogiorno"


 

Se il signor di Villefort è un personaggio centrale in questo romanzo e nello stesso argomento che sto affrontando, non certo molto diversi appaiono altri magistrati di altri romanzi ed altri autori. Passo così ora a "Resurrezione" di Leone Tolstoj . La storia qui è molto diversa, perché si tratta della vita di una povera ragazza, domestica in casa di ricchi proprietari terrieri, che viene sedotta prima, e poi spinta, come un tempo era facile avvenisse, alla prostituzione. La morte di un suo cliente la porta al processo, alla condanna e, poi, al riscatto morale. Come si vede, una visuale assolutamente diversa da quella di Dumas, che potrebbe sembrare addirittura disumana, se in realtà non fosse anche troppo e troppo spesso umana Eppure, il modo di descrivere un giudice, da parte di un autore profondamente cristiano e sostenitore di un'ideologia non laica, non è affatto dissimile da quello in cui sono descritti gli altri: queste analogie comprovano come il rapporto tra letterati e giuristi non sia mai molto positivo

"Il presidente era giunto in tribunale di buon'ora. Era un uomo alto, pienotto, con grandi fedine brizzolate. Era sposato, ma conduceva una vita molto dissoluta, al pari di sua moglie. Essi non si davano inciampo a vicenda... voleva cominciare e finire in anticipo l'udienza di quel giorno per arrivare in tempo prima delle sei a far visita a quella rossiccia Klara Vassilievna, con la quale la scorsa estate, in villeggiatura, aveva intrecciato un romanzetto.

Entrato nel suo ufficio...prese dal piano inferiore di un armadio...due manubri e fece venti movimenti in alto, in avanti, di fianco e in basso, poi si accoccolò leggermente tre volte, tenendo i manubri sopra il capo. 'Nulla fortifica tanto come la doccia e la ginnastica', pensò palpando con la mano sinistra il bicipite gonfio del braccio destro".

 

Il presidente, tanto vanesio, quanto igienista, viene interrotto da un collega, e si mettono a discutere sul terzo giudice ancora in ritardo :

"Fa meraviglia che non si vergogni - disse il giudice e sedette irritato tirando fuori le sigarette"

Questo giudice, uomo molto preciso, aveva avuto quella mattina uno spiacevole alterco con la moglie, perché ella aveva speso prima del tempo il denaro datole per il mese. Lei lo aveva pregato di anticipargliene ma lui aveva risposto che non avrebbe ceduto. N'era nata una scena. La moglie aveva detto che, se era così, anche il pranzo non ci sarebbe stato: che non si aspettasse di mangiare in casa. Dopo di che egli se n 'era andato col timore che ella mantenesse la sua minaccia, poiché da lei ci si poteva attendere tutto. 'Vivi dunque una vita buona, morale! - pensava guardando il presidente raggiante, sano, allegro e bonario.. 'lui è sempre allegro e soddisfatto, e io mi cruccio."

Nel frattempo il terzo giudice non è ancora arrivato, ma quando arriva un cancelliere con un fascicolo, il presidente gli chiede quale sia il procedimento con cui cominciare. Si tratta proprio del processo per l'avvelenamento, di cui Katiuscia Màslova, la giovane sedotta e poi prostituitasi, è imputata. Per non far torto ai magistrati giudicanti, non meno negativa è la descrizione del sostituto procuratore Breve, altro splendido esempio di ipocrita :

"... Uscito nel corridoi, il cancelliere incontrò Breve. Levando in alto le spalle, con la toga sbottonata e una borsa sotto il braccio, quasi di corsa, battendo i tacchi e agitando il braccio libero in modo che la superficie della mano era perpendicolare alla direzione del suo passo, egli camminava rapidamente per il corridoio .

Michail Petrovic mi ha pregato di chiedervi se siete pronto - gli domandò il cancelliere .

S'intende, io son sempre pronto - disse il sostituta procuratore - Qual è la prima causa ?

L'avvelenamento .

Va benissimo - disse il sostituto procuratore; ma non pensava affatto che andasse benissimo: non aveva dormito tutta la notte. Aveva salutato un collega che partiva, bevendo e giocando fino alle due, e poi erano andati dalle donne in quella stessa casa dove sei mesi addietro si trovava ancora la Màslova, sicché proprio la causa di avvelenamento non aveva fatto in tempo a leggerla, e ora voleva darle una scorsa. Ma il cancelliere a bella posta aveva suggerito al presidente di farla passare per prima...".

Tra cancelliere e procuratore c'è una certa ruggine per differenza di idee politiche: il primo è un liberale, il secondo un conservatore. Il cancelliere chiede al magistrato che cosa volesse fare in merito ad una setta religiosa (tipica del mondo russo), ma i1 magistrato, col pretesto dell'assenza di un testimone poco rilevante, vuol rimandare il processo in altra sede, perché i giurati, di tendenza liberale, avrebbero potuto assolvere gli imputati. Il quadro che Tolstoj fa del pubblico e di una scenetta, stavolta riguardante un avvocato che fa togliere il patrimonio ad una vecchietta per farlo ottenere ad un uomo d'affari che non ne aveva alcun diritto, è breve, ma significativa per completare l'immagine negativa su tutti i giuristi...A questo non manca che una pennellata sugli ufficiali giudiziari:

"Finalmente arrivò anche Marvel Nikitic, e 1'ufficiale giudiziario, un uomo magro dal collo lungo, con l'andatura pendente da un lato e il labbro inferiore sporgente pure da un lato, entrò nella camera dei giurati. Quest' ufficiale giudiziario era un uomo onesto, che aveva fatto studi universitari, ma in nessun luogo aveva potuto conservare il suo posto, perché soggetto ad accessi di ubriachezza. Tre mesi prima una contessa, protettrice di sua moglie, gli aveva procurato quel posto, ed egli fin allora ci si era mantenuto e di ciò era contento...".

Questo insomma è il bell'ambientino dove la povera  Màslova sarebbe stata giudicata... Dopo l'identificazione dei giurati, comincia il processo, con l'ingresso della Corte e del sostituto procuratore. La descrizione rimane sarcastica: sempre vanesio il presidente, ancora più tetro il secondo giudice, perché il cognato gli ha confermato che la moglie non avrebbe preparato il pranzo; il terzo giudice, ritardatario, soffriva di catarro gastrico ed avendo intrapresa una nuova cura, ciò lo aveva costretto al ritardo. Si mette in testa di provare a contare se i passi necessari ad arrivare alla poltrona fossero divisibili per tre: in tal caso poteva guarire dal catarro, altrimenti ciò non sarebbe avvenuto. I passi in effetti sono 26, ma con un altro passettino giunse allo sperato numero di 27. Entra con loro anche il sostituto procuratore :

"... era appena la quarta volta che sosteneva l'accusa. Era ambiziosissimo e aveva fermamente risoluto di far carriera, e perciò stimava indispensabile ottenere la condanna in tutti i processi in cui avesse sostenuto l'accusa..." .

Notiamo che le procedure, nella tradizione russa, non erano nell'Ottocento granché diverse dalle nostre. Non c'è da meravigliarsi se a Mosca, come a Parigi, iprocessi cominciano con l'interrogatorio di imputati e testimoni o che vi fosse presente la giuria, di cui, nel nost"o caso, fa parte il principe Nechliudov, l'antico seduttore di Katiuscia Màslova. Un'altra cosa simile alle nostre attuali consuetudini processuali è la pessima capacità di dizione nei Tribunali :

"... poi si alzò il cancelliere e si mise a leggere l'atto di accusa. Leggeva in modo distinto e forte, ma così in fretta che la sua voce, che pronunciava irregolarmente le elle e le erre, si fondeva in un solo incessante, soporifero ronzio. I giudici si appoggiavano col gomito ora sull'uno, ora sull'altro bracciuolo della poltrona, ora sul banco, ora sulla spalliera, e ora chiudevano gli occhi, ora li aprivano e bisbigliavano tra loro. Un gendarme più volte trattenne un incipiente sbadiglio..." .

Ad onor del vero, tuttavia, nel Tribunale descritto da Tolstoj, l'accusa è formulata con precisione e gli interrogatori sono molto precisi; non lo stesso avviene nei nostri attuali Tribunali, dove, mentre gli unici effettivamente presenti ai fatti hanno il diritto di tacere, si procede con testimonianze vaghe, contraddittorie o troppo di parte, e la verità rimane un irraggiungibile orizzonte . L'Autore lancia un'altra frecciata al pubblico ministero :

"L' accusata nega dunque di aver avuto qualsiasi rapporto con Kartinkin ?

Benissimo. lo non ho altro da domandare.

E il sostituto procuratore levò subito il gomito dal suo alto tavolino e si mise ad annotare qualcosa. In realtà non annotava nulla, e ripassava soltanto con la penna le lettere dei suoi appunti."

In sostanza imita avvocati ed altri magistrati che predisponevano una domanda che doveva essere decisiva. Malgrado la drammaticità della situazione, Tolstoj mantiene, nella descrizione dei magistrati, il suo duro sarcasmo. Riguardo al procuratore:

"... Il sostituto procuratore era di natura sciocchissimo, ma per giunta aveva avuto la disgrazia di terminare i corsi di ginnasio con la medaglia d'oro e di ricevere all'università una ricompensa per la sua tesi sulle servitù secondo il diritto romano, e perciò era in sommo grado sicuro. di sé (...), e, in conseguenza di ciò, era sciocco in modo straordinario. Quando gli fu data la parola, si alzò lentamente scoprendo tutta la sua graziosa figura entro la toga ricamata e, posate le due mani sull' alto tavolino..., sfuggendo lo sguardo degli accusati, incominciò...

La requisitoria... doveva avere, a parer suo, importanza sociale... la regola del sostituto procuratore consisteva nell'essere sempre all'altezza del proprio compito, cioè nel penetrare al fondo del significato psicologico del delitto e mettere a nudo le piaghe della società...

...parlò molto a lungo.... cercando di non arrestarsi nemmeno un minuto...per la durata di un'ora e un quarto... Nel suo discorso c'eran tutte le ultime novità..." .

Cita perfino Lombroso e Charcot, dimostrando così di essere molto aggiornato per i tempi: anche qui, a suo onore, perché gli attuali magistrati ignorano tutto di psicologia generale e criminale, ma giudicano ugualmente ... I giudici, infatti, non ne sono contenti, e già ne abbiamo visto i motivi :

" - Beh, mi pare che divaghi proprio - disse sorridendo il presidente, chinandosi verso il giudice severo .

- E' un tremendo zuccone - rispose il giudice severo ....".

C'è anche un dibattito fra l'avvocato della Màslova, che cerca di difenderla sulla base di attenuanti sociologiche, e il pubblico ministero che giunge ad asserire che si può perfino dedurre l'ereditarietà dal delitto, oltrepassando anche le sue predilette teorie lombrosiane. Nuova sferzata al presidente quando spiega ai giurati il senso giuridico della causa :

"... Spiegò molto lungamente ai giurati, con tono piacevole e familiare, che la rapina è rapina, e il furto è furto, e che la sottrazione da luogo chiuso è sottrazione da luogo chiuso, e la sottrazione da luogo non chiuso è sottrazione da luogo non chiuso...

... si mise a svilupparne un 'altra, cioè che si chiama omicidio quell'azione da cui deriva la morte di un uomo - che l'avvelenamento quindi è anch'esso omicidio... il furto e lomicidio costituivano gli elementi del reato... avendo cominciato a parlare, non poteva più fermarsi in nessuna maniera... ".

Tolstoj ironizza sulle tipiche tautologie e dicotomie del Diritto e sottolinea come il presidente, con le sue raccomandazioni ai giurati, fa in realtà un vero e proprio corso di Diritto penale. Ma il sarcasmo dell'Autore non finisce qui: a rafforzare la tesi della generale disistima, in ogni tempo, dei letterati verso i giuristi, cita Rabelais :

" ... Rabelais scrive che un giureconsulto, dal quale erano venuti per un giudizio, dopo aver citato tutte le leggi possibili, e dopo lettura di venti pagine di un latino giuridico senza senso, propose ai contendenti di gettare i dadi: pari o dispari. Se pari, aveva ragione l'attore; se dispari, aveva ragione ;: convenuto. Così fa anche qui. Fu presa quella decisione...". La decisione appare presto ambigua e contraddittoria: mancava l'asserzione, in risposta ai quesiti, che la ragazza non aveva avuto intenzione di uccidere, oltre a quella già riconosciuta di non aver rubato, sicché :

"... Il presidente era meravigliato che i giurati, avendo fatto la prima riserva: senza intenzione di furto, non avessero fatto la seconda: senza intenzione di uccidere. Dalla decisione dei giurati risultava che la Màslova non aveva rubato, non aveva rapinato, ma nello stesso tempo aveva avvelenato un uomo senz'alcun visibile scopo....".

I tre giudici discutono sul caso: per il giudice buono, occorre annullare il verdetto, per quello nervoso (a causa del pranzo non pronto...) occorre infliggere la condanna. Il pubblico ministero chiede l'applicazione della deportazione con lavori forzati. I giurati discutono tra loro sul loro stesso verdetto, comprendendone l'ambiguità. La conclusione è che, comunque, Katiuscia 

subisce una condanna di quattro anni di lavori forzati e deportazione in Siberia Perfettamente inutile è poi l'intervento del principe Nechliudov per sollecitare il presidente del Tribunale a rivedere la sentenza, pur in considerazione dell'imprecisione nella formulazione del verdetto: sarebbe stato necessario per il giudice inserire la frase: "ma senza intenzione di causare la morte". Qui la critica tolstojana al formalismo giuridico è tanto forte, quanto ridotta ad una sintetica esposizione . Anche in Cassazione il ricorso venne poi respinto.

E passiamo ora al romanzo "Il Processo" di Franz Kafka: questo lavoro è rimasto incompiuto, pubblicato a cura di Max Brod, insieme a vari frammenti. L'aspetto frammentario contribuisce ad accentuare quell'atmosfera da incubo che caratterizza anche "Il Castello". I due lavori sfatano la convinzione, tanto diffusa, che l'Austria-Ungheria, oltre a pretendere d'essere un Impero ordinato, fosse anche idilliaco, dove tutto funzionava a meraviglia. "Il Processo" è ambientato attorno al 1910, proprio durante la cosiddetta belle époque, altro mito, che si sarebbe sfatato da solo se certuni, oltre alle guerre coloniali e balcaniche, si fosse chiesto come mai un simile paradiso si trasformò in pochi anni in un teatro di morte e di stragi . Ma ritorniamo all'argomento di base di queta nostra conversazione: come descrive Kafka ilmondo giuridico e giudiziario dell'Impero Austro-Ungarico ? Con lo stesso disprezzo che abbiamo visto nei precedenti autori. Il romanzo inizia così :

"Qualcuno doveva averlo calunniato, perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina Joseph K. fu arrestato... 'Non può andarsene, è in arresto' 'Sembra proprio così' disse K. 'E perché ?' chiese poi. 'Non siamo autorizzati a dirglielo. Vada nella sua camera e aspetti. Il procedimento è appena cominciato, e lei saprà a tempo debito...'...

Entrambi esaminarono la camicia di notte di K. e dissero che adesso avrebbe dovuto indossare una camicia molto peggiore, ma che loro avrebbero custodito quella camicia come anche l'altra sua biancheria e, se la sua causa si fosse risolta favorevolmente, gliele avrebbero restituite. 'Meglio dia le sue cose a noi che al deposito' dissero ' perché al deposito spesso combinano imbrogli e inoltre, dopo un certo tempo, vendono ogni cosa, senza badare se il procedimento relativo è finito o no..."  - non male per la rigorosa amministrazione absburgica !

 

"... Che gente era mai quella ? Di cosa parlavano ? K. viveva pure in uno stato dì diritto, la pace regnava dappertutto, tutte le leggi erano in vigore, chi osava aggredirlo in casa sua ?... si poteva considerare il tutto come uno scherzo... grossolano, montato dai colleghi della banca per motivi sconosciuti..." . L'arresto di K. è, diremmo oggi, domiciliare; può per il momento lavorare, ma viene controllato. Al capitolo II si racconta la prima udienza :

"K. era stato avvertito per telefono che la domenica successiva ci sarebbe stata una piccola udienza... Era sta designata la domenica...per non disturbare K. nel suo lavoro professionale... Le udienze si potevano svolgere, per esempio, anche di notte, ma K. non sarebbe stato abbastanza fresco. .. Era ovvio che lui era tenuto a presentarsi... Gli fu dato il numero della casa in cui doveva trovarsi,... in una lontana strada di periferia, dove K. non era mai stato...

La casa era abbastanza distante, aveva una lunghezza poco comune, l'androne in particolare era alto e largo...". Sempre nella tipica, incoerente atmosfera da incubo, K. si trova in una specie di casermone popolare, immaginatevi il quadrilatero di Melara (- quartiere di Trieste - ndr) , dove sì trovano piccoli appartamenti, operai, massaie, bambini, ed ai quali chiede di un fantomatico falegname Lanz, che ovviamente nessuno conosce oppure confondono con un altro falegname dal nome simile. Infine, si trova in una sorta di assemblea :

"... K. credette di entrare in un 'assemblea. Una folla di persone diversissime - nessuno badò a lui...- riempiva una stanza di media grandezza, con due finestre, intorno alla quale correva, quasi all'altezza del soffitto, una galleria altrettanto stipata di gente... K. ...disse alla giovane donna... 'Ho chiesto di un falegname, di un certo Lanz '. 'Sì' disse la donna 'entri pure, prego '...,, . Un ragazzetto lo accompagna nel mezzo della folla assiepata. La maggior parte delle persone era vestita di nero, con vecchie giacche da cerimonia, viene quindi portato da un uomo grasso :

"... un uomo piccolo, grasso, ansimante... A volte agitava il braccio, come se facesse la caricatura di qualcuno. Il ragazzo faticò a fare il suo annuncio... l'uomo... ascoltò il messaggio appena mormorato. poi trasse di tasca l'orologio e dette una rapida occhiata a K.. 'Si sarebbe dovuto presentare già da un 'ora e cinque' disse...". K. non riesce a giustificarsi e si leva un mormorio; l'uomo ribadisce ancora più forte il ritardo di un'ora e 5 minuti. Il rumore aumenta ma stavolta K. dice che è comunque arrivato. Alcuni lo applaudono. L'uomo gli risponde di non essere tenuto ad interrogarlo. Tuttavia poi, davanti a nuovi mormorii dice che farà l'interrogatorio, ma non accetterà nuovi ritardi alle udienze. Risulta così, sempre nel modo incoerente tipico dell'incubo, che quello era un giudice istruttore, il quale prende in mano un libretto :

"... Aveva l'aria di un vecchio quaderno di scuola, sformato dal lungo uso. 'Vediamo ' disse il giudice sfogliando il quaderno... 'Lei è pittore decoratore ?'. 'No· disse K, 'sono primo procuratore di una grande banca'.

Il lato destro, in basso, fece seguire... una risata cosi piena, che K. dovette ridere a sua volta. La gente puntava le mani contro le ginocchia e si dimenava.

C'era perfino chi rideva in galleria. Il giudice incollerito, che probabilmente non poteva nulla contro la gente in basso, cercò di rifarsi con la galleria, saltò in piedi, minacciò la galleria, mentre le sue sopracciglia... sì corrugavano ispide, nere, ampie, al di sopra dei suoi occhi..." .

 

K. cerca di difendersi puntando sullo scambio di professione nel procedimento e sostiene che questo è tale solo se egli stesso lo riconosca. Dichiara di definirlo quasi ridicolo, ma limita il suo giudizio per pietà. Si aspetta un applauso, ma il pubblico tace. "La sola soddisfazione che K. provò venne dal giudice, perché questi sembrò subito colpito dalle sue parole". K. allora non solo si permette di ironizzare sul quaderno del giudice, ma addirittura lo prende con due dita in segno di disgusto, poi lo fa cadere sul tavolo. In prima fila, alcune persone dalla barba bianca lo ascoltano, mentre vi sono perfino delle acclamazioni a favore di K., che prosegue col vento in poppa descrivendo alla folla ciò che gli era avvenuto e gli abusi che aveva dovuto subire. K. non contento segnala che il giudice avrebbe fatto segni di ammiccamento a qualcuno del pubblico. Il giudice appare imbarazzato o impaziente, sicuramente nervoso.

K. arriva a battere il pugno sul tavolo per farsi seguire dalla folla e prosegue, non da imputato, ma da accusatore :

" Non c'è dubbio... che dietro tutte le manifestazioni di questo tribunale. nel caso mio dietro l'arresto e l'udienza di oggi, si trova una grande organizzazione. Un'organizzazione che impiega non soltanto guardie corruttibili, ispettori melensi e giudici che sono, nel migliore dei casi, modesti, ma che mantiene anche magistrati di alto e altissimo grado, con l'innumerevole e indispensabile seguito di uscieri, scrivani, gendarmi e altri aiuti, forse persino carnefici, non ho paura della parola. E il senso di questa grande organizzazione, signori ? Consiste nel fare arrestare degli innocenti, questa è la morale, e nell'avviare contro di essi un procedimento assurdo, e il più delle volte... infruttuoso. Come sarebbe possibile evitare... la più infame corruzione dei funzionari ? Impossibile, neppure il giudice supremo ci riuscirebbe per sé. Per questo le guardie cercano di rubare gli abiti di dosso agli arrestati..." .

 

Sembrerebbe quindi che K. abbia il sopravvento, in realtà l'incubo continua, una lavandaia si mette a strillare, ma in realtà strilla un uomo che la stringe a sé.

K. cerca di avvicinarsi, ma glielo impediscono. Tutti, compreso il giudice, appaiono ora con un distintivo, indipendentemente dai partiti di appartenenza K. vuole andarsene, ma il giudice istruttore gli si pone davanti e gli dice:

“Volevo farle notare soltanto ... che lei oggi - forse non se ne rende conto,  ha rinunciato al vantaggio che un interrogatorio significa sempre per l'arrestato'. K. rise”

 

La domenica successiva ritorna, pensando che vi sia una nuova udienza, invece la donna, che già lo aveva indirizzato, gli dice che non vi è udienza. Vuole vedere i libri esposti, ma la donna glielo vieta, essendo di proprietà del giudice. Secondo K. quei libri sono codici. Permane, nel dialogo fra i due, quell'incoerenza tipica dell'incubo o del sogno; infatti, K. si rammarica non della stanza utilizzata per più scopi, come ritiene la donna, ma del fatto che essa sia sposata. Il dialogo poi si sposta sul processo; K. esprime la sua convizione che il processo non è importante e che un'eventuale condanna lo fa ridere. La donna invece sostiene che quel giudice istruttore è molto impegnato e che anche la domenica precedente si era attardato molto col lavoro. Dice che addirittura lavorava nella stanza che era la camera da letto della donna, mentre il marito dormiva. Mentre parla, un brutto studente di giurisprudenza (quello stesso che abbracciava la donna durante l'udienza) li guarda e lei deve andare dallo studente: da moglie si capisce che diventa una prostituta ma al tempo stesso confessa il suo amore per K. Ma c'è anche un battibecco tra K.e lo studente che rimprovera il giudice di essere stato troppo buono con lui. Scopre poi che gli uffici del tribunale si trovano nella soffitta di quella casa, e la cosa gli suscita ulteriore disprezzo; pensa anche che la scarsa dignità della sede sia dovuta al peculato esercitato dai funzionari. C'è un colloquio con un usciere che lo riconosce, gli dà la mano e fa delle confidenze sul suo lavoro e sulla donna di prima: vorrebbe schiacciare lo studente che l'aveva portata via. Si capisce allora che egli è il marito tradito. Vi è poi anche la descrizione della lugubre sala d'attesa del tribunale, in un corridoio lungo e buio fornito di lunghe panche ad intervalli quasi regolari. Molte persone vi si trovavano, curve, in ginocchio, come in atto di chiedere l'elemosina. Erano tutti imputati. La visita continua, l'usciere vorrebbe allontanarsi, ma K. ha paura di perdersi. C'è una discussione tra i due, durante la quale K. grida. Appaiono altri impiegati. K. vorrebbe chiedere della nuova udienza, ma la cosa gli appare assurda “... l'interno di quel tribunale era ripugnante come l'esterno..." . K. si sente male, un'impiegata gli spiega il perché: si è all'ultimo piano, manca l'aria o è irrespirabile chiunque venga la prima volta, si sente male . Continuano ad alternarsi personaggi strani, inquietanti, tra cui un informatore (una specie di impiegato per i rapporti col pubblico) che la ragazza dice che, per la sua professione a differenza degli altri, viene elegantemente vestito alla moda.

Il capitolo V parla di un bastonatore, il quale deve punire i due gendarmi che lo avevano arrestato, in quanto K. se n'era lamentato col giudice. K. ha pietà di loro e cerca di convincerlo a non picchiarli; tra l'altro è curiosa la frase seguente:

"... Se sotto la tua verga tu avessi un giudice di alto grado... non ti impedirei certo di picchiare, al contrario anzi ti pagherei anche per averti più forte al servizio della buona causa" . Il bastonatore non si fa distogliere da questi discorsi, ma riesce poi a corromperlo facendogli ridurre le bastonate previste. La sicurezza di K. diminuisce col tempo (siamo al cap. Vll):

"... Il pensiero del processo non lo abbandonava più. Aveva spesso pensato se non sarebbe stato bene preparare una difesa e presentarla al tribunale. Voleva esporvi una breve descrizione della sua vita... I vantaggi di una tale difesa rispetto alla pura e semplice difesa dell'avvocato, del resto neppure per lui ineccepibile, erano indiscutibili. K. non sapeva nulla delle iniziative dell'avvocato: non dovevano essere molte... L'avvocato invece, anziché interrogare, discorreva per suo conto oppure gli sedeva muto di fronte si curvava un po' sopra la scrivania, forse perché era duro d'orecchio... Di tanto in tanto rivolgeva a K. qualche vuoto ammonimento, come si rivolgono ai bambini. Discorsi inutili, noiosi, che K. pensava di non pagare un centesimo...".

 

L'avvocato, dopo gli ammonimenti, cercava di rincuorarlo dicendogli di aver vinto altri processi simili, anche se meno complessi. Però lo avvisava che : "... a volte succedeva che il tribunale non leggesse affatto le prime memorie...". Se è per questo, neppure le ultime. Una tale pessima abitudine di non tener conto degli elementi probatori opposti alla tesi dei magistrati continua tuttora, malgrado riforme, convenzioni e proclamazioni. Interessante ciò che segue: "... la procedura non è pubblica... la legge non prescrive la pubblicità... Perciò anche i documenti del tribunale, soprattutto l'atto di accusa, non sono accessibili all'imputato né al suo difensore, quindi di solito non si sa o non si sa bene contro cosa sì debba dirigere la prima memoria... memorie realmente pertinenti e probanti possono essere elaborate solo in seguito... La difesa infatti non è concessa, a dire il vero dalla legge ma soltanto tollerata, e non è neppure pacifico che dal relativo articolo di legge si possa almeno dedurre la tolleranza..." .

 

L'avvocato Huld tende a svalutare non solo se stesso, ma anche i colleghi ed il trattamento ad essi riservato: indica come dimostrazione il fatto che la sala ad essi destinata nel Tribunale è piccola,bassa, oscura, priva d'aria, con un bel buco nel pavimento, sufficiente a farvi sprofondare una gamba. La condizione della difesa è spiegabile, perché il Tribunale punta tutto sul comportamento dell'imputato. Eppure, la presenza degli avvocati è quanto mai necessaria Non si può dire che il discorso dell'avvocato di K. appaia incoraggiante. Gli imputati vengono interrogati senza avvocato, il quale deve poi informarsi dal suo cliente sull'andamento dell'inchiesta L'unica tattica utilizzabile è quella della corruzione nei bassi livelli del Tribunale, per carpire informazioni: insomma, un'atmosfera da vero Stato del Diritto ! Nel prosieguo della narrazione, si viene a parlare di un altro personaggio, un confidente del Tribunale, il cui soprannome è Titorelli, un pittore, che appare molto influente. Lo cerca in una casa, dove trova una ragazzina di 13 anni, un po' gobba, ma a quanto capisce già corrotta. Le sue compagne non sono meno infantili e corrotte di lei. Finalmente incontra il pittore che gli si presenta in camicia da notte. Osserva un ritratto che rappresenta un giudice :

"... il ritratto era chiaramente di un giudice... di un uomo grasso, con una gran barba nera e folta che gli copriva le guance fino alle tempie... anche qui il giudice era in procinto di alzarsi minaccioso dal seggio di cui stringeva i braccioli... ". Dietro il giudice è dipinta una figura di donna, ma senza ali ai piedi e che, secondo il pittore, rappresenta insieme la Giustizia e la Vittoria. Discutono poi sul giudice, il quale, pur essendo solo di basso grado, ha incaricato il Titorelli di ritrarlo in quel modo, per vanità. Il pittore passa poi al nodo della questione, sollecita K. a chiedergli del suo processo, proprio perché è un confidente del Tribunale. Ad un certo punto K. si accorge della pesantezza dell'aria: è un denominatore comune, come si è visto, dell'atmosfera del palazzo: in realtà, più che un dato di fatto, è una sensazione psicologica: in un Tribunale potrebbero ben esservi correnti d'aria, ma questa rimarrebbe comunque 'pesante' . Una frase svela poi l'intimo pensiero di questo pittore­ confidente, dopo che K. gli ha dichiarato la propria innocenza : "Il tribunale non si lascia mai smuovere. Se dipingessi qui su una tela tutti i giudici, uno dopo l'altro, e lei si difendesse davanti a questa tela, avrebbe maggior successo che non davanti al vero tribunale". Questo è il massimo dell'incoraggiamento !

 

Il pittore gli spiega poi due possibili soluzioni al suo caso e sulle quali il pittore può influire: l'una è l'assoluzione apparente, l'altra la procrastinazione. Siamo davanti ad una delle tipiche dicotomie giuridiche. La prima consiste nel fatto di mostrare ai giudici una dichiarazione d'innocenza, a cui forse i giudici crederanno. Poi K. dovrebbe presentarsi insieme a lui e in tal modo la causa sarebbe vinta per metà. Alcuni giudici però respingono la dichiarazione fin dal principio in modo irremovibile. Se le cose vanno bene, K. otterrà una libertà provvisoria, perché quella definitiva può essere data solo da un Tribunale Supremo irraggiungibile per tutti. Titorelli fa un'altra asserzione, che dimostra la tendenza giuridica a dividere tutto per due :

"... I nostri giudici non hanno dunque il grande diritto di liberare dall'accusa. ma hanno il diritto di sciogliere dall'accusa... ". K. sarà così sottratto all'accusa, che però continuerà a pendergli sul capo come la spada di Damocle. Invece, l'assoluzione reale ma irraggiungibile, porta alla cancellazione di tutti gli atti del processo. Il quadro che Titorelli fa delle procedure da adottare è poco incoraggiante, ma sarebbe assai interessante confrontare le descrizioni di Kafka con gli effettivi procedimenti allora in vigore, per capire quanto vi è di satirico, nella forma onirica dell'incubo, e quanto di reale. La procrastinazione, invece, dice Titorelli, è un modo per non dover mai affrontare il processo e, quindi, non subire la condanna, ma tuttavia l'imputato non può ottenere la libertà neppure provvisoria. Le indagini su d lui continuano perpetuamente. 

Nel capitolo VIII, c'è un nuovo colloquio, molto lungo, con 1'avvocato Huld, a cui K. decide di revocare il mandato, colloquio che si svolge in camera da letto, dove poi viene chiamato un altro cliente, un certo Block trattato come un servo. Infine al capitolo decimo, avviene la fine: alle nove della sera, il giorno precedente il suo trentunesimo compleanno, due uomini vengono a prendere K., lo portano fuori avvinghiandosi alle sue braccia e tenendogli le mani, bloccandolo in modo regolamentare ed irresistibile. Camminano così come un blocco unico. K. pensa di potersi liberare, ma non riesce. Arrivano fuori città, tolgono giacca, panciotto e camicia a K., lo pongono contro un masso, mentre uno di loro estrae un sottile coltello da macellaio e lo passa all'altro sopra la testa di K. : il rituale continua per un po', poi, mentre K. si guarda intorno, uno dei due lo tiene per la gola, l'altro gli immerge il coltello nel cuore .

E' evidente che tutte queste sconnessioni descrittive, assurde, non sono che la descrizione di un fatto onirico, di un incubo, non so dire quanto effettivamente vissuto da Kafka, maestro nel descrivere incubi quasi l'intera sua vita fosse stata dominata da questi, e rafforzato dall'incompiutezza del romanzo. Eppure, questo incubo diventa realtà, e realtà tragicamente ben connessa, nel romanzo di Arthur Koestler "Buio a mezzogiorno". Molto di questo lugubre andamento è ripreso, anche come stile, soprattutto nella descrizione della sorpresa finale del subire una morte violenta ed improvvisa. Qui torniamo alla Russia, ma non quella, tutto sommato ancora umana e capace di suscitare senso del ridicolo dell'età zarista, ma quella assolutamente inumana dell'età di Stalin, delle purghe, delle confessioni estorte con quel procedimento psicologico, fondato sulle teorie di Pavlov e dell'associazionismo, che viene popolarmente chiamato "lavaggio del cervello". Si parte da una progressiva perdita del senso del tempo, si alternano minacce ed intimidazioni ad atteggiamenti apparentemente bonari. Lo scopo è di dissociare la volontà dalla razionalità nell'imputato e di convincerlo a confessare. Chi ha visto qualche documentario su quei processi è colpito dal modo meccanico, quasi da automa, di esprimersi degli imputati che si denunciano per rapporti di spionaggio con questo o quel nemico dell'Unione Sovietica. Sotto Stalin la fine era quella della pena di morte o dei lavori forzati in Siberia, una morte procrastinata. Più tardi si usò il manicomio, un mezzo per distruggere la mente, non il corpo. Non è un caso che, salvo poche persone, un'intera classe politica non marxista, ed anche marxista, venne letteralmente annientata. I "liberali'' russi di oggi sono tutti ex-comunisti o, addirittura, come Putin, ex-agenti del KGB : la cosa non è per nulla promettente.

 

Ciò che in Kafka è incubo, in Koestler è la descrizione della realtà: il protagonista del romanzo è un certo Rubashov, uno dei fondatori dell'Unione Sovietica, uomo abbastanza opportunista, fedele alla concezione della superiorità dell'ideologia e del partito sull'uomo, anch'egli già prima autore di epurazioni interne e di denunce o di omissione d'aiuto a compagni indagati. Di questa mentalità egli stesso diventerà una vittima. Anche qui il romanzo comincia con un arresto, ma non è la situazione sfumata, nebbiosa di Kafka, ma la pesante realtà di una cella di una vecchia fortezza. Ripensando al fatto immediato, Rubashov ricorda i due agenti del Commissariato agli Interni che lo avevano condotto lì, eleganti ma tetri in uniformi nuovissime. Anche qui però è presente un incubo, perché Rubashov sogna poco prima di essere arrestato da agenti della Gestapo.

 

Rubashov, già arrestato e torturato in quanto comunista, è o si ritiene abbastanza forte da reggere alla tortura fisica, non si aspetta però la procedura di tipo psicologico: il primo incontro con un magistrato è quello con Ivanov, veterano della Guerra Civile, uomo della sua stessa generazione, con il quale discorre in modo normale, quasi da amici. Per ragioni di tempo su di lui non mi soffermerò, anche perché in lui vi è ancora qualche traccia di umanità, e perciò sarà eliminato per tradimento, su denuncia del suo sostituto Gletkin, al quale - come conclusione del nostro excursus - dedicherò più spazio. L'incontro con Ivanov, dicevo, è abbastanza cordiale, tra loro c'era stato un episodio durante la guerra in cui il magistrato militare era stato gravemente ferito e avrebbe voluto essere ucciso, ma Rubashov lo aveva incoraggiato. Ora l'ex-camerata ha una gamba di metallo che lo rende quasi normale. Ivanov gli comunica i sospetti del partito su di lui e sulla sua tendenza all'individualismo, considerato un pericolo per la società comunista:

"... L'individuo non era nulla, il Partito era tutto; il ramo che si stacca dal/ 'albero deve seccarsi, morire...". Ne sorge una discussione ideologica, nella quale si rimproverano reciprocamente di aver tradito la sostanza ideologica della rivoluzione. Ivanov poi gli elenca fatti essenziali della sua vita con quelli che vengono considerati gli inizi del suo tradimento: va ricordato che Rubashov era stato una specie di diplomatico e il suo progressivo abituarsi alla mentalità occidentale pluralistica lo aveva reso sempre più sospetto, malgrado arresti e persecuzioni. Ivanov tuttavia vuol salvare l'antico amico e compagno, e vuol fargli confessare peccati veniali, ma negando di aver organizzato un assassinio. Rubashov non accetta .

 

Il giorno dopo a cena Ivanov e Gletkin parlano di Rubashov. Secondo il primo, l'imputato cederà per opportunismo e per logica per cui è inutile adottare con lui maniere forti, alle quali è allenato a resistere. Per Gletkin invece nessuno può resistere oltre un certo limite, seppure diverso per ciascuno :

"... Chiacchiere -  ribattè Gletkin. 'Esseri umani capaci di resistere a qualsiasi pressione fisica non esistono. Debbo ancora incontrarne uno. L'esperienza ci insegna che la resistenza del sistema nervoso dell'uomo è limitata dalla Natura'.

'Non mi piacerebbe cadere nelle vostre mani' disse Ivanov sorridendo, ma con un'ombra di disagio - Ad ogni modo, voi siete la confutazione vivente della vostra stessa teoria'.

Il suo sguardo sorridente indugiò per un secondo sulla cicatrice che attraversava il cranio di Glitkin. La storia di quella cicatrice era famosa. Quando, durante la Guerra Civile, Gletkin era caduto in mano dei bianchi, questi gli avevano legato uno stoppino di candela acceso attorno al cranio rapato, per estorcergli certe informazioni...

'Chiacchiere' - disse Gletkin -  'Non cedetti perché svenni. Se fossi rimasto cosciente per un altro minuto, avrei dovuto parlare...'

 

Gletkin è modesto per quel che lo riguarda ma è convinto dell'efficacia dei metodi forti. Anche tra loro due si crea un dibattito ideologico: Ivanov, più umano ma più realista, riconosce l'illusorietà delle utopie dei primi tempi della rivoluzione; Gletkin sostiene l'esatto contrario. Le utopie si realizzeranno dopo che partito e masse saranno epurate dagli elementi antisovietici 'La Rivoluzione <sostiene Gletkin> correva il rischio di frantumarsi contro quei piccoli contadini benpasciuti <i famosi kulaki> . Gli operai non si nutrivano a sufficienza; interi distretti erano devastati dal tifo e dalla denutrizione... Il terzo interrogatorio del mio uomo ebbe luogo alle due del mattino... Egli era stato svegliato; era ubriaco di sonno e aveva una gran paura; si tradì. Da quella volta, io interrogai gli arrestati soprattutto di notte". Narra poi che utilizzò tale sistema anche contro le donne, "... 'I regolamenti venivano osservati, non un prigioniero venne mai toccato. Afa accadde che dovessero presenziare ,per così dire, al/ 'esecuzione di altri detenuti..." .

 

Gletkin spiega poi altri sistemi, apparentemente rispettosi delle regole: a tali fini venivano adoperate anche le doccie . Alla fine del dialogo, Ivanov dice formalmente a Gletkin che ha dato a Rubashov quindici giorni per convincersi a confessare, e non vuole interventi altrui fino ad allora. In questa pausa di tempo, Rubashov è costretto a vedere Bogrov, il vecchio comandante della corazzata Potemkin, trascinato sottobraccio per il corridoio del carcere dopo essere stato torturato a morte. Bogrov, passando, pronuncia quasi con un muggito o un rantolo il suo nome. L'effetto psicologico della cosa, ordita dallo stesso Gletkin, lascia il segno. Ivanov va a trovarlo in cella, sapendolo febbricitante, e Rubashov lo accusa per il tremendo spettacolo. Ivanov respinge l'accusa e attribuisce alla mente perversa di Gletkin l'orribile scena. Gli spiega che Bogrov è stato giustiziato per le sue divergenze a proposito della flotta sottomarina che Bogrov voleva far costruire, ma che avrebbe rappresentato un rischio di guerra che Stalin (il N. 1) non voleva correre .

 

Ivanov, poi, dopo il lungo colloquio con Rubashov, si reca da Gletkin e lo rimprovera aspramente per aver forzato la situazione, ed afferma tuttavia di essere riuscito ormai a convincere Rubashov. Tuttavia minaccia Gletkin di fucilazione. Costui prende la cosa sul serio e decide di precedere il collega nell'azione penale. Dopo qualche giorno altre due guardie conducono Rubashov da Gletkin :

"...La porta si richiuse alle spalle di Rubashov e Gletkin alzò lo sguardo dalla sua congerie di carte.

Prego, accomodatevi - disse con quella voce asciutta e incolore  ... La luce cruda, bianchissima... accecava Rubashov, cosi ci vollero parecchi secondi prima che egli si accorgesse di una terza persona: una segretaria... Sono incaricato di interrogarvi durante l'assenza del commissario lvanov' disse Gletkin. La luce della lampada feriva più che mai gli occhi di Rubashov... ' Preferisco essere interrogato da lvanov' .

Il magistrato inquirente viene nominato dalle autorità' disse Gletkin ' Avete diritto di fare una deposizione o di rifiutarvi <osservate quale progresso: l'imputato ha diritto alla facoltà di non rispondere! ma...> . Nel vostro caso un rifiuto significherebbe una smentita alla vostra dichiarazione d'essere disposto a confessare... e automaticamente porrebbe fine alle indagini. In questa eventualità ho l'ordine di rimandare la vostra pratica all'autorità competente, che pronuncerebbe la vostra condanna in via amministrativa'.

 

Ciò gli era già stato comunicato da Ivanov: Rubashov si rende conto che il suo vecchio amico, troppo intelligente per i tempi, è caduto anch'egli in disgrazia "-  'Sono pronto a fare una dichiarazione' disse.... 'Ma a condizione che la smettiate coi vostri trucchi. Spegnete quella luce abbagliante...'

' Non siete in grado di porre delle condizioni' disse Gletkin con la sua voce calma ' Non posso cambiare l'illuminazione della mia stanza per voi ... voi stesso siete accusato di attività controrivoluzionaria... '...

' Farò qualunque cosa possa servire al Partito' disse <Rubashov> ' Vi prego di comunicarmi l'accusa particolareggiatamente, cosa che finora non è mai stata fatta'.

Udì... che un rapido moto percorreva la rigida figura di Gletkin. I suoi polsini frusciarono sui braccioli della poltrona, il suo respiro si fece di un'ombra più intenso... Gletkin stava assaporando il grande trionfo della sua vita. Aver domato un Rubashov significava l'inizio di una grande carriera...

Gletkin aveva cominciato a leggere l'accusa. La sua voce monotona era più irritante che mai...

Gletkin leggeva con voce monotona, senza la minima intonazione, con la cadenza uniforme, arida di coloro che hanno imparato tardi a leggere e a scrivere, quando sono già adulti... ".

 

Il procuratore militare comincia ad elencargli fatti che Rubashov stesso ricordava con una certa fatica, quelli soprattutto avvenuti all'estero. "...Rubashov credette che Gletkin fosse impazzito; quel miscuglio di logica e di assurdità ricordava la follia periodica della schizofrenia ...Gletkin era giunto ali 'ultimo paragrafo dell 'accusa. Conteneva la perla più preziosa: il complotto per un attentato alla vita del N. 1...

'Avete sentito l'accusa, e vi riconoscete colpevole ?'.... ".

 

Rubashov riconosce ora che quell'ideologia, in cui aveva creduto e per la quale aveva combattuto e sofferto, era la causa delle deviazioni, delle nuove violenze repressive: ammette allora di essersi lasciato andare a questioni sentimentali e morali, e con ciò si era opposto al partito. Si riconosce colpevole di individualismo, con effetti negativi sulla solidità del Partito. Respinge l 'accusa di attentato al N. 1. Gletkin gli dichiara che egli non confessa nulla di nuovo; già prima aveva fatto analoghe "autocritiche", tipiche nel partito comunista. Inoltre lo accusa di calunnia nei confronti della segretaria Arlova, amante di Rubashov, per salvarsi la vita e la posizione politica. Da che pulpito la predica !

" ... Continuò la voce di Gletkin... 'Osate ancora negare la vostra attività criminale ? Dopo tutto ciò chiedete che vi si creda ?'...".

 

Gletkin insiste per una completa confessione, compreso l'attentato al N. 1. Rubashov rifiuta ancora. Gletkin fa allora entrare un testimone: è il personaggio chiamato nel romanzo "Labbro Leporino", per il labbro spaccato. Costui, evidentemente già torturato ed obbligato alla confessione, dice di essere stato complice con lui nel tentativo di assassinio contro il N. 1. Rubashov ora riconosce nel torturato il figlio del professor Kieffer, storico della Rivoluzione e sul quale Rubashov aveva preparato una biografia. Il giovane continua la sua deposizione sulla base delle domande, evidentemente condizionanti, di Gletkin, e racconta che il padre e Rubashov parlarono male del Partito e del N.1. Rubashov pensa che il giovane ricorda molto bene dettagli veri che, mescolati con quelli inventati, dànno alla deposizione un'aria di verità e credibilità.

 

Di fronte a qualche incertezza del giovane, Gletkin chiede :

"... 'Avete bisogno di un aiuto per ricordarvi ? <l'aiuto sarebbe consistito in nuove sevizie> .

Gletkin pronunciò questa frase con affettata indifferenza, ma Labbro Leporino fremette come se fosse stato colpito da una sferza. Si leccò le labbra e nei suoi occhi passò lo smarrimento di un nudo terrore animalesco. Quindi si udi nuovamente la sua bella voce musicale:

'L'istigazione non ebbe luogo quella sera, ma la mattina dopo...'

Rubashov sorrise. La posposizione dell'immaginario colloquio al giorno dopo era indubbiamente una finezza. .. di Gletkin... Si volse verso Gletkin e chiese...:

' L'imputato ha il diritto, non è vero, di fare domande durante un confronto ?'

<vedete, eravamo già allora al "giusto processo" !>... 

 

Seguono più domande, che riescono a mettere in crisi l'accusa di istigazione all'avvelenamento, per il semplice fatto che allora il giovane non aveva lavoro, né si prevedeva che imparasse l'uso di veleni. Ma il procuratore non si fa mettere in scacco :

"... Avete altre domande da fare ?'

' Null'altro per ora'  disse Rubashov .

'Nessuno ha detto che le vostre istruzioni limitassero l'assassino all' 'uso del veleno' disse Gletkin quietamente. 'Voi deste l 'ordine di uccidere; la scelta dei mezzi la lasciaste al vostro strumento'. Si volse a Labbro Leporino: "E' esatto?" - Sì - rispose Labbro Leporino...

Rubashov si ricordava che l'accusa aveva chiaramente formulato l'istigazione a sopprimere col veleno, ma tutta la faccenda gli era diventata indifferente, di colpo..."

Ormai Gletkin ha praticamente vinto: si fa confermare che l'accusa "nei punti essenziali" è fondata; in tal modo supera quei dettagli che prima sembravano fondamentali a Rubashov, il quale però vuol sottolineare, cosa che certo non può farlo giustificare agli occhi di Gletkin e del partito, che l'azione a cui si riferì nel colloquio col professor Kieffer era di tipo politico, azione di massa, eccetera, non attentati individuali. Di fatto per Gletkin la cosa era ancor più soddisfacente: era la confessione di un tentativo di guerra civile. Rubashov firma il verbale di confessione. Ma Gletkin continuò per giorni i suoi interrogatori, con quella tecnica di privazione del sonno che aveva descritto ad Ivanov. Ormai Rubashov perde coscienza del tempo, ed il suo sistema nervoso è ormai logorato. Anche per le semplici funzioni fisiologiche era costretto ad umiliarsi a chiederne il permesso a Gletkin , il quale da canto suo pareva incrollabile nel reggere questo ritmo, duro anche per lui. Vengono contestati a Rubashov anche i suoi colloqui con un nobile tedesco, a sua volta poco propenso ad accettare il regime instauratosi in Germania, ma tanto basta a Gletkin per sostenere che avesse rapporti con un nemico. In uno degli ultimi interrogatori, Gletkin lo informa dell'arresto di Ivanov. La volta successiva pone ancora una domanda al procuratore:

"M'era stato detto che eravate fautore di certi sistemi drastici...Perchè non avete mai usato con me dirette pressioni fisiche?"

'Alludete alla tortura fisica - rispose Gletkin in tono pratico - A quanto ne so è proibita dal nostro codice penale'. Fece una pausa...Inoltre - riprese Gletkin - c'è un tipo di accusato che confessa sotto una data pressione fisica, ma per rimangiarsi tutto al processo pubblico. Voi appartenete a questa specie di testardi. L'utilità politica della vostra confessione al processo consisterà nel suo carattere di spontaneità..."

In un caso, malgrado la pressione psicologica, Rubashov riesce a spuntarla, ovvero nel fatto di non aver sabotato l'industria dell'alluminio che aveva diretto; malgrado il sonno, aveva ribattutto con cifre precise alle cifre false di Gletkin per un'intera notte e Gletkin era stato costretto a proscioglierlo su quel punto. Ma restano le accuse più gravi. Alla fine Rubashov ha ceduto su tutti i punti, meno quello dell'alluminio. Ora finalmente firma l'ultimo verbale. Gletkin gli promette che non sarà più disturbato fino al processo. Rubashov esce e Gletkin "...suonò per la segretaria. Ella si sedette..."Mi congratulo per il vostro successo" ella disse. Gletkin abbassò la luce della lampada al grado normale. "E' stata questa lampada - rispose - sommata alla mancanza di sonno e all'esaurimento fisico. E' solo questione di costituzione"...

Al processo Rubashov ammette tutte le sue pretese colpe, con quel modo quasi sfacciato ma automatico di parlare in quel tipo di processo. E così si arriva all'esecuzione:

"...Un sordo colpo gli martellò la nuca...Sentì stupito che le ginocchia gli si piegavano..."Come è teatrale tutto ciò" si disse cadendo "eppure io non sento nulla..."

Un secondo colpo, rovinoso, gli s'abbattè sull'orecchio. Quindi tutto fu tranquillo. C'era ancora il mare col suo mormorìo. Un'onda lo sollevò lentamente. Veniva da un'immensa distanza e trascorse via placida, alzata di spalle dell'eternità"

Ora come concludere? Questo lungo, eppure breve, excursus sui giuristi nella letteratura ci insegna molte cose, grazie alla saggezza di grandissimi scrittori: il magistrato non deve essere, come qualcuno vorrebbe, nè un santo, nè un martire, nè un sacerdote e neppure un poliziotto. Il magistrato deve essere ciò che la Legge, unica cosa a cui per Costituzione è soggetto, gli impone di essere. Egli, come inquirente, non deve cercare preventivamente colpevoli o capri espiatori, egli deve cercare la verità dei fatti senza soluzioni preventive e senza colpevoli precostituiti. Non deve orientarsi su un'unica direzione d'indagine, ma su tutte quelle che si presentano. Egli non rappresenta questa o quella parte, ma l'esigenza di autotutela della società e dei cittadini e, pertanto, deve essere imparziale quanto più gli sia possibile: non per nulla è chiamato pubblico, e non privato, ministero. Gli interessi privati delle parti civili sono meglio tutelabili dai rispettivi avvocati. Il giudice deve tener conto di tutti gli elementi, sia a favore, sia a sfavore dell'imputato e delle parti civili. La sua discrezionalità non può divenire arbitrio: nessuna prova, da nessuna parte provenga, può essere esclusa, ma soltanto valutata secondo il suo significato reale. Non può farsi condizionare dalla paura del tempo impiegato e dalla fretta. La ricerca della verità è figlia del tempo: spesso credendo di guadagnarlo, in realtà lo si perde.    E solo dalla parità assoluta ed incondizionata fra accusa e difesa, rappresentate dalle parti civili e dagli imputati, attraverso la ferma volontà di conoscere la verità, evitando le formalità che vanno oltre il necessario, attenendosi alle sole necessarie procedure, e procedendo per linee moralmente rette il tempo impiegato non sarà mai perduto, ed ogni eventuale errore potrà essere corretto. E, in quanto agli avvocati, essi dovrebbero difendere con energia, ma sempre nel rispetto della verità e senza denigrazioni delle arti contrapposte, senza l'abuso nei rinvii e senza trucchi da baraccone, il proprio patrocinato, nel suo interesse e nell'interesse dell'intera società. 

Vi ringrazio per la vostra paziente attenzione...

Nota

Per i testi, citati parzialmente con punteggiatura nelle parti interrotte, mi sono avvalso delle seguenti edizioni:

per "I Promessi Sposi" , Collana Biblioteca Classica di Euroclub, Bergamo, 1984

per "Notre Dame de Paris", BUR, Milano, 1951

per "Il Conte di Montecristo", San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1998

per "Resurrezione", Garzanti, Milano, 1976

per "Il Processo", Adelphi, Milano, 1973

per "Buio a mezzogiorno", Mondadori, Milano, 1957

 

 

 

 

 

 

bottom of page