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Misticismo in musica

Considerazioni e divagazioni

su Bruckner, Schoenberg e Brahms

a cura di Tito Del Bianco

 

 

"Il cuore e' il primo strumento vero, antichissimo, molto più antico della stessa voce, per il genere umano. Il cuore ha dodici suoni che devono risuonare anche in rapporto ai suoni cosmici. Deve esistere la consapevolezza che non si ascolta solo con le orecchie, ma anche con il centro del cuore, che non si trova direttamente a contatto con la materia corporea, ma a qualche centimetro di distanza. Questa serie di dodici corde, sotto l'influsso del suono esterno , deve poter cominciare a svegliarsi e a vibrare."

                                                                                                                         (Daniel Levy “Euphonia”')

 

 

Il misticismo è presente nella musica quando il concetto musicale eleva al Cosmo la sua intenzione celebrativa, quando i suoni e i concetti che la musica esprime colpiscono la struttura egoica dell’individuo per arrivare all’anima indirizzandola a comportamenti “virtuosi”. La musica nel suo linguaggio misterioso si affina, si arricchisce di un contatto supremo, confrontandosi con i grandi fenomeni, noti o intuiti, del Cosmo, pieno di verità eterne, assolute e incommensurabili.

Diventa allora affine alla preghiera che altro non è se non riconoscenza, ammirazione, amore, per ciò che il cuore va a scoprire a quelle altezze ignote e insospettabili.

Nella musica di Bruckner spesso ciò traspare tanto che, tra i suoi appassionati, i valori spirituali sono spesso anteposti a quelli tecnici compositivi.

E’ difficile in effetti affermare che ciò che si sa sul lato umano di Bruckner non influisca sull’ascolto della sua musica. L’amore per la sua musica è alimentato anche dalla sua profonda “humanitas” vicina alla poesia ( pensiamo ad Adalbert Stifter che fu suo amico) e al profondo senso religioso della natura e della dignità umana, caratteristiche dell’uomo oltre che del musicista.

La nostra simpatia umana è conquistata anche dalla sua bontà ingenua che lo rende vulnerabile al mondo e che lo spinge istintivamente verso la semplicità dei sentimenti e delle cose.

Il destino umano di Bruckner ci fa pensare ad un uomo al quale sia stato imposto da un Volere più alto, per tutti gli anni della giovinezza e della prima maturità, la sottomissione ad un “servizio” nell’ambito della vita chiesastica, perché potesse poi trarne il “privilegio” di una missione impostagli e alla quale gli era impossibile sottrarsi. Ciò non per meriti di natura personale o sociale, bensì per una necessità che non è alla portata di un giudizio umano, ma tutta riversata nel profondo immenso dell’anima dell’umile credente, cattolico, in questo caso. Uomo mansueto come un agnello, era veicolo adatto, non avrebbe opposto alcuna resistenza.

Tutta la musica di Bruckner è fondamentalmente un dialogo con Dio: l’Eterno forse volle affrancarlo, rendendolo meno “presente” alla realtà materiale dell’esistenza, perché non servisse più a ciò che è perituro, ma, nella voce dell’Unico Invisibile, si illuminasse della sapienza divina per gli orecchi di coloro che ben poco interesse avrebbero prestato, se in quella musica non avessero agito quei miracoli di intuizione spirituale imposti dalla forza invisibile al docile servo obbediente. Attraverso l’universo sonoro di Bruckner l’anima scorge la forza delle acque e dei venti, sente il comando dato al proprio sangue; da esso parla la Voce non sua, la voce dell’Eterno non raffigurabile.

Tutto ciò è chiaramente intelligibile nella musica di Bruckner: basta essere docili e non profanare l’ascolto col voler far sorgere, a tutti i costi, modelli interpretativi e definizioni formali, perché nessun altro guadagno ne compensa la fatica, e ne umilia la superbia del confronto fuori luogo.

Come scrisse il grande musicologo Harald C. Schonberg:

La musica di Bruckner, con la sua volta gotica, l'estensione imponente, le sonorità che ricordano quelle dell'organo, le dimensioni di tempo e di spazio, fa pensare ad una cattedrale, e forse bisogna essere credenti per intenderla a fondo. (1)

 

Nella produzione del genere sacro in Bruckner c‘è autentica espressione religiosa, ma la religiosità di Bruckner si trasferisce a tutta la sua opera. Anche (e soprattutto) le sue sinfonie sono il riflesso del suo pensiero religioso. Bruckner è un cattolico fervente che infonde la sua fede religiosa a tutte le espressioni della sua vita, quindi anche alla sua musica. Del resto, come dicevano i romantici, il contenuto eterno dell‘Arte è presente indipendentemente dal genere o dal soggetto dell‘opera. Infatti non è necessario scorgere forme conosciute per descrivere il colloquio dell‘anima con l‘Ineffabile e nemmeno c‘è necessità di vedere circoscritto, in una forma chiusa, consueta, arcivolgare, quel balzo“ concesso all‘anima dalla forza dell‘Eterno.

Non bisogna pensare che la religiosità in Bruckner sia solo pura devozione o sentimentalismo: essa presenta uno spessore di grande spiritualità espressa con sonorità altamente estatiche e allusive a prova della sua vocazione mistica (non a caso si parla di “Seelenverwandschaft” tra Bruckner e Wagner). Bruckner applica appieno la valida norma estetica di Hanslick, il quale diceva che si salva il contenuto spirituale della musica solo condizionandone o negandone quello sentimentale.

Per Bruckner la musica sacra è una realtà quotidiana e universale, sempre a contatto con la vita: non è una religiosità romantica spesso truccata di retorica.

Non a caso gli spazi di intervallo più comuni in Bruckner (il salto d‘ottava, per esempio), caratterizzano una precisa situazione spirituale alludendo ad una vera simbologia nel dialogo tra Dio e l‘uomo, nel diverso andamento ascendente o discendente dell‘intervallo. A tale proposito vale la pena leggere quanto riportato da Harold C. Schonberg nel suo famosissimo libro, già menzionato poc‘anzi:

“Max Graf frequentò le sue lezioni all'Università; raccontò che si era iscritto al corso convinto di divertirsi molto. Bruckner, con la sua giubba di austriaco settentrionale, il testone e la faccia fitta di rughe, ogni volta che suonava l'Angelus dalla chiesa vicina, si interrompeva, si inginocchiava e pregava. Poi riprendeva la lezione. Qualche volta gli capitava di passare davanti a Hanslick (che faceva lezione di musicologia); e allora si inchinava e si scappellava davanti a quel temutissimo personaggio. Ma non passò molto che Graf si senti prima impressionato e poi pieno di venerazione per lui.

Nelle lezioni di teoria, Bruckner, si rifaceva a Sechter. Graf, che sarebbe diventato il più importante critico musicale viennese, ha scritto in proposito: La dottrina di Sechter, che Bruckner ci impartiva come una sorta di sacro retaggio, si reggeva su due pilastri. Quello che ispirava il massimo rispetto in Bruckner era la teoria dei « bassi fondamentali », sorta di mondo di spiriti nel basso, che accompagnavano le armonie come ombre; poi c'era la teoria delle « armonie naturali », che costituiscono le leggi di ogni bellezza della progressione armonica. Dappertutto regnavano la legge e l'ordine, e perfino la santità. Gli intervalli fondamentali del basso che Bruckner, nei suoi spartiti, annotava invariabilmente sotto l'ultima riga del pentagramma, avevano importanza cosmica. Così capimmo la grandezza e qualche volta la rigidità e la solennità delle armonie di Bruckner. Discepolo di Sechter, sorta di architetto delle armonie, Bruckner meditava sugli accordi e sulle associazioni di accordi cosi come l'architetto medievale contemplava le forme originarie di una cattedrale gotica. Per lui, erano la via che doveva seguire per arrivare al Regno del Signore. Questa lenta, inesorabile, solenne processione di armonie è l'essenza della musica di Bruckner”(2)

 

In Bruckner lo spirito della chiesa e della liturgia torna vivido, e se mai la musica religiosa poteva essere rinnovata, essa doveva riporre la sua nuova fondazione sulla strada tracciata da Bruckner. Se è vero che le composizioni religiose di Bruckner hanno esercitato scarsa influenza sui successivi musicisti viennesi, ciò è in connessione con una progressiva inettitudine della cultura nei confronti della religione. In un sommo spirito qual’era Bruckner vi è l’abbandonarsi all’Assoluto totalmente da essere trasmutato e liberato da ogni forma e da ogni concetto.

Scrive ancora Schonberg: “In ogni caso, Bruckner fu un isolato. Non ebbe discepoli, come Mahler. Ma c'è qualcosa nella sua musica che attira un lato della mentalità moderna, ed è per questo che in anni recenti le sinfonie sono diventate una parte fondamentale del repertorio. Buona parte del loro fascino scaturisce dalla fede semplice e genuina, dalla serenità distesa e calma, qualità di cui oggi si sente grande nostalgia. E questa musica permette di assaporarle e di farne esperienza.”(3)

 

E’ curioso il "contrasto umano" tra Bruckner e il suo "antagonista" Brahms, la cui musica è - seppur in maniera diversa - altrettanto ricca di spiccata spiritualità religiosa. Entrambi sono ricercatori dell'alto concetto del sublime, ognuno a suo modo però. Il sublime nell'Arte infatti, si riflette come un raggio di sole, su qualsiasi materia e ogni materia riverberando vibra in una maniera sua particolare al tocco dell'intuizione creativa.

La religiosita' nella musica appare in Brahms in modo diverso, guidata dalla linea consequenziale deIla sua cultura e del suo intimo essere. Brahms segue con tutto il cuore le regole e nella regola ritrova la perfezione o si avvicina alla perfezione e al colloquio con l’Assoluto.

Così scriveva Rudolf von der Leyen nel suo libro del 1905 “Johannes Brahms als Mensch und Freund” a proposito del “Deutsches Requiem”:

"Aus der Zusammenstellung des Textes des "Deutschen Requiems",... sieht man .. wie tief die Wurzeln seines Daseins in der Bibel beruhten, deren Studium und genaue Kenntnis ganz. in sein seelisches Leben eingedrungen waren ... So findet man dass Brahms die Bibel nicht wie manche Menschen allein aufsuchte, wenn er in Trauer und Schmerz war.…Nein, er suchte die Bibel auch vor allem auf als ein "Buch der Freude" die allem , Uebermass scheinbar beschraenkende Linien kiinstlerischer Schoenheit auferlegt und die doch in Wahrheit eben nur in dieser scheinbaren Beschraenkung den wahrhaft hoechsten, fuer Zeit und Ewigkeit bleibenden Audruck findet”.(4)

(Traduzione: “Dalla compilazione del testo del Requiem tedesco si comprende quanto tutte le radici della sua esistenza fossero fondate profondamente sulla Bibbia, e quanto il suo studio e la sua esatta conoscenza fossero penetrati del tutto nella sua vita spirituale (…) Comprendiamo così che Brahms non leggeva la Bibbia per alleviare lutto e dolore. No, per lui la Bibbia era il “Libro della Gioia” che impone alla perfezione artistica ogni sorta di ostacoli, ma solo in apparenza: in verità in questi limiti illusori essa trova la sua più eccelsa espressione nel tempo e nell’eternità.”)

 

Non c'e' dubbio che Brahms avesse grande forza spirituale. Hermann Levi in una lettera a Clara Schumann descriveva Brahms assolutamente staccato dalla miseria del mondo, spinto esclusivamente verso l'elevatezza dei propri ideali. “Finchè fossero esistiti sublimi spiriti come Brahms” – scriveva Levi - “il materialismo nel mondo non avrebbe potuto prendere il sopravvento”:

“Solange solche Geister unter uns wandeln, wird der Materialismus der Zeit nicht die Oberhand gewinnen”

 

Il capolavoro che diede a Brahms la fama fu il Requiem Tedesco. Così ne scrive Harald Schonberg: “Fu eseguito per la prima volta a Dresda nel 1868, quando ancora mancava di una parte; l'opera completa fu presentata l'anno dopo a Lipsia. Il testo è in tedesco, tratto dalla Bibbia luterana, e non ha niente a che fare con i riti ortodossi. Si evita perfino di fare il nome di Cristo. Brahms era un libero pensatore, e questo disturbava gli amici credenti. « Che grand'uomo! Che grande anima! E non crede in niente! » deplorava, sgomento, Dvoràk.” (5)

 

Eppure, lo ribadiamo ancora, la questione formale è a volte assai relativa e spesso ha poca importanza. Quel "quid" indescrivibile che fa sorgere, nell'artista che crea, la dimensione mistica, manifesta la sua natura intrinseca ed è sempre opera meravigliosa, se toccata da Dio. L'anima quando è vicina a Dio canta, cioè si manifesta. Bastava che il re Davide si presentasse di fronte all'Arca del Signore perchè la sua anima cantasse. La vibrazione dell'Arca dava a Davide la spinta, il fuoco, nel comporre i Salmi all’Incommensurabile, la vicinanza di Dio pervadeva il suo cuore.

 

Al contrario di Brahms, Gustav Mahler e Hugo Wolf erano entusiasti ammiratori di Bruckner, del misticismo insito nella sua musica, del suo essere un Maestro, soprattutto davanti a Dio.

Non a caso con Wolf e soprattutto con Mahler la composizione musicale assume speciale coloratura mistica. Con Arnold Schoenberg questa concezione estetica diventa sempre più significativa: egli riafferma la responsabilità etica dell’artista soprattutto in relazione alla crisi della civiltà europea.

Il suo lavoro poetico-musicale contiene quella problematica e quella coscienza etico-religiosa che si riflette in tutta la sua musica e culmina in "Mosè e Aronne".

Schoenberg ebbe a dire in una sua lettera a Kandinsky del 20 luglio 1922) : “...io credo nella religione, sebbene non nelle sue manifestazioni organizzate. E' stata, in questi anni, il mio unico sostegno, sia detto qui per la prima volta.”

Egli non poteva accettare la religione “rivelata” poichè l’idea di Dio doveva rimanere inesprimibile e non raffigurabile: da qui deriva la dicotomia "parola-immagine": l'immagine creata dall'uomo non può esprimere ciò che per l'umano è inconoscibile, l'Idea del mondo dell'Essere :

 

"Tu, la cui parola con l'immagine

fugge, tu stesso dimori,

vivi tu stesso nelle immagini

che pretendi di creare per il popolo.

Lungi dall’origine, dall’idea,

non più ti basta allora

né la parola, né l’immagine…”(6)

 

 

L'uomo aspira, nella forma religiosa utilitaristica, a piegare al suo volere, attraverso i riti, la potenza di Dio e a racchiuderla nella propria entità vivente. In "Mose' e Aronne" invece Schoenberg afferma l'essenza della religione come pura dedizione a Dio, una devozione estranea a qualsiasi concetto di uso e costrutto per il proprio benessere anche lecito:

 

"Qui le immagini gia' dominano il pensiero,

invece di esprimerlo.

Un Onnipotente - qualunque sia

il suo giudizio - non e' obbligato a nulla,

da nulla e' vincolato:

non lo vincola l'azione del malvagio,

non la preghiera del buono,

Immagini guidano e dominano

questo popolo che tu hai liberato,

straniere brame sono sue divinità

e lo riconducono alla schiavitù

dell'assenza di Dio, dei godimenti.

Tu hai tradito Dio agli dei,

il pensiero alle immagini. "(7)

 

 

Il problema del "linguaggio" si pone in tutta la sua essenzialità: la musica di Schoenberg vuole imporsi - in linea ideale - quale linguaggio "vero", adatto a rivolgersi a ciò che umano non è.

Cosi' scrive Daniel Levy nel suo libro "Euphonia" :

“Nei tempi antichi si diceva che quando ci si vuole rivolgere alla Natura , o agli Dei, o a Qualcosa che va oltre l'umano, si deve parlare il loro linguaggio "(...) Il linguaggio, quello vero , e' essenzialmente composto di Suono, di Colore e di Luce, che sono i fenomeni più studiati dalla fisica, in rapporto già alla teoria della relatività. Einstein cercò costantemente di capire come queste vibrazioni si trasmettessero, e quale fosse il loro tramite. (…) Tutto questo (...) per gli antichi, e per alcuni scienziati mistici, era di importanza capitale . Oggi si parla di onde, di radiazioni sonore, di magnetismo: queste energie hanno diretto rapporto con le vibrazioni, con i suoni che Pitagora, secoli fa , aveva percepito, e di cui aveva fatto esperienza.”(8)

 

La musica di Schoenberg ricerca una alterità di forme per il vantaggio di una capacità maggiore di avvicinamento ai concetti esoterici e mistici della sua opera. Schoenberg spezza la convenzione usuale della forma musicale con il palese apporto delle conoscenze esoteriche analogiche e della simbologia attinente alla cultura ebraica (p.es: dodecafonia = 12 suoni = 12 tribu' di Israele = 12 segni zodiacali, etc...).

Essenziale è nella fruizione e nell'interpretazione musicale la sentita “necessità” della immedesimazione divina o mistica nella musica, cioe' quella partecipazione dell’anima che "evoca" la sublimità di alti concetti.

E' necessario approfondire il concetto mistico, religioso, "esoterico" della musica, quella ‘totalita' dell'esperienza che Levy chiamò “Unisono”:

"L'Unisono nella esperienza eufonica simboleggia il rapporto che intercorre tra se' e Se'. (...) Frequentemente , data la deformazione professionale, proprio il musicista e' quello che ha maggior difficoltà a concepire l'idea di unisono come semplicità del profondo. Nessuno e' tanto diseducato interiormente come il cantante o lo strumentista, salvo confortanti eccezioni. "(9)

 

Essenziale è quindi il concetto musicale non solo in ambito psicologico, ma anche e soprattutto in ambito etico - morale.

Un compito consapevole della musica contemporanea dovrebbe essere proprio avere a cuore l'intendimento etico-spirituale dell'uomo:

"Perche' la psiche ritrovi l’armonia interrotta, il Se' deve risuonare senza sovrapposizioni ne' inibizioni. La Musica deve ancora svelare il suo significato nel mondo." (10)

 

 

 

 

NOTE

1) Harold C. Schonberg - I Grandi musicisti - trad. Vittorio Di Giuro -

Mondadori, 1972 - pag. 483

2) Harold C. Schonberg – op.cit. - pag.484

3) Harold C. Schonberg – op.cit. - pag.483

4) Rudolf von der Leyen “Johannes Brahms als Mensch und Freund” - Duesseldorf – 1905

5) Harold C. Schonberg - op.cit. - ‘Il custode della fiamma’

6) Arnold Schoenberg - "Moses und Aron" trad. E. Castellani -

sta in A.Schoenberg "Testi poetici e drammatici" Feltrinelli 1967- pag. 182

7) Ibidem - pag. 184

8) Daniel Levy "Euphonia"- Cassiopeia ed.Venezia 1986 - pag.249

9) Ibidem - pag.285-287

10) Ibidem - pag. 101

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