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Scenari futuri: Giuseppe Verdi e i Segni dei Tempi
di Tito Del Bianco
"Tornare all'antico sarà un progresso" asseriva Giuseppe Verdi.
E ogni giorno di più i fatti gli danno ragione.
E' sempre più difficile parlare di Verdi senza timore di 'scadere' nella retorica: Verdi 'emblema' e non solo musicista, 'Padre della Patria' che trascina con sè eventi epocali, ‘spirito illuminato’ che consacra la sua opera all'avvento di una nuova Era per salvare dal degrado spirituale le generazioni future.
Parole che suscitano derisione - forse - ma che oggi sono ancora straordinariamente vere.
La tragedia italiana meritò nel Risorgimento la catarsi della rigenerazione che, come sempre accade, si fece strada attraverso scuole segrete di pensiero, di liberi pensatori che tramandarono il fuoco prometeico dei valori del riscatto agli uomini soggiogati all'oscurantismo clericale-imperialista di quei tempi.
Ebbero il merito di opporsi alla ferocia degli Imperi, al deterioramento dei secoli di storia dei vinti.
Un popolo analfabeta, frammentato, soggiogato venne sospinto ad auto-considerarsi nell'unitarietà del suolo e del linguaggio, ritrovando e ricreando un nuovo idioma comune, con l'ardito disegno di dar compiutezza alla coesione e all'autocoscienza di uomini, per i quali i valori civili e morali non fossero concetti effimeri e privi di senso, e non più di plebe, occultata e travolta dalla tirannide straniera, dal potere temporale della Chiesa, dalle 'purghe' generazionali della peste, della fame, della guerra, e della Santa Inquisizione.
Verdi e i suoi librettisti davano in quell'epoca - attraverso la loro arte - significazione culturale e storica a lembi di storia che, portati sulla scena e presentati al popolo con l'enfasi della musica e della poesia, ricreavano momenti risorgimentali e promuovevano negli ascoltatori, attraverso sentimenti di orgoglio e di sdegno, la volontà di riscatto.
Ma oggi che ne è stato di Verdi? Non v'è dubbio che molte delle sue pagine appartengano alla 'Grande Arte', l'arte che apre i confini dell'Infinito, o - come diceva Wilhelm Reich - l'arte che ci addita la via d'uscita dalla nostra gabbia.
Ci sarà sempre qualcuno che continuerà ad apprezzare il loro valore artistico, a meno che in un prossimo futuro l'umanità non crolli totalmente nel baratro di abiezione che già da tempo le è stato preparato dalle forze annichilenti la libertà e la dignità individuale. In realtà la crisi del teatro lirico è stata prodotta artificialmente attraverso una sapiente programmazione, coadiuvata da molti pretesti, primo fra tutti il disprezzo per una cultura troppo popolare e troppo vicina al popolo, considerata 'volgare' per l'espressione schietta e talvolta plateale dei sentimenti e trascurata dagli intellettuali che le hanno preferito generi più 'raffinati'.
Hanno fatto credere alla gente - attraverso i "maitre à penser" dei salotti televisivi e delle pagine dei giornali - che la lirica fosse un genere 'degradato', trasformato in cultura dalla moda, e molti - poco avveduti - non si sono accorti di essere caduti in una pericolosa insidia.
Così Verdi viene proposto spesso in “versione ridotta” alle generazioni odierne, quelle stesse che militano negli stadi e nelle discoteche, che osannano la musica leggera, che dotano i bambini delle elementari di telefonini e di ronde antidroga le loro scuole. Il risultato è facile da profetizzare: le scelte culturali vengono dettate oltreoceano e come in un nuovo Vietnam tutte le sozzure e i degradi vengono immersi nel tessuto culturale della nostra quotidianità e della nostra storia.
Il genio di Verdi non serve alla globalizzazione e alla diffusione del nuovo oscurantismo. I nuovi tempi sono i tempi della clonazione, del degrado ambientale, della pedofilia divenuta religione internazionale, della truffa dell'Aids, dell'informazione spettacolo, del 'gay-pride' che si impone come l'Auto-da-fè sotto l’Inquisizione, dei genocidi dei popoli, dei grandi progetti spaziali, degli 'incontri provvidenziali' con gli alieni. L'asservimento concreto, attuato con la selezione genetica nelle provette di laboratorio porterà all'umanità ‘felice’, quella descritta da Huxley nel suo 'Mondo Coraggioso', felice perchè demente, degradata, selezionata.
Questi sono i nostri giorni di conflitto titanico, in cui non c'è posto per il 'nuovo' veramente auspicabile, mentre tutto ruota attorno ad interessi che nulla hanno a che vedere con l'elevazione spirituale dell'umanità.
Pare sia difficile stare al mondo anche per bere un bicchier d'acqua: anche l'acqua è piena di additivi e si è costretti a comprarla in bottiglia, e acquistandola a pensare a quell'ottocentesco regime mafioso che uccideva chi volesse liberamente arrivare alle falde acquifere per bere ed irrigare i campi. Non si tratta purtroppo di visioni apocalittiche, ma di storia documentata e di cronaca quotidiana, che sembrerebbe segnare la fine del mondo di quelle realtà umane e spirituali che ci permettono di continuare ad esistere.
Giuseppe Verdi in questo contesto è un 'non-senso' che si stempera nella risata del Falstaff “tutto nel mondo è burla, tutti gabbati, gabbati, gabbati”. Ancora un pò e i teatri dovranno chiudere, i conservatori di musica diventeranno officine elettroniche e la nostra lingua sarà un dialetto inglese-europeo.
Proveremo vergogna a pensare, soffrire, amare e a provare sentimenti ed emozioni. Forse l’unico che resisterà a questo tramonto sarà Wagner, però esclusivamente se rivisitato e ambientato - da 'sapienti' registi - nei lager nazisti. Il melodramma verdiano lo potremo leggere nel Barilliano “Paese del melodramma”: un Paese diventato piccolo borgo senza slancio, senza vigore e senza coraggio. Il teatro del futuro sarà un teatro di 'pubblicità' mirato al consumo attraverso l'uso organizzato di mezzi per influenzare le scelte della gente, un prodotto come un altro che si imporrà facendo leva sul desiderio di sensazione, sull'interesse per la celebrità, sulla ricerca del prestigio e dell'illusione.
Non ci sarà spazio per la cultura, nè tantomeno per i valori spirituali.
Non vi troverà posto la musica del cuore nè la sublimazione dei sentimenti.
Non si tramuterà nella mistica preghiera che induce l'uomo ad ascoltare e ad ascoltarsi, non permetterà che l'uomo giunga al silenzio per dar spazio all'intuizione e alla sintesi.
Non comprenderà più la valenza di quei versi, di quei "modesti romanzi" che tanto assomigliano alle nostre stesse vite, che non attendono nè gli applausi del pubblico, nè l'approvazione della critica.
Verdi, dapprima accolto con tanto fervore dall'anima dei patrioti, è diventato poi un puro pretesto per delle 'soirée' nelle quali, fino a qualche tempo fa, solo gli studenti del loggione partecipavano con vivo entusiasmo, non disdegnando l'opera ma anzi traendo vantaggio da essa.
Ora anche i giovani sono fuggiti.
I “loggionisti”, quelli rimasti a cronometrare gli acuti, sono considerati un fenomeno di fanatici da sagra paesana, proprio perchè troppo spesso si dimenticano le origini umili e modeste di questa espressione artistica, che fa parte della cultura storica delle masse popolari, un’espressione artistica nazionale e tradizionale, volutamente dimenticata e gradatamente smantellata.
Verdi rimane tra le gloriose rovine, come una colonna del Tempio, spogliato, taglieggiato, sguarnito, ridotto vilmente a pretesto per rappresentazioni senza anima e senza cuore.
E noi naufraghiamo assieme a lui, sommersi dalla musica spazzatura, ipertecnologici uomini-robot, senza sentimenti e senza coscienza.