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L'Arte del Canto degli antichi Maestri
a cura di Tito Del Bianco
“Cantare è un fatto morale, mentale quanto meccanico.
E' la combinazione di questi elementi
che sola può formare il maestro e l'alunno.”
(Jenny Lind)
Un tempo si affidava al maestro dell'arte vocale, alla sua esperienza e alla sua intuizione, il compito di scegliere, di selezionare l'allievo e di guidarlo fino al conseguimento del magistero artistico.
La Scuola di Canto ha in Italia una grandissima tradizione. Non solo risale ad una prima tradizione orale della quale ci sono rimasti vari indizi - da Guido d'Arezzo (la voce alta, chiara, suavis) alla prima differenziazione tra “vox pectoris e vox capitis” di Giovanni da Garlandia (XII sec.) - ma si sviluppa a partire dal Seicento con l'affermarsi della voce solista e con la consapevolezza dell'indirizzo tecnico necessario che si afferma con la concezione moderna dello stile del canto nelle Nuove Musiche del Caccini.
A partire dal Seicento l'Italia ha sviluppato e affinato la scuola tecnica e interpretativa dello strumento voce attraverso le grandissime scuole italiane differenziate solo regionalmente, ma uniformi per cultura e concetti tecnici: alla scuola romana di Amadori e di Fede alla illustre scuola bolognese fondata da Pistocchi la cui grande tradizione si è fortunatamente protratta fino ai nostri giorni con i tenori Giuseppe Borgatti e Fiorello Giraud - di cui fu allieva Augusta Rapetti Bassi, insigne didatta bolognese e triestina di adozione di cui abbiamo già scritto diffusamente in “Carmina”.
Ci furono la Scuola veneziana fondata da Antonio Lotti, tra i cui Maestri si annovera Tommaso Albinoni e le scuole napoletana, modenese, milanese e altre minori. Non bisogna dimenticare che nelle teorie del Sei-Settecento è già contenuta buona parte delle idee che informano tutt'ora la migliore scuola di canto italiana e il filo della tradizione belcantista esiste ancora: da più di tre secoli le scuole di canto italiane attingono alla stessa tradizione, quella dei classici.
Lo studio del Canto richiede una severa abitudine all'approfondimento della tecnica nei suoi rapporti con l'opera d'arte e richiede una specifica dedizione allo studio che mal si adatta purtroppo al nostro attuale tipo di cultura e di vita.
Oggi nella scuola italiana di Canto – che un tempo era la più prestigiosa al mondo – solo una piccolissima minoranza di docenti conserva le impronte del grande passato attraverso la cultura della tecnica (che sembra essere stata ridotta oggigiorno ad un' “opinione”), dell'esercizio del vocalizzo e della respirazione, della maschera, della dizione e della declamazione perfetta. Un tempo gli allievi di canto si sottoponevano ai severi studi tecnici della scuola classica che è stata e sarà sempre l'unica insostituibile fucina dei miracoli della grande Arte del canto.
Si pensi che la scuola del grande Giambattista Mancini, discepolo di Antonio Bernacchi della scuola bolognese e autore delle “Riflessioni pratiche sul canto figurato” (1777), adottava un criterio modernissimo. Venne invitato - tra l'altro - da Maria Teresa d'Austria a diventare Kammer-Musicus alla corte di Vienna, con il compito anche di insegnare canto alle figlie. Egli raccomandava di non trascurare nello studio del Canto nessuna parte dell'educazione della mente e del corpo: perciò non solo la musica, la voce, la cultura, ma anche la danza, la ginnastica e l'espressione in genere.
I cambiamenti sociali e culturali hanno portato oggi a metodi di lavoro molto diversi da quelli delle antiche scuole. E' illuminante leggere la storia dei metodi di studio che si usavano allora nell'antica scuola romana: “Le scuole di Roma obbligavano i discepoli ad impiegare ogni giorno un'ora nel cantare cose difficili e malagevoli per l'acquisto dell'esperienza. Un'altra nell'esercizio del trillo. Un'altra in quello dei passaggi. Un'altra negli studi delle lettere (…) e un'altra agli ammaestramenti ed esercizi del canto (…) (1) Uno studio serio e fruttuoso dell'arte del canto richiederebbe oggi in Italia l'introduzione di un sistema scolastico diverso, in cui il rapporto di studio e di scambio discente-docente potesse effettuarsi a tempo pieno, come avviene negli Stati Uniti e in altri Paesi, allo scopo di poter fornire una completezza di istruzione tale da preparare perfettamente l'allievo all'impegno artistico. Il compito dell'educazione dell'artista è certo uno dei più ardui perchè, al di là dei problemi tecnici e interpretativi, il maestro si trova spesso dinnanzi a problemi e a meccanismi che indirettamente danneggiano o pregiudicano la tecnica del canto, ma che pur sono alla base della difesa psichica dell'individuo. La voce è parte del carattere della persona, è lo specchio della sua anima e tavolta l'allievo adotta certi atteggiamenti che portano alla deformazione del suono ma che non sempre dipendono dalla tecnica. Scriveva Alfredo Casella: “L'insegnante vero deve esercitare un'opera di controllo inflessible ed incessante sul lavoro degli alunni (…) A lezione finita non un errore sia rimasto inosservato (…) La lezione deve essere un atto di fede celebrato in perfetta 'simpatia' di spirito fra il maestro e l'alunno, e deve anche e sopra tutto essere un comune sforzo verso la luce di una maggiore conoscenza compiuto con la serenità che solo può dare la rivelazione della bellezza.” (2) Dovremmo riuscire a riportare nelle accademie l'ideale umanistico della suprema coscienza dell'arte e della sua aspirazione al Trascendente. Poichè in definitiva, il compito ultimo del maestro d'arte è aiutare l'allievo a risvegliare in sé stesso quelle qualità morali, che sole consentono la serietà e l'efficacia del lavoro. Talvolta ci riesce difficile – almeno in Occidente – perchè siamo abituati a ragionare quasi esclusivamente in termini socio-economici e perchè non ci rendiamo conto che le difficoltà contro cui ci dibattiamo sono essenzialmente “problemi morali”.
Un problema morale è anche la crisi del canto lirico in Italia. Il nostro Paese sta perdendo il suo primato in quest'Arte. E ciò non dipende dalla concorrenza, dalla differenza di materiale vocale, dalla scuola americana, coreana o russa, etc... bensì dipende esclusivamente dal nostro materiale umano. Sono infatti le doti del sacrificio, della pazienza, dell'umiltà, che portano l'allievo ad apprendere il magistero dell'Arte. Ed è un lavoro che richiede tempo e dedizione.
Note:
1) Francesco Briganti “Giovanni Andrea ANGELINI-BONTEMPI
”Olschki, Firenze, 1956, pagg.19-20
2) Alfredo Casella “Il Pianoforte” Ricordi, Milano, 1954, pagg.165-169